La nuova enciclica di Papa Francesco Laudato Si’ affronta molte tematiche dell’ecologia: dal problema dei cambiamenti climatici all’inquinamento, dalla questione degli organismi geneticamente modificati alla sperimentazione sugli animali. Si tratta di un testo complesso e che presenta diversi livelli, e c’è il rischio concreto che molti “commentatori” si limitino a estrapolare solo alcune affermazioni per confermare le proprie teorie e sostenere che anche il Papa la pensa allo stesso modo o, in altri casi, a criticare l’enciclica per un presunto ecologismo con un approccio troppo mondano. È necessario, invece, cercare di comprendere l’approccio generale al problema dell’ecologia, prendendo in considerazione soprattutto le affermazioni di principio che spiegano la posizione precisa del Papa. Non è legittimo, per esempio, mettere sullo stesso piano l’enciclica con qualsiasi teoria ecologista senza cercare di comprendere e spiegare la distinzione che Papa Francesco fa tra “ecologia superficiale e apparente” da una parte ed “ecologia umana” o “ecologia integrale” dall’altra.
In molti passaggi, poi, l’enciclica muove pesanti critiche ai movimenti ecologisti: «D’altro canto, è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo. Ugualmente, quando la tecnica non riconosce i grandi principi etici, finisce per considerare legittima qualsiasi pratica» (136), o «È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito» (91). L’enciclica dichiara anche che «non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto» (120) e che è pure errato attribuire problemi ambientali allo sviluppo demografico, così che «Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”» (50).
Natura come creazione di Dio Padre
Al concetto di natura, per esempio, possono essere attribuiti significati differenti. Quando l’enciclica parla di natura si deve tenere presente che: «dire ‘creazione’ è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale» (76). L’enciclica ricorda in numerosi passaggi l’importanza fondamentale dell’idea di creazione e la difende da teorie naturalistiche che escludono tanto l’esistenza quanto l’opera di un Dio creatore, e che sostengono, invece, che la natura come pure l’uomo, così come oggi ci appaiono, sono solo il prodotto spontaneo di uno sviluppo determinato non da un piano, ma solo dal caso e dalle leggi di natura. «Sono consapevole che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambito dell’irrazionale la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscano una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata» (N. 62). L’enciclica prende anche le distanze da versioni puramente spiritualistiche dell’ecologia: «Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite. Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi» (N. 75).
Dio, uomo, natura
Il fatto di considerare la natura come creazione, l’uomo come creatura e l’Essere supremo, Dio, come Creatore, e di prendere in considerazione le loro relazioni reciproche, diventa la chiave per inserire i problemi ambientali in un’ecologia veramente integrale: «l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate» (N. 66). L’enciclica respinge visioni del mondo che negano la creazione: «Così ci viene indicato che il mondo proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità, e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice» (77) e più avanti questo concetto viene chiarito ulteriormente: «Il prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-18) mostra l’attività creatrice di Cristo come Parola divina (Logos)» (99).
La natura diventa quindi il luogo di una rivelazione divina e proprio «san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà» (12). Il concetto di creazione consente di valorizzare la natura, come manifestazione del piano divino, ma questo «non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Queste concezioni finirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtà che ci interpella» (90).
Per la sua origine divina, nella natura è insita una struttura che l’uomo deve riconoscere e rispettare. È necessario, infatti, «riconoscere che Dio ha creato il mondo inscrivendo in esso un ordine e un dinamismo che l’essere umano non ha il diritto di ignorare» (221). L’intervento umano sull’ambiente deve tener conto dell’ordine interno del creato, evitando manipolazioni e cercando di sviluppare le proprietà insite in ogni cosa e in ogni essere. «In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose» (124). In questa prospettiva i danni ambientali sono «solo il riflesso evidente di un disinteresse a riconoscere il messaggio che la natura porta inscritto nelle sue stesse strutture» (117).
Paradigma tecnocratico
Questo disinteresse si manifesta a diversi livelli: nella vita di tutti i giorni individualismo e consumismo portano a un uso egoistico dell’ambiente. Danni maggiori, però, sono provocati dal «paradigma tecnocratico dominante» (101) con una «fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane” (19) che considera la natura non come creazione
con un ordine intrinseco, ma come materia informe manipolabile a piacimento. «Possiamo perciò affermare che all’origine di molte difficoltà del mondo attuale vi è anzitutto la tendenza, non sempre cosciente, a impostare la metodologia e gli obiettivi della tecnoscienza secondo un paradigma di comprensione che condiziona la vita delle persone e il funzionamento della società. Gli effetti dell’applicazione di questo modello a tutta la realtà, umana e sociale, si constatano nel degrado dell’ambiente, ma questo è solo un segno del riduzionismo che colpisce la vita umana e la società in tutte le loro dimensioni. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare» (107). L’enciclica non condanna la tecnoscienza, ma constata che se non è regolata da principi morali viene sfruttata per interessi particolari e non messa al servizio del bene comune. Il paradigma tecnocratico, che presume di poter comprendere completamente la realtà, di dominarla, e quindi di poter pianificare il futuro dell’umanità per mezzo della ragione tecnica, rappresenta la sfida per una ecologia integrale: «La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico» (111).
