Lo scenario è splendido nell’assolatissima piazza del Cristo Rendentore a Santa Cruz de La Sierra, dove il Papa celebra la prima Messa pubblica della sua tappa in Bolivia, aprendo anche il V Congresso Eucaristico nazionale, che proseguirà poi nella città di Tarija.
In mezzo a due milioni di persone, in gran parte campesinos, che cantano, piangono, pregano in varie lingue (le preghiere eucaristiche sono in spagnolo e negli idiomi indigeni guaranì, quechua e aymara), che sventolano bandiere o si raccolgono in preghiera, si erge l’enorme capanna lignea dove è stato allestito il palco per la funzione. Un gioco di intarsi e decori, ispirati alle missioni gesuitiche che intorno al 1500 approdarono proprio in territorio boliviano. Tutto, poi, si svolge sotto lo sguardo della grande statua del Cristo Redentore, patrimonio culturale di Stato, che con le sue braccia alzata sembra voler dare la sua benedizione alla moltitudine di fedeli.
A colpire è anche il pastorale del Pontefice, un piccolo capolavoro di artigianato realizzato da una comunità indigena locale che collabora con la Compagnia di Gesù: in legno, dipinto a mano, con intagliata una bella immagine di Cristo.
E proprio a partire dalla figura del Figlio di Dio si muove la riflessione del Santo Padre, che subito evidenza che “nel nome di Gesù” sono nate in queste terre miriadi di comunità “delle quali noi siamo eredi”. “Siamo venuti da diversi luoghi, regioni, paesi, per celebrare la presenza viva di Dio tra di noi”, aggiunge poi nell’omelia, “siamo usciti da alcune ore dalle nostre case e comunità per poter stare insieme, come Popolo Santo di Dio”.
Una situazione simile a quella descritta dal Vangelo di Marco sul miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: “Come quelle quattromila persone, noi siamo desiderosi di ascoltare la Parola di Gesù e di ricevere la sua vita. Loro ieri e oggi noi, insieme al Maestro, Pane di vita”, afferma il Papa. Si dice commosso nel vedere “tante madri con i loro figli sulle spalle, come fanno qui molte di voi”: esse “portano su di sé la vita, il futuro della loro gente. Portano le ragioni della loro gioia, delle loro speranze. Portano la benedizione della terra nei frutti. Portano il lavoro realizzato dalle loro mani”.
“Mani che hanno plasmato il presente e che tesseranno le aspirazioni del domani. Ma portano sulle loro spalle anche disillusioni, tristezze e amarezze, l’ingiustizia che pare non avere fine e le cicatrici di una giustizia che non si realizza. Portano su di sé la gioia e il dolore della loro terra”.
“Voi portate la memoria del vostro popolo”, sottolinea Francesco, trasmessa di generazione in generazione. Una memoria che dunque è “in cammino”. E durante questo cammino, a volte, si sperimenta la “stanchezza” o “mancano le forze”. “Quante volte – osserva il Santo Padre – viviamo situazioni che pretendono di anestetizzarci la memoria, e così si indebolisce la speranza e si vanno perdendo le ragioni della gioia. E comincia a prenderci una tristezza che diventa individualista, che ci fa perdere la memoria di essere popolo amato, popolo eletto”.
“Questa perdita ci disgrega, fa sì che ci chiudiamo agli altri, specialmente ai più poveri”, ammonisce. Come ai discepoli del Vangelo che davanti a quella folla affamata si scoraggiano, anche noi “di fronte a tante situazioni di fame nel mondo possiamo dire: ‘Non tornano i conti’. Perché certe situazioni “è impossibile” affrontarle, “e allora la disperazione finisce per prenderci il cuore”.
Il rischio, però, – avverte il Papa – è che “in un cuore disperato è molto facile che prenda spazio la logica che pretende di imporsi nel mondo di oggi”. Logica che “cerca di trasformare tutto in oggetto di scambio, di consumo, tutto negoziabile”, che pretende “di lasciare spazio a pochi”, che scarta “tutti quelli che ‘non producono’”, perché inidonei, indegni, “perché apparentemente ‘i conti non tornano’”.
Ma lo stesso invito che Cristo rivolge agli apostoli – “Non è necessario che se ne vadano, date loro voi stessi da mangiare” – oggi risuona con forza per noi in questa piazza: “Non è necessario escludere nessuno, non è necessario che alcuno se ne vada; basta con gli scarti, date loro voi stessi da mangiare”, afferma il Papa. Nella visione di Gesù non esiste infatti “una logica che ‘taglia il filo’ a chi è più debole, a chi ha più bisogno’”. Lui indica una strada differente che si snoda su tre parole-chiave: prende, benedice, consegna, grazie alle quali questa logica dello scarto si trasforma “in una logica di comunione”.
Prende, spiega il Papa, nel senso che Gesù “prende molto seriamente la vita dei suoi”, “valorizza tutto ciò che di buono possono offrire, tutto il bene sulla cui base si può costruire”. Perché “l’autentica ricchezza di una società si misura nella vita della sua gente, si misura negli anziani capaci di trasmettere la loro saggezza e la memoria del loro popolo ai più piccoli”. Gesù, perciò, “non trascura la dignità di nessuno”.
Anzi benedice per ogni cosa, perché “sa che questi doni sono un dono di Dio”. Non li tratta pertanto come “una cosa qualsiasi”, ma come “frutto dell’amore misericordioso” di Dio. Benedire significa questo, rimarca il Papa: saper “riconoscere che la vita è sempre un dono, un regalo che, posto nelle mani di Dio, acquisisce una forza che lo moltiplica”. Infine, dedizione. In Gesù “non esiste una benedizione che non sia dedizione”, dice Bergoglio, perché “la benedizione è sempre anche missione, ha una finalità, condividere, il dividere insieme quello che si è ricevuto”. E “solo nella dedizione, nel con-dividere troviamo, come persone umane, la fonte della gioia e facciamo esperienza della salvezza”.
È dunque una dedizione “che desidera ricostruire la memoria di essere popolo santo, popolo invitato, chiamato a portare la gioia della salvezza”. Memoria che, come quei pani e quei pesci, passa di mano in mano “fino a giungere a quelli più lontani”, fino a “saziare” tutto un popolo. Esattamente il mistero che si compie con l’Eucaristia, che – evidenzia il Pontefice – è «Pane spezzato per la vita del mondo», come proclama il motto del V Congresso Eucaristico al via oggi, attraverso il quale la Chiesa “fa memoria” del sacrificio del Signore.
Quindi “memoria”, rimarca il Papa, perché la Chiesa non è altro che “una comunità che fa memoria”, centrata su Cristo “che vuole che partecipiamo della sua vita e che, attraverso di noi, essa si vada moltiplicando nella nostra società”. “Non siamo persone isolate, separate, ma il Popolo della memoria attualizzata e sempre offerta”, afferma Papa Francesco, “una vita che fa memoria ha bisogno degli altri, delle relazioni, dell’incontro, di una solidarietà reale che sia capace di entrare nella logica dell’accogliere, benedire e offrire”. Nella logica, cioè, “dell’amore”.