Saint Francis with the stigmata. Stained glass window in Kyjov

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Come Francesco passò dal luccichio alla luce!

Quando ci sentiamo soli, disorientati, feriti, abbandonati… È allora che la nostra preghiera mal pronunciata, squarcia i Cieli in virtù della nostra debolezza, affinché la vera Luce ci faccia risorgere

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“Buongiorno prof, ieri sera mi sono collegata al tuo blog e ho trovato la nuova riflessione riguardante la Sacra Sindone. Dopo averla letta sono andata a nanna e prima di addormentarmi mi è venuta in mente questa cosa: E se fossimo noi la Sindone? … forse LUI risorgendo potrebbe lasciare su di noi un’impronta.“

*

Gabriella, sai qual è la cosa che più mi affascina della sindone? La luce. Quella luce piena di energia che ha portato “fuori” dal lenzuolo di morte, l’uomo che vi era stato deposto. Un’esplosione di luce, dicono gli scienziati.

Il prof. Aaron Upinsky ha detto: “Uno dei più grandi misteri della Sindone è come il cadavere, staccandosi dal tessuto, non lo abbia toccato. Egli è volato via senza alterarne minimamente le fibre, senza strapparle e senza modificare le macchie di sangue già esistenti… Questo è un fatto decisivo e non contestato da nessuna scienza. Si spiega unicamente per la ‘dematerializzazione’ del corpo, che vola via dal lenzuolo non essendo più soggetto alle leggi della natura”.

La radiazione…la luce…l’energia…che cosa sarà stato mai?!

Gli studi dell’Enea affermano che, per colorare istantaneamente la superficie di un lino corrispondente ad un corpo umano di statura media,  è richiesta una potenza totale delle radiazioni VUV pari a 34mila miliardi di watt (potenza che, ad oggi, non può essere riprodotta da nessuna sorgente di luce VUV).

Ora chiudiamo gli occhi ed immaginiamo quella luce. La Luce del mondo; quella che illumina ogni uomo. La Luce che irradia creazione in ogni punto cardinale ed illumina vita in ogni ora terrena. Poi rammentiamo ogni volta che ci siamo sentiti morire nel buio più buio. Quella morte spirituale che ci fa sentire soli, disorientati, impauriti, feriti, disperati, abbandonati, delusi, scoraggiati… È allora che la nostra preghiera mal pronunciata, squarcia i Cieli in virtù della nostra debolezza, affinché la vera Luce ci faccia un po’ risorgere. 

È il balbettio dei nostri “Venerdì santi”, fatto con la tenue speranza che la Luce ci porti fuori dal lenzuolo di morte. E chi potrà fare questo miracolo, se non Dio? E chi, se non il Creatore, potrà soffiarci dentro la Luce da cui noi stessi proveniamo? Solo con questa Luce riusciremo a superare ogni nostro Venerdì Santo. Anche l’ultimo: quello della nostra morte.

Raffaello Sanzio (che, com’è noto morì proprio nel Venerdì Santo del 1520, a soli 37 anni) volle appendere nella sua camera, la Trasfigurazione (l’opera su cui stava lavorando). Il pittore, nell’arco di quindici giorni, se ne andò all’altro mondo. Era ricco, bello, bravo e famoso e quella febbre acuta che, in due settimane se lo portò via, aveva interrotto ogni suo sogno.

Ma lui volle morire guardando la “Trasfigurazione”, aggrappandosi a quella luce che aveva rese le vesti di Gesù “candide, splendenti, sfolgoranti, bianchissime”, facendo specificare a Marco che “nessun lavandaio sulla terra avrebbe mai potuto renderle così bianche”. Quella stessa Luce che aveva reso il volto di Mosè “tutto raggiante e splendente”, dopo i quaranta giorni passati sul Sinai, a contatto con Dio. Per questo è scritto “Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre” (1 Gv 1,5). E quando si legge “E la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno ricevuta” (Gv 1) si capisce subito che non è per niente facile far posto alla luce, perché a volte siamo stregati da ciò che luccica e non da ciò che illumina.

Succede a tutti noi. È accaduto anche a San Francesco. Era il 1198 e tutta l’Italia era in uno stato di allarme. Il Papa litigava con l’imperatore e Gualtiero di Brienne dirigeva l’esercito papale. Il capitano normanno ogni battaglia la trasformava in vittoria così che bastava il suo nome per suscitare entusiasmi. Anche ad Assisi un nobile (di nome Gentile) pensò bene di partecipare a questa guerra (che assomigliava sempre più ad una crociata) con il fior fiore della gioventù assisana. La nobiltà della causa e la possibilità di essere fatto cavaliere presero Francesco ed in lui si risvegliarono i sogni cavallereschi di un tempo.

A 25 anni Francesco si unì alla spedizione. L’entusiasmo era alle stelle ed in poche settimane preparò il suo corredo bellico. La mattina della partenza, Assisi sembrava un alveare in movimento. Dappertutto baci, abbracci, lacrime, sventolii di fazzoletti verso la spedizione militare che stava uscendo dal portone orientale della città in direzione Foligno. La meta era il regno di Sicilia. Francesco non poteva certo immaginare che la sua avventura sarebbe finita già nella prima tappa notturna di Spoleto.

Il ragazzo si mise a dormire tra lo splendore del suo corredo da cavaliere. Il giubbone imbottito, la spada, lo scudo blasonato…tutto luccicava dei suoi sogni di grandezza. Ma quella notte la vera Luce si impossessò di Francesco. Lui si sentì come una spiaggia inondata dall’alta marea divina e tutto divenne sicurezza, certezza, luce, calore, gioia, giubilo, forza, pace, dolcezza, libertà…  Non è stato un semplice sogno ma quello che nella Bibbia si chiama “la visita di Dio”.

Ascoltò una voce che gli chiedeva: “Francesco, dove vai?”. “Nelle Puglie, a combattere per il Papa”. “Dimmi: chi ti può ricompensare meglio, il padrone o il servo?”. “Che debbo fare Signore?”. “Ritorna a casa e capirai tutto”. La mattina seguente Francesco tornò ad Assisi, abbandonando il luccichio delle armi e splendente di Luce. Come Isaia anche lui sentì: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Isaia 60, 1)

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[Tratto da www.intemirifugio.it]

 

 

 

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Maria Cristina Corvo

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