Questa mattina, dopo la cerimonia di benvenuto in Bolivia, Papa Francesco ha sostato brevemente presso il luogo dell’assassinio di padre Luis Espinal Camps, sacerdote gesuita, giornalista, cineasta, fondatore e direttore del settimanale cattolico Aquí. Attivo nelle lotte sociali e simbolo dello sciopero della fame di 19 giorni, durante il periodo della dittatura nel 1977, Espinal per tre settimane visse giorno e notte accanto alle famiglie dei minatori.
Fu trucidato dagli squadroni della morte il 21 marzo 1980.
Papa Francesco ha voluto ricordare personalmente il religioso, che ha definito “fratello nostro, vittima di interessi che non volevano si lottasse per la libertà”. “Padre Espinal predicava il Vangelo e questo Vangelo disturbava e per questo lo hanno assassinato”, ha aggiunto il Pontefice, invitando a fare un minuto di silenzio e a pregare. Padre Espinal “ha predicato il Vangelo – ha ripreso il Papa – il Vangelo che ci porta la libertà, che ci fa liberi. Come ogni figlio di Dio, Gesù ci dà questa libertà e lui ha predicato questo Vangelo”.
Nato nel 1932 nel villaggio di San Fruitós de Bages, in Spagna, Luis Espinal Camps – ricorda L’Osservatore Romano – crebbe in un ambiente familiare cristiano, tanto che tre fratelli si consacrarono alla vita religiosa. Nel 1944, avvertendo i primi segni della vocazione, entrò nel seminario minore dei gesuiti a Roquetas con la volontà di seguire Cristo nel servizio agli altri. Fu ordinato sacerdote a 30 anni, a Barcellona, dopo aver insegnato greco e studiato filosofia nell’università locale e tecniche della comunicazione sociale a Bergamo.
Per due anni svolse un intenso lavoro nel settore dei media in Catalogna con reportage televisivi, articoli di critica cinematografica sulle riviste Sipe e Reseña, e collaborò con vari giornali e periodici. Iniziò pure una serie televisiva tra le più seguite nella nazione, Cuestión Urgente, che analizzava in maniera critica temi religiosi di attualità e le povertà emergenti. Grazie alla sua specializzazione in ambito mediatico, ebbe subito una cattedra all’università cattolica, a cui si aggiunse l’impegno di collaborare con la locale Radio Fides.
Per la televisione iniziò il programma Carne viva e nel 1979 fondò il settimanale Aquí, un giornale di poche pagine, ma che si sforzava di dar voce ai poveri facendo anzitutto parlare la forza liberatrice del Vangelo. Per questo scelse di vivere a fianco di alcune famiglie di minatori. Un gesto che ebbe una grande risonanza, ma acuì l’ostilità dei gruppi che ne decisero la morte. Lui stesso predisse il suo tragico destino, che si realizzò la mattina del 21 marzo 1980. L’ultimo giorno di lavoro al giornale, poche ore prima di essere catturato, aveva scritto: “Le minacce non riusciranno a mutare la mia condotta di una virgola”.
La notizia dell’assassinio del gesuita scosse profondamente La Paz. Lo dimostrarono i numerosi comunicati stampa e articoli di giornali a lui dedicati, che non esitarono a definirlo “profeta della giustizia”, “instancabile difensore dei diritti umani”, “voce di chi non ha voce”, “martire della democrazia”. Ma lo dimostrarono soprattutto le oltre 80mila persone che vollero accompagnare il feretro fino al cimitero.