C’è una realtà consolidata intorno a noi di cui dobbiamo prendere al più presto coscienza, pena l’arretramento dell’umanità verso modelli esistenziali, capaci di invertire l’ordine naturale delle cose. Basta accostarsi per un attimo alla finestra della vita che affaccia sul mondo! È facile avvertire subito la presenza di un relativismo che avanza senza intoppi. Lanciando poi lo sguardo oltre gli “ostacoli truccati” da un potere di mercato sempre più esclusivo, appare nitido a chiunque un quadro esistenziale molto compromesso. Attore principale è di fatto un comportamento umano complice ogni giorno di una società, in cui da una parte si mettono in discussione le verità oggettive del Creato e dall’altra ci si auto assolve da ogni peccato, sicuri della benedizione di un Dio tuttavia misericordioso. In un scenario del genere lo stesso prete rischia di essere snaturato nella sua missione, quale mediatore consacrato tra l’uomo e il cielo, per essere asservito a delle logiche di compromesso fine a se stesse. Un modello di condotta quotidiana che, pur di attirare a sé una “copertura” a delle proprie mancanze, è in grado di svuotare di significato una chiamata personale come quella necessaria di un religioso. Il risultato non può che riflettersi al contrario sulla salvezza e il bene individuale e di una comunità intera. D’altronde è cosa risaputa che l’uomo pensi con frequenza di poter modificare qualsiasi realtà esistente di fronte alle sue esigenze terrene, spesso costruite a tavolino per stimolare nuovi bisogni e inedite dipendenze. Ma è così che un fine, originato probabilmente soltanto da una ragione economica, può diventare senza scampo una forzatura pericolosa nei confronti dell’equilibrio che regge il cammino dell’essere umano! Né tantomeno ci si può aspettare un passo indietro dinnanzi ad un disastro generato da una situazione del genere. La finanza che investe avanza come una ruspa e di solito non si ferma dinnanzi a questi ostacoli. I soldi è vero che non abbiano un’anima, ma l’uomo pare non se ne voglia curare minimamente, pronto per comunanza ad abbandonare anche la sua.
C’è poi la tendenza a stupirsi dinnanzi ad alcune realtà obiettive, non per rafforzare la vocazione alla fede, ma per istituzionalizzare magari la propria incredulità. Una sorte di difesa ipocrita, al fine di non riconoscere chiunque possa mettere in discussione le nuove verità soggettive, che i tempi odierni ci stanno propinando a dosi misurate, prima del botto finale. Un atteggiamento che da sempre prende forma e si sviluppa, specie dinnanzi alla azioni, pur significative, di qualcuno che non sia parte attiva del potere economico o politico del tempo. Non c’è da scandalizzarsi per questa chiusura che ritarda il corso illuminato della storia, se si pensa che persino Gesù è stato la vittima più illustre di questa pessima attitudine degli uomini. Nel vangelo di Marco si legge che il Figlio dell’Uomo si rechi nella sua patria e di sabato si metta ad insegnare nella sinagoga. Molti lo ascoltano e rimangono stupiti, mentre l’incredulità prende il sopravvento sulla fede. Da un lato lo si ammira per quello che dice, dall’altro non si crede in Lui per la povertà della sua origine. A Nazaret ognuno conosce Gesù e la sua famiglia. Tutti sanno della sua povertà che lo pone fuori da ogni contesto accreditato in quel territorio. Quanto basta per quella gente di non accettare la verità dello stesso Gesù figlio del Padre. Dice a proposito il teologo mons. Di Bruno: “Questi di Nazaret si dimenticano che la struttura di ogni uomo è per tutti uguale. Ogni uomo è fatto di polvere del suolo. Ogni uomo è terra, fango, nullità dinanzi a Dio. Se l’uomo vuole fare qualcosa per il suo Signore deve chiedere al suo Dio che lo raccolga come ha raccolto la terra del primo uomo, lo impasti, lo inondi del suo spirito, lo ricolmi della sua forza e verità. Senza questo riempimento, o riversamento di Dio in lui nessuna opera di Dio potrà essere fatta. Senza Dio riversato interamente nell’uomo non vi sono né suoi profeti, né suoi re, né suoi sacerdoti”.
Ogni uomo che vive nel Dio di Abramo può cambiare la storia, anche se come il Messia rischia di non essere compreso e accettato dal suo mondo. Da sempre i profeti sono stati i primi a non essere riconosciuti nella loro patria, ma non per questo si sono fermati o rinnegato la loro chiamata. Il problema è che oggi si fatica da cristiani a credere nella propria missione salvifica. Dai ruoli occupati in famiglia, nella professione, in politica, nel sistema economico, sanitario, ambientale, ecc., arrivano segnali di assuefazione al pensiero dominante. Come sia possibile, ad esempio, che in una scuola, con un numerato elevato di insegnanti che si richiamino alla spiritualità cristiana, passi una teoria come quella del gender? Una dottrina pseudo-scientifica che disarma il genere umano, affermando che non esista una differenza biologica tra uomini e donne, ma solo una diversità culturale che può essere perciò cambiata. Il cristiano sta zitto nel suo posto di lavoro e magari poi partecipa alla grande manifestazione in piazza a Roma. Non serve, se il suo comportamento si rende nella quotidianità complice di un disastro. L’uomo è da Dio, non da se stesso. Rifacendoci a quanto riportato prima da un incontro di catechesi, si può serenamente affermare che è Lui, anche quando chiama il singolo, che prende la polvere del suolo, la impasta, la inonda del suo Spirito Santo, infonde in essa la sua Parola e si riversa Lui stesso, anche nel suo chiamato. Questi rifatto da Dio può compiere le sue opere. A tutto questo l’uomo oppone resistenza e priva il Signore della sua presenza nella società odierna. La responsabilità è enorme, ma si fa finta di nulla. Se Samuele, come ci ricorda la Bibbia, non avesse ascoltato il Signore, mai il giovane pastore Davide sarebbe potuto diventare il re d’Israele. La cecità spirituale è oggi sempre più acuta e la luce viene confusa con il buio. È tempo di un intervento chirurgico celeste, perché l’uomo ritrovi la sua vista interiore perduta. Un modo certo per passare, come ha detto Papa Francesco in Bolivia, dal benessere al bene comune, da ciò che “è meglio per me” a ciò che “è meglio per tutti”.
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