Alcuni “concetti” sono “patrimonio acquisito del nostro ordinamento ed escludono che la genitorialità sia solo quella di derivazione biologica”. È questo uno dei passaggi più significativi delle motivazioni, depositate ieri, della sentenza con cui il Tribunale di Milano ha assolto, lo scorso 24 marzo, una coppia imputata per “alterazione di stato” in relazione alla trascrizione dell’atto di nascita di due gemelli nati in Ucraina grazie a un contratto di maternità surrogata a pagamento.
Il collegio presieduto da Annamaria Gatto ha così fatto cadere l’accusa di “alterazione di stato”, giacché la “formazione dell’atto di nascita” dei due bimbi è avvenuta “nel rispetto integrale della legge ucraina”. Come a dire, se una pratica è lecita all’estero, conseguentemente deve esserlo anche in Italia, persino laddove sanzionata dalla nostra legge.
La sentenza, anche se apparentemente antitetica, è invece in linea con quella emessa l’11 novembre 2014, con la quale la Cassazione non ha concesso a una coppia italiana il diritto di genitorialità di un bambino nato sempre in Ucraina e sempre con l’utero in affitto. In quel caso, la Suprema Corte ha escluso l’atto di nascita non per rispettare il divieto alla maternità surrogata contenuto nella legge 40/2004, ma solo in quanto i coniugi hanno agito in violazione della legge ucraina, la quale richiede che il nascituro abbia almeno il 50% di patrimonio genetico di uno dei genitori, mentre qui erano entrambi sterili per motivi anagrafici.
Le toghe, in questo recente caso, hanno inoltre fatto leva sulla “conformità all’ordine pubblico internazionale – come scritto dal giudice estensore Giuseppe Cernuto – degli effetti conseguenti al suo recepimento e la mancanza di contrasto con l’ordine pubblico interno, di cui sono sintomo la stessa decisione dell’ufficiale di stato civile” italiano “di trascrivere l’atto”.
Il fondamento della sentenza di ieri va ricercato in un’altra aula di Tribunale. Nell’aprile 2014 ha “fatto giurisprudenza” (come si suol dire in questi casi) una decisione della Consulta sulla legge 40 riguardo alla fecondazione eterologa. Una coppia che aveva avuto un figlio in India mediante maternità surrogata era stata assolta dall’accusa di “alterazione di stato”, poiché – come scritto nelle motivazioni della sentenza – “l’avanzamento della tecnologia” rende la “definizione” di “maternità” ormai “controversa”. Caduto il divieto di eterologa, la legge 40 si vide modificata in una sua parte essenziale, e dunque depotenziata, rispetto alla formulazione originaria del 2004.
La sentenza dell’aprile dell’anno scorso – secondo i giudici del Tribunale di Milano – “ha chiarito che la scelta di diventare genitori e formare una famiglia che abbia anche figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, riconducibile agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione”.
Indicativo un altro passaggio della sentenza emessa ieri, ove si legge che “l’ordinamento interno (…) nel disciplinare gli effetti della fecondazione eterologa valorizza il principio di responsabilità procreativa e ne fa applicazione in luogo di quello di discendenza genetica”. Ne deriva che, se un coniuge ha dato l’assenso alla nascita di un bambino all’estero tramite utero in affitto, “non può esercitare l’azione di disconoscimento, per avere assunto la responsabilità di questo figlio, e ne diviene genitore nonostante lo stato civile del neonato venga determinato in maniera estranea alla sua discendenza genetica”.
Motivazioni che però non appaiono a tutti convincenti. Ad esempio l’on. Eugenia Roccella (Ap), vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera, commenta che “ancora un Tribunale legittima di fatto il ricorso all’utero in affitto”. E lo fa – aggiunge – “tirando in ballo la sentenza della Consulta sulla fecondazione eterologa, che avrebbe chiarito come diventare genitori rientri nella ‘generale libertà di autodeterminarsi’”. Però “non si tratta di autodeterminazione – osserva la Roccella -: non so quanto possa dirsi ‘autodeterminata’ la donna a cui è stata commissionata la gravidanza a pagamento”. Commissione che dopo la sentenza di ieri potrà essere esercitata liberamente, al di là di quanto affermi la legge italiana, da qualsivoglia coppia ricca, “approfittando dello stato di bisogno di donne povere”, osserva Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita.
Gigli pone infine un interrogativo inquietante: “Se il commercio del corpo umano insito nella pratica dell’utero in affitto davvero non ha nulla d’illegale, i nostri giudici sono disposti anche ad autorizzare i ricchi ad acquistare il sangue o comprare organi da trapianto venduti dai poveri dei Paesi in via di sviluppo?”. Domanda che, ad oggi, resta inevasa.