“Accogliere come la terra che non domina il seme, ma lo riceve, lo nutre e lo fa germogliare. Così vogliamo essere noi cristiani”. Il Pontefice rievoca le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni – “Non vi chiamo più servi, vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15) – nella sua omelia per la Messa nel Campo grande di Ñu Guazú.
È questa una ex base aerea militare, lo stesso luogo in cui Giovanni Paolo II canonizzò San Roque Gonzalez de Santa Cruz e Compagni durante il Viaggio Apostolico in Paraguay del 1988. Oggi un Santuario sorge nel campo per ricordare l’evento.
Filo conduttore della riflessione del Pontefice è la parola “accogliere”, sulla scia dell’insegnamento di Gesù Cristo che non inviò i suoi discepoli “come potenti, come proprietari, capi, carichi di leggi, norme”; ma, al contrario, indicò loro che il cammino del cristiano è “trasformare il cuore”.
“Il cristiano è colui che ha imparato ad ospitare, ad accogliere”, sottolinea infatti il Santo Padre, “passando dalla logica dell’egoismo, della chiusura, dello scontro, della divisione, della superiorità, alla logica della vita, della gratuità, dell’amore”. Il cristiano, prosegue, “impara a vivere in un altro modo con un’altra legge, sotto un’altra normativa, passando dalla logica del dominio, dell’oppressione, della manipolazione, alla logica dell’accogliere, del ricevere, del prendersi cura”.
In tal ottica, il Papa invita i fedeli del Paraguay e del mondo a non pensare la missione “sulla base di progetti o programmi”: “Quante volte – dice – immaginiamo l’evangelizzazione intorno a migliaia di strategie, tattiche, manovre, trucchi, cercando di convertire le persone con le nostre argomentazioni. Oggi il Signore ce lo dice molto chiaramente: nella logica del Vangelo non si convince con le argomentazioni, le strategie, le tattiche, ma imparando ad ospitare”.
“La Chiesa – evidenzia Francesco – è la casa dell’ospitalità, è la madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa è la casa dell’ospitalità. Quanto bene possiamo fare se ci incoraggiamo ad imparare il linguaggio dell’ospitalità, dell’accoglienza! Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto”.
Il Papa invoca quindi una piena, totale, “ospitalità”: “con l’affamato, con l’assetato, con lo straniero, con il nudo, con il malato, con il prigioniero, con il lebbroso, con il paralitico”. “Ospitalità – prosegue – con chi non la pensa come noi, con chi non ha fede o l’ha perduta. Ospitalità con il perseguitato, con il disoccupato. Ospitalità con le culture diverse, di cui questa terra è così ricca. Ospitalità con il peccatore”.
Secondo il Pontefice, infatti, il male “che ci precede e che mangia la nostra vitalità” è la solitudine, che “ci separa dagli altri, da Dio, dalla comunità. Ci rinchiude in noi stessi”. “Perciò, – ribadisce – quello che è proprio della Chiesa, di questa madre, non è principalmente gestire cose, progetti, ma imparare a vivere la fraternità con gli altri”.
Inoltre, secondo Francesco, la fraternità accogliente è “la migliore testimonianza che Dio è Padre”; e in questo modo, Gesù apre ad “un orizzonte pieno di vita, di bellezza, di verità, di pienezza”. “Dio non chiude mai gli orizzonti – esclama il Pontefice -. Dio non è mai passivo di fronte alla vita e alla sofferenza dei suoi figli. Dio non si lascia mai vincere in generosità”. Gesù è stato inviato sulla terra proprio per insegnarci la fraternità, per insegnarci il dono.
Certo è che “non possiamo obbligare nessuno a riceverci, ad ospitarci”, ammette il Papa. Tuttavia, “è altrettanto certo che nessuno può obbligarci a non essere accoglienti, ospitali verso la vita del nostro popolo. Nessuno può chiederci di non accogliere e abbracciare la vita dei nostri fratelli, soprattutto di quelli che hanno perso la speranza e il gusto di vivere”.
Il modello da seguire per la Chiesa e per il popolo di Dio è sempre Maria: Ella, conclude il Santo Padre, “non ha dominato né si è impadronita della Parola di Dio, ma, al contrario, l’ha ospitata, l’ha accolta, portata in grembo e l’ha donata”.