In una recente intervista concessa a ZENIT, Michele Mezza, vicedirettore di Rai International ed esperto di nuovi media, ha rilasciato alcune importanti riflessioni in merito all’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco.
“Se dovessi indicare un passaggio emblematico e gravido di straordinarie conseguenze, anche nel più immediato futuro – afferma Mezza – lo troverei nel passaggio in cui papa Francesco scrive che l’acqua come bene comune è la premessa dei diritti di cittadinanza e di libertà”. E aggiunge: “In questo passaggio, l’acqua è l’emblema dei beni comuni che oggi devono presiedere alle nuove forme di convivenza”.
Ci sembrano parole significative e quanto mai azzeccate da parte di un giornalista che, per professione e curiosità intellettuale, è impegnato a cogliere i “segni” del nostro tempo. Alla luce di queste affermazioni, rileggiamo ciò che scrive papa Francesco nel primo capitolo dell’Enciclica (paragrafi 27-31): “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”.
Un tempo, all’estremo di una vicenda o nel corso di un naufragio, si lasciava un messaggio in bottiglia affidandolo all’acqua. Oggi, all’estremo di un’epoca sospesa tra grandi visioni ed impulsi autodistruttivi, l’acqua porta a riva un messaggio – quello di papa Francesco – che vuole parlare alle nostre coscienze. E specialmente alle coscienze di quanti sono chiamati ad amministrare il bene comune e ad esercitare una responsabilità di salvaguardia della sopravvivenza del pianeta. Sopravvivenza – afferma papa Francesco – che è intimamente connessa alla “radice umana”, nel quadro di un’armonia sostenibile che rispetti i doni del Creato.
Mille anni fa, un altro Francesco scriveva versi ispirandosi al dono dell’acqua. Nel Cantico delle Creature, la prima poesia in lingua italiana, il santo di Assisi elevava una spontanea lode a Dio, alla natura e alla vita: “Laudato si’, mi’ Signore per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e casta”.
A partire da allora, la linfa vitale dell’acqua ha assunto carattere di “materiale poetico”, alimentando l’ispirazione di letterati ed artisti. Parlare dell’acqua, in forma discorsiva o poetica, significa concentrare il pensiero sul comune destino che lega l’umanità oltre le barriere dei fondamentalismi e dei pregiudizi socio-economici. Riflettere sul significato di questo destino costituisce il fine ultimo della cultura, e quindi anche della poesia.
Seguendo il filo di questi pensieri, proponiamo ai nostri lettori tre belle poesie di autori contemporanei, che hanno declinato il tema dell’acqua secondo sfumature diverse ma accomunate da una sensibilità inquieta di natura spirituale. Si tratta di tre poeti assai noti alle cronache letterarie: Corrado Calabrò, uno tra gli autori italiani più tradotti all’estero, al quale è stata recentemente conferita una laurea honoris causa da parte dell’Università di Mariupol (Ucraina); Loreley Rosita Borruto, grande animatrice della cultura calabrese; Franco Manzoni, firma del Corriere della Sera nonché regista, drammaturgo e critico letterario.
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PRIMA ATTESA
di Corrado Calabrò
Qualcosa di proteso
e trattenuto
allingua sottilmente
il mare:
l’acqua
sommerge a pena
un’occhieggiante lastra di cristallo.
Come una lente doppia
sotto l’onda incerta
la lastra in sospensione s’ispessisce
e quasi mancando
s’aggrava verso il fondo
nell’immobilità
nel silenzio nervoso,
che un’ondata
che si preannunci diversa
increspa d’impazienza.
Scompare interamente
e s’impietrisce
adesso…
Fitti fitti
febbricitanti
foglietti d’acqua
accorrono a impaginarsi d’azzurro.
…Un raggio più tiepido
un soffio più fresco:
è l’alba.
***
SEMINERÒ L’ACQUA NEL DESERTO
di Loreley Rosita Borruto
Seminerò l’acqua nel deserto
e fioriranno Bocche di Leone
Tu, mare invisibile,
Ghibli nella rosa
che devasta
e ricompone l’infinito.
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IL MIO FIUME DI FEDE
(a Beatrice, mia piccola figlia angelicata)
di Franco Manzoni
Scorre sereno largo
il mio fiume in letargo
il Po gigante disteso
riflesso di un cielo teso
nel silenzio più arreso
nel più ampio dolore
non placa l’aspro peso
di una figlia che muore
mi sto zitto
claustrale
nel cuore ho fitto
mille e uno strale
l’acqua eterna procede
mi ride e piano sale
a placare la sete di fede
non ho più male
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