Quanto sta accadendo nel corso del viaggio di papa Francesco in America Latina è qualcosa di rivoluzionario. Come è noto una parte del clero e dei cattolici latinoamericani avevano radicalizzato la propria testimonianza cristiana opponendosi in maniera forte contro le ingiustizie sociali ed economiche. A causa anche di alcune deformazioni di tipo ideologico il fenomeno della Teologia della liberazione era stato mal interpretato ed aveva provocato divisioni. Ma i tempi sono maturi per un superamento delle discordie in nome di una nuova unità che indica il messaggio cristiano come liberatore, senza equivoci di sorta. Ed è quello che sta accadendo nei luoghi dove Papa Francesco incontra il popolo e le autorità. Per capire di più cosa sta accadendo, ZENIT ha intervistato Michele Mezza Michele Mezza, giornalista, scrittore e docente universitario. Nel 1998, Michele Mezza ha ideato, curato e realizzato il progetto per la creazione di Rainews24, il primo canale televisivo all-news della televisione italiana, del quale è stato vice-direttore. È attualmente vice-direttore di Rai International. Di seguito l’intervista.
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Lei conosce abbastanza bene il dibattito sul rapporto tra cristianesimo e sinistra politica in America Latina: come è da interpretare il crocefisso con la falce e il martello donato da Evo Morales al Papa?
Nella società della comunicazione in cui siamo immersi, credo che il presidente Morales, con quell’esibizione del dono ipersimbolico, abbia voluto riprendersi la scena del presidente campesino, del leader rivoluzionario, che papa Francesco gli aveva candidamente rubato con le sue affermazioni. Ancora una volta vale la regola che papa Francesco ha imposto a tutto il mondo: non mi farò imprigionare nelle mura della Curia Romana né mi farò schiacciare dai cliché. Il Papa di Roma è tornato nella sua America latina, la fine del mondo, per annunciare che molto è cambiato nella Chiesa di Cristo e che tutti dovranno prenderne atto. Il regalo simbolico del crocefisso sormontato dalla falce e dal martello nelle mani del Papa perde la sua potenza provocatoria e diventa quasi un atto di sottomissione delle più eretiche teorie rivoluzionarie rispetto a chi sta conducendo la rivoluzione più profonda, quella della parola.
Appena arrivato in Bolivia, Evo Morales ha accolto il Papa riconoscendogli la guida nella difesa del popolo, indicando nel pontefice il ruolo di liberatore nel nome di Cristo. Che ne pensa?
È la conferma quello che dicevo prima. È evidente che nei paesi sudamericani parlare del Dio denaro o degli irrinunciabili diritti dei popoli significa qualcosa di più esplicito e rilevante che altrove. Il Sud America è stato il grande incubatore della teologia della liberazione, con Helder Camara e padre Romero. Una teologia che ha avuto momenti di asprissimo contrasto con la cattedra di Pietro. Trovarsi ora dinanzi un Papa che afferma candidamente che è Cristo che interpreta quelle aspirazioni di libertà ed emancipazione significa sconvolgere ogni tradizione e ogni rendita di posizione. Nessuno potrà ora mantenere il monopolio di certi valori e nessuno li potrà escludere dalla parola evangelica.
Nel corso del viaggio in America Latina, Papa Francesco ha menzionato più volte la sua recente enciclica Laudato si’…
Proprio in Sudamerica, il Papa ha enfatizzato questo passaggio per dare una chiara base sociale e anche un radicamento territoriale al suo ragionamento. Possiamo dire che questa sia un enciclica particolarmente “sudamericana”. Un documento che parla direttamente a quelle popolazioni tramite categorie e linguaggi – acqua, cibo, dignità, emancipazione – che in quelle terre valgono lacrime e sangue. Con l’acqua, il cibo, la scuola e le potenze tecnologiche. Sono questi i nuovi capitoli di un discorso concreto e spirituale sulla libertà contemporanea. Una libertà che vede l’uomo tornare al centro dello scenario naturale, diventando motore e non strumento delle relazioni sociali, sulla base di una straordinaria autonomia di ogni individuo ma anche e sopratutto di una ineluttabile relazione comunitaria fra tutti gli individui. L’acqua è il primo elemento di una scala di concetti di cui mi aspetto nuove riflessioni, che danno concretezza e spessore alle ambizioni di libertà ed eguaglianza. Si riprende qui il lungo e resistentissimo filo della Populorum Progressio e, più in generale, del Concilio Vaticano II. Papa Francesco, senza alcuna forma di subalternità o di disorientamento entra nel Cortile dei Gentili – per dirla con cardinale Ravasi – e afferma una leadership morale e materiale della comunità ecclesiale.
