Oggi si guarda, mi dispiace dirlo, verso l’altro solo nella direzione che conviene o che sia funzionale ai propri intendimenti. Un atteggiamento che rincorre un risultato, legandolo spesso con artificiosità al contesto in cui lo stesso prende forma e si sviluppa.
Ci sono dentro la vita privata di ognuno: la sfera del lavoro e di ogni professione; i rapporti familiari e interpersonali, come i ruoli istituzionali ufficiali. Un quadro desolante che ha annullato l’amore effettivo verso il prossimo. L’amore è vero se riesce a relazionarsi con l’uomo, senza disdegnare alcuno aspetto della sua realtà storica che può vestirsi di solitudine, povertà, stanchezza, affaticamento spirituale e fisico, malattia, falso benessere.
Nessun livello comportamentale umano, qualsiasi sia il suo ruolo sociale può essere esente da questo concetto basilare per la vita di una comunità. Purtroppo oggi si pensa che certe funzioni possano prescindere da alcune sembianze esistenziali, come se fossero elementi privati da utilizzare ad intermittenza o comunque in una sfera del tutto intima o riservata.
La verità resta sempre una sola: “Se un solo aspetto dell’uomo non è considerato, l’amore non è vero. Manca della sua perfezione”. Un amore vero che rispetti l’uomo nella sua reale condizione è soprattutto un amore delicato. Anche in questo caso è il Vangelo la fonte dove attingere, credenti o non, un sorso d’acqua che rinfreschi e chiarisca la propria mente e il proprio cuore. Leggiamo in Marco come Gesù, nonostante la folla lo cerchi, si preoccupi innanzitutto per i suoi discepoli tornati da una missione faticosa.
In quei tempi non era certo cosa facile visitare in lungo e in largo la terra d’Israele. Il Figlio dell’Uomo, che ha un cuore grande quanto quello del Padre, sa che ogni cosa deve pur fermarsi e così deve essere anche per i suoi discepoli. Accogliendogli con tutto l’amore possibile, Gesù si informa subito come fosse andata la missione. Sa ascoltare la loro gioia e nello stesso tempo non trascura di donare conforto alle loro delusioni. Da buon maestro conferma i loro pensieri o li perfeziona. Un primo dono particolare che da loro e consegna a tutti gli uomini di buona volontà.
Ogni cristiano non può non seguire tale indirizzo. Deve, se vuole partecipare alla salvezza del mondo, partendo da se stesso, mettere in atto un amore delicato, aperto all’ascolto e capace di offrire al fratello, con cui s’interfaccia, parole sincere di serenità e di conforto. Il dialogo aiuta ed edifica la missione di ognuno. Senza dialogo infatti non c’è missione che possa durare e proseguire per la via giusta.
Quando l’altro sperimenta la dolcezza e la verità di ogni parola proferita nei suoi riguardi, prende forma la bellezza della novità, della speranza del possibile cambiamento e la vita diventa più chiara. C’è un altro aspetto che Gesù attua con i suoi discepoli, tornati dalla loro missione. Un secondo dono che di riflesso è per tutti noi, da ben utilizzare se si vuole contribuire ad alleviare la solitudine umana. La folla lo cerca e ha bisogno di Lui. In quel momento Gesù però capisce che è necessario isolarsi per parlare con i suoi discepoli e parte con essi per un luogo più tranquillo.
Scrive il teologo Mons. Costantino Di Bruno: “Anche questa è delicatezza dell’amore. Sapere chi ha più bisogno del nostro amore e dirigerlo interamente verso di esso. Vi sono persone che hanno bisogno oggi e persone che oggi non hanno bisogno. Quando l’amore è delicato, è vissuto nella Spirito Santo, sempre Lui ispira chi amare di più e chi di meno, verso chi dirigere la nostra vita e chi invece privare della nostra presenza”.
Queste parole che riflettono in toto il messaggio evangelico riportato da Marco, aprono al mistero del comportamento migliore nel servire il prossimo. Considerazioni profonde che forse ad alcuni risulteranno incomprensibili, specie a chi pensa che l’attenzione verso l’altro, significhi sottrarre qualcosa alla propria persona. È il dramma di ogni giorno nelle comunità, nelle famiglie, nel lavoro, nelle differenti articolazioni sociali e politiche, ci siano o meno persone che vivono la dimensione della Parola. Non si tratta qui di abbandonare qualcuno, per favorire l’amico di turno, come purtroppo spesso avviene in tutte le espressioni del nostro tempo, ma di avere la delicatezza di lasciare una mano per stringerne un’altra, senza far cadere il primo e per salvare il secondo.
Gesù, quando arriva in barca con i discepoli a destinazione, ritrova la folla che lo aveva preceduto, intuendo i suoi spostamenti. Una folla che ha un bisogno smisurato d’amore. Cosa fa Gesù? Continua a parlare con i suoi? No! In barca il Maestro aveva dato i suoi insegnamenti. Ora i discepoli possono aspettare. C’è troppa gente disperata, smarrita, paurosa, priva di ogni sostegno spirituale che chiede ancora aiuto. Non può non essere non ascoltata. Sapere chi ha più bisogno del nostro amore e dirigerlo interamente verso di esso è un atto d’amore delicato. Un gesto che annulla ogni finto comportamento dell’uomo ed offre ad ognuno i due grandi doni che Gesù offri ai suoi discepoli stanchi.