Importanza della visione dell’uomo
«Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia. Quando la persona umana viene considerata solo un essere in più tra gli altri, che deriva da un gioco del caso o da un determinismo fisico, “si corre il rischio che si affievolisca nelle persone la coscienza della responsabilità” [Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 2]» (118).
Un’antropologia adeguata deve riconoscere la particolarità delle funzioni psichiche dell’uomo e la loro non riducibilità a processi fisici e biologici. L’enciclica respinge, quindi, la pretesa delle scienze moderne di spiegare l’attività psichica come un fenomeno naturale e come risultato di un processo evolutivo: «L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico» (81).
La concezione dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio «ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana» (N. 65), ma contemporaneamente comporta l’accettazione della legge divina e delle norme morali, così come il rispetto dell’ordine della natura, ciò che è possibile solo con un atteggiamento di umiltà completamente differente dalla pretesa di essere totalmente autonomi: «Non è facile maturare questa sana umiltà e una felice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò che è bene e ciò che è male» (224). L’uomo è esposto a influenze che possono limitare la sua libertà anche considerevolmente: la società dei consumi porta spesso a un “consumismo ossessivo” che «fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario» (203). La libertà, però, non è limitata solo da fattori esterni ma anche da condizionamenti interni: «L’essere umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale. In tal senso, è nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé» (105).
La società post-moderna è caratterizzata dal relativismo: «La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili”. Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? E’ la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno» (123).
Senza un’educazione e una formazione ispirate a principi morali l’uomo è in balia di istinti e di passioni irrazionali. Il comportamento allora è determinato da individualismo ed egoismo: persone, esseri viventi e cose vengono presi in considerazione solo come oggetti che devono soddisfare i propri bisogni e che dopo “l’uso” non servono più e possono essere gettati via. La negazione di Dio genera un’ipertrofia dell’Io e un antropocentrismo eccessivo (cfr. 116), che talvolta provoca reazioni che però non devono negare la particolare dignità dell’uomo, riducendolo alla sua dimensione biologica, e quindi portare «a un “biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri» (118).
Raccomandazioni dell’enciclica
L’enciclica vuole sensibilizzare le istituzioni perché si impegnino con coerenza e costanza a favore di un’ecologia integrale: «In tal senso, l’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione» (142). Papa Francesco desidera «sottolineare l’importanza centrale della famiglia, perché “è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita” [Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Centesimus annus (1 maggio 1991), 39]. Nella famiglia si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la protezione di tutte le creatur
e. La famiglia è il luogo della formazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale» (213).
L’enciclica raccomanda anche a ogni singola persona, e particolarmente a ogni cristiano, di vivere in modo sobrio, evitando sprechi, seguendo l’esempio di san Francesco: «Ricordiamo il modello di san Francesco d’Assisi, per proporre una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona. Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro» (218). È necessario diventare consapevoli che: «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (217).
Un inno di lode al Creatore
Se «c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero» (233), «I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso» (235). L’uomo è chiamato ad ammirare la natura, a stupirsi davanti alla sua bellezza, a riconoscerne la profondità inesauribile, un mistero che rimanda al mistero della santissima Trinità: «Il Padre è la fonte ultima di tutto, fondamento amoroso e comunicativo di quanto esiste. Il Figlio, che lo riflette, e per mezzo del quale tutto è stato creato, si unì a questa terra quando prese forma nel seno di Maria. Lo Spirito, vincolo infinito d’amore, è intimamente presente nel cuore dell’universo animando e suscitando nuovi cammini. Il mondo è stato creato dalle tre Persone come unico principio divino, ma ognuna di loro realizza questa opera comune secondo la propria identità personale. Per questo, «quando contempliamo con ammirazione l’universo nella sua grandezza e bellezza, dobbiamo lodare tutta la Trinità» [Giovanni Paolo II, Catechesi (2 agosto 2000), 4]» (238). Maria poi, «elevata al cielo, è Madre e Regina di tutto il creato. Nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza» (241). Le preghiere che concludono l’enciclica confermano la sua natura di inno di lode al Creatore.
* Segretario generale della Federazione delle Associazioni dei Medici Cattolici (FIAMC)