Secondo Lei quali sono le novità di questa enciclica?
Quest’enciclica, al momento, è il vero tornante teologico e culturale del dibattito globale. Pensiamo alle miserie che stiamo osservando in Europa o a quanto sta accadendo in Asia e in Africa. Ma pensiamo anche al tema del confronto geo-teologico con le componenti più radicali dell’Islam. Il Papa ha urlato a tutti questi soggetti che la sfida oggi su questa terra è su come realizzare una vita nuova. Quel documento è un vero tsunami sulla scena del mondo. I punti e le riflessioni sono tante. Ma se dovessi indicare un passaggio emblematico e gravido di straordinarie conseguenze, anche nel più immediato futuro, lo troverei nel passaggio in cui papa Francesco scrive che l’acqua come bene comune è la premessa dei diritti di cittadinanza e di libertà. In questo passaggio, l’acqua – il testo lo fa capire esplicitamente nel suo divenire – è l’emblema dei beni comuni che oggi devono presiedere alle nuove forme di convivenza.
Molti hanno parlato di una enciclica che sta rivoluzionando il mondo. Quali sono, secondo Lei, i punti ed i passaggi cruciali da tenere in mente?
Ambiente e relazioni sociali. Questo nesso è forse la vera svolta concettuale che si attendeva, dopo decenni di inconcludenti dibattiti sui limiti dello sviluppo. Il Papa dice che bisogna cambiare i meccanismi economici e sociali, bisogna cambiarli radicalmente, in modo da riequilibrare le relazioni fra gli stati e negli stati. L’obiettivo è quello di un’armonia sostenibile e condivisa. Ecco, questo mi sembrerebbe un buon titolo per il pensiero del papa: un’armonia sostenibile e condivisa.
Alle luce di questi sviluppi, Lei pensa che il Papa sia un comunista, come hanno scritto alcuni organi di stampa, oppure si tratta di qualcosa di diverso?
Mi sembra una vera sciocchezza. Direi una pacchiana sciocchezza. Anche perché, senza che ci sia un comunismo politico nel mondo che associ l’idea di liberazione dell’uomo a quella dell’ateismo, come storicamente è avvenuto nel secolo scorso, oggi rimarrebbe del tutto da ricostruire una idea di eguaglianza di giustizia. Il Papa mi sembra che voglia riprendersi quello che ritiene suo, ossia della sua Chiesa: il primato nell’aver portato sulla terra, plausibilmente come obbiettivo concreto, l’idea dell’eguaglianza fra tutti gli uomini. Idea che sta coincidendo sempre più con l’unica formula possibile di sopravvivenza del pianeta. Banalmente, se posso spingermi a tanto, il Papa dice: noi l’avevamo detto , prima, molto prima.
Seguendo il suo ragionamento, cosa si attende come prossima sorpresa?
Non voglio forzare, né strumentalizzare quanto sta avvenendo, ma io mi attendo intanto una prossima uscita sull’acqua del XXI secolo, ossia il software, l’algoritmo, la riduzione di ogni attività umana ad un ‘soluzionismo’ unidirezionale. Credo che il Papa stia riflettendo molto su questo aspetto dell’innovazione che non si stanca di definire un regalo del Signore che deve essere difeso da ogni inquinatore e speculatore. Infine, se posso, mi attendo per il prossimo ottobre uno straordinario spettacolo di condivisione e di comunità che il Papa darà al mondo con la sessione ordinaria del
Sinodo sulla famiglia. Non saranno tanto le soluzioni che verranno adottate a stupire ma il modo e il metodo che verrà scelto: parlare, discutere, condividere e decidere tutti assieme. Sarà uno spettacolo che stupirà perfino il popolo della rete.