Rimane segnata dall’incertezza la vicenda del sacerdote francescano iracheno Dhiya Azziz, il parroco del villaggio siriano di Yacoubieh prelevato sabato 4 luglio da miliziani delle organizzazioni jihadiste che controllano la regione. Tuttavia tra i membri della comunità parrocchiale e tra i confratelli della Custodia francescana di Terra Santa le apprensioni per la sua sorte si mescolano a caute speranze di un suo rapido rilascio.
Padre Dhiya – come riferito da un comunicato della Custodia – è stato portato via dalla brigata di miliziani che hanno detto di doverlo portare a un breve incontro con l’emiro che esercita l’autorità nella regione, attualmente sottoposta al dominio del Fronte al-Nusra, braccio siriano di al-Qaida. In un momento successivo, due miliziani sono stati inviati in parrocchia a prendere le medicine del frate, che soffre di diabete e ha altri problemi di salute. Questo dettaglio – sottolineano fonti locali contattate dall’agenzia Fides – fa ben sperare, perchè conferma che padre Dhiya è vivo e potrà gestire i suoi problemi di salute. A suscitare perplessità è la totale mancanza di informazioni riguardo al motivo del suo prelevamento.
Padre Azziz, iracheno, da due anni aveva scelto volontariamente di andare a servire la parrocchia latina di Yacoubieh, nella provincia Idlib, in un distretto da tempo in mano ai gruppi jihadisti che nell’area hanno dato vita anche a istituzioni amministrative e giudiziarie incaricate di gestire il nuovo “ordine” politico islamista. Mentre i sacerdoti e i religiosi di altre Chiese e comunità cristiane hanno abbandonato la zona, a Yacoubieh e nel vicino villaggio di Knayeh sono rimaste aperte le due parrocchie affidate ai francescani, che continuano a assicurare la cura pastorale per le comunità locali, ridotte a poche centinaia di fedeli.
Il religioso ha sempre cercato di tenersi fuori dalle questioni politiche e militari legate al conflitto siriano, conferma Fides. Ha continuato a offrire il suo servizio pastorale ai parrocchiani e a promuovere iniziative di solidarietà concreta anche a favore dei tanti rifugiati musulmani arrivati in quei villaggi cristiani. Pur di continuare a svolgere la sua missione nel luogo dove lo ha portato la sua vocazione, si è sottoposto alle disposizioni imposte dagli islamisti che vietano l’esposizione esterna delle croci e delle statue dei Santi, così come il suono delle campane. Proprio questo suo rispetto delle regole imposte dall’”ordine islamista” rende enigmatico il caso del suo prelevamento, che appare tuttora immotivato.