Tante sono le notizie di questi giorni ma la più riccorrente è l’arrivo sulle coste italiane dei profughi e dei migranti provvenienti dalle zone di povertà e di conflitto.
Assistiamo ad incontri tra i vari paesi membri dela comunità europea, i quali si rifiutano di accogliere i migranti, o nelle migliori delle ipotesi, trovano un accordo per ripartirsi le quote di ingresso.
Viviamo davvero un paradosso tipico dei nostri tempi: da un lato ci sentiamo immersi dentro un mondo che si vanta della grande conquista della globalizzazione; dall’altro siamo testimoni di nazioni che si chiudono davanti a quegli uomini che desiderano essere accolti per fuggire da condizioni di vita ostili alla dignità umana.
È evidente che la globalizzazione è una parola che viene applicata solo quando le multinazionali o il mondo della finanza hanno l’interesse di prendere o di sfruttare i vicini ed i lontani. L’accoglienza ed il servizio sembrano essere azioni estranee al concetto di globalizzazione.
Questo tempo sarà ricordato dalla storia per il netto rifiuto delle istituzioni politiche (nazionali ed internazionali) di gestire adeguatamente il problema dell’immigrazione. Il rifiuto dell’accoglienza dei poveri e dei bisognosi rivela un cuore insensibile ed egoistico, che produce frutti di indifferenza e miseria anche per i cittadini della stessa Europa.
Lo stato di salute di un popolo si misura dalla sua capacità di accoglienza. L’inospitalità dichiarata da parte dell’Europa è un evidente segnale di un malessere che ha raggiunto tanti strati della società.
Le istituzioni politiche sembrano essere diventate incapaci di prendere delle decisioni per affrontare con efficenza il problema dell’immigrazione. Chi propone di trovare soluzioni per bloccarli alla partenza, chi propone di definire delle quote di ingresso, chi si rifiuta totalmente di farli entrare nel nostro paese.
In tutto questo disinteresse e distrazione, la malavita coglie redditizie opportunità per sfruttare la situazione di confusione, trasformando i centri di accoglienza in miniere d’oro per trarre ingenti guadagni.
Tutto questo ha una ragione semplice: la scelta di porre al centro delle priorità il dio denaro e di relegare i bisogni dell’uomo alla periferia delle iniziative sociali. In tutto questo si emargina e si esclude la famiglia, la quale è il più efficace agente di accoglienza e di aiuto dell’intera società.
Sino a questo momento si è parlato esclusivamente di centri di accoglienza (gestiti nella quasi totalità dei casi da cooperative) per gestire il flusso migratario; quasi nessuno ha parlato della famiglia come grande ed insuperabile risorsa, che ha per sua natura il dono dell’accoglienza.
Già oggi molto famiglie affidatarie hanno dato la loro disponibilità per l’accoglienza dei minori provenienti dai barconi del Mediterraneo ma le istituzioni politiche hanno preferito gestire la questione dell’immigrazione affidandosi totalmente a centri specializzati dell’accoglienza.
Visto l’alto numero dei migranti e visto il rifiuto da parte di alcune regioni, è giunto il tempo nel quale le famiglie devono essere prese in considerazione per svolgere quella missione insita nela loro natura: l’apertura alla vita attraverso l’accoglienza di un migrante.
Il migrante ha la possibilità di trovare un ambiente familiare dove trovare quel sostegno non solo economico, ma soprattutto umano e spirituale per superare il dolore e il disagio che ha lasciato alle sue spalle.
La famiglia è il vero agente educativo capace di accogliere, perchè affronta quotidianamente le necessità della vita.
I minori dovrebbero essere i primi ad essere accolti “per decreto legge” nelle famiglie affidatarie. Questo aiuterebbe a realizzare una vera accoglienza dei minori che si tradurrebbe in un reinserimento nella vita ordinaria. Spesso questi minori non hanno mai conosciuto la famiglia o hanno assistito impotentemente alla perdita dei loro genitori. Offrire a questi ragazzi una famiglia significa donare loro una speranza per il futuro.
Anche l’accoglienza di mamme con i loro bambini è una situazione che tante famiglie potrebbero essere in grado di affrontare. È una situazione di affido familiare che restituirebbe giusta dignità e sano vigore a tante persone che hanno sofferto già molto nella vita.
Il coinvolgimento della famiglia sarebbe un atto di maturità e di responsabilità dello stato, il quale probabilmente riacquisterebbe maggiore fiducia e rispetto da parte di molti suoi cittadini.
Ma il dubbio da affrontare è sempre lo stesso: sarà capace lo Stato di decidere di intraprendere una vera politica del sociale sfruttando la risorsa delle famiglie o si lascierà imbrigliare nella rete della corruzione, che predilige enti esterni gestibili e controllabili, per trarre profitti e guadagni individuali a discapito delle famiglie e degli stessi migranti?