Asia Bibi in carcere da oltre 2mila giorni. Su di lei pressioni e minacce

L’ex ministro Paul Bhatti racconta la difficile situazione che vive la donna cristiana pakistana, attualmente in isolamento in carcere per una ingiusta accusa

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È detenuta da oltre 2.200 giorni Asia Bibi, la donna cristiana pakistana condannata a morte per blasfemia. Sulla donna, reclusa nel carcere di Multan, nella provincia del Punjab, in attesa del pronunciamento della Corte Suprema, penderebbe una taglia equivalente a soli 80 euro per chi la uccidesse in cella o dopo l’eventuale scarcerazione. A denunciarlo, nei giorni scorsi, è stato il marito Ishaq Masih, in un’intervista ai media britannici.

Sulle condizioni attuali della madre pakistana, si è espresso anche Paul Bhatti, presidente dell’Alleanza delle minoranze religiose pakistane ed ex ministro pakistano delle Minoranze, che – in un’intervista alla Radio Vaticana – racconta le pressioni che vive la cristiana. 

“Asia Bibi è una donna povera, lontana dai suoi figli … questa è la sua situazione”, racconta, “anche la minaccia che lei sa che può morire in qualsiasi momento. Chiaramente, ci sono stati momenti di speranza e di delusione, perché a un certo punto, quando il suo caso è stato sentito nel Tribunale di Lahore, sembrava che forse ci fosse qualche spiraglio, che poi dopo non c’è stato più”.

Asia vive attualmente in isolamento, “anche perché – spiega l’ex ministro – si teme che anche in carcere possano esserci atti di violenza come è accaduto alcuni mesi fa a Rawalpindi, quando uno dei poliziotti ha sparato a due persone che erano state accusate di blasfemia”. Bhatti si dice comunque certo “che l’organizzazione del carcere e le forze dell’ordine in qualche modo abbiano un’attenzione particolare per Asia Bibi anche in funzione, probabilmente, della pressione internazionale che subisce tuttora il nostro governo”.

“Noi – prosegue – stiamo seguendo il caso di Asia Bibi che però rappresenta la condizione anche di tanti altri cristiani o di altre minoranze. C’è Sawan Masih che è stato accusato dopo l’attentato di Lahore, che è ancora in prigione anche lui; ci sono tantissimi altri giovani che sono stati accusati falsamente e dei quali forse potrei dire che vivono anche peggio!”. Il nostro lavoro – afferma perciò il presidente dell’Alleanza delle minoranze religiose pakistane – “è trovare una soluzione al problema per cui possiamo aiutare queste vittime innocenti e possiamo fare in modo che questo tipo di odio possa finire, in Pakistan. Su questo noi stiamo lavorando su vari fronti, con il governo attuale: con il dialogo interreligioso, con il curriculum scolastico…”.

Circa il contributo che la comunità internazionale può offrire alla situazione della Bibi, Paul Bhatti chiede una maggiore attenzione al caso e un lavoro comune “per fare passi concreti in modo che questo odio, queste discriminazioni che stanno nascendo con le persecuzioni dei cristiani ma anche di altre minoranze finiscano”. “Asia Bibi – aggiunge – è un caso, ma ci sono tante persone innocenti, anche giornalisti, che vengono giustiziate o uccise da persone che vogliono imporre una determinata filosofia loro – non dico neanche religiosa, nemmeno radicale: una filosofia terroristica, un’ideologia di violenza … Così, come comunità internazionale, inclusa in modo particolare la Comunità europea, si unisca e faccia dei passi concreti”.

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ZENIT Staff

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