Saint Francis with the stigmata. Stained glass window in Kyjov

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L’enciclica? Una rivoluzione francescana!

Fra Domenico Paoletti (OFMConv), preside della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum, spiega la “Laudato Si’”

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Per molti si tratta di un documento profetico. Per altri è troppo duro contro la finanza speculativa e contro l’industria del petrolio. C’è chi dice che finalmente c’è un enciclica che tratta con competenza i diversi temi e non si accontenta di proporre soluzioni vaghe e filosofiche. C’è chi invece sostiene che la Chiesa non deve entrare nel merito dei problemi materiali. C’è infine chi dice che questa attenzione ai poveri ed agli immigrati è esagerata e che il Papa propone soluzioni troppo radicali.

Insomma l’enciclica Laudato Si’, ha suscitato un vastissimo dibattito.

Per cercare di capirne di più ZENIT ha intervistato Fra Domenico Paoletti (OFMConv) Preside della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum.

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Qual è il suo giudizio sulla prima enciclica del Papa sui problemi ambientali? 

Fra Domenico Paoletti: Tengo subito a precisare che il mio non può essere un giudizio articolato ma una semplice impressione su un documento ampio, complesso e impegnativo. L’Enciclica necessita di un’attenta lettura che mi ripropongo di fare nel tempo estivo, dopo le incombenze di fine anno accademico. Come impressione da una prima lettura si nota un approccio contemplativo che si traduce nell’invito ad assumere uno “sguardo diverso” sul creato. Già l’incipit Laudato si’, che è l’inizio del Cantico di san Francesco, ci da la nota sull’atteggiamento di fondo da avere di fronte al creato, che è quello positivo dello stupore e della lode, della gratitudine e della gratuità, della gioia e della responsabilità. Nell’introduzione leggiamo che «il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (12). Lo sguardo contemplativo ci dona la giusta prospettiva, quella olistica, per affrontare l’emergenza ecologica i cui problemi sono effetti di un dissesto etico-antropologico e di una crisi di fede nel riconoscere il Creatore che solo dà senso e consistenza a tutte le cose. Non è un caso che l’Enciclica è all’insegna della testimonianza cristiana di ecologia integrale del Poverello di Assisi che viveva un autentico amore cosmoteandrico all’interno del primato dell’amore di Dio.

Il dibattito mondiale vede una grande divisione sociale sui temi relativi alla difesa dell’ambiente. Mentre Papa Francesco sembra proporre una unità degli uomini di buona volontà per ribadire il rapporto tra gli umani e il Creatore, l’ambiente e le persone tra loro, con l’impegno di difendere creato e poveri. Che ne pensa? 

Fra Domenico Paoletti: Dopo l’incipit, che ci dà lo sguardo giusto, come accennato, nel sottotitolo troviamo, a mio avviso, la chiave ermeneutica-interpretativa dell’intero testo dell’Enciclica Sulla cura della casa comune. La casa comune, in greco oikos, da cui anche ecologia, è l’ambiente che abitiamo e rimanda all’idea di un’unica famiglia. La casa è comune perché è il luogo dove tutto è in relazione, esprime interdipendenza reciproca. In un passo il Papa afferma che «l’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune» (164). L’organicità di fondo dell’Enciclica si basa sul concetto che tutto è connesso. Rispetto al dibattito attuale sui temi ecologici dove si notano divisioni tra chi difende ad oltranza una visione antropocentrica, e quindi si fa paladino della tecnologia con il mito del progresso, e chi difende una visione biocentrica, e quindi antitecnologica con la divinizzazione della terra, papa Francesco ribadisce che non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia aperta alla Trascendenza. Il papa spinge in questa visione unitaria, dove la relazione è costitutiva della realtà, fino a invitare a riconoscere il dinamismo trinitario della creazione

Il Pontefice parla molto della rivoluzione di San Francesco nella relazione con il Creatore, all’ambiente ed agli umani. Di che si tratta? 

Fra Domenico Paoletti: Già papa Benedetto parlava di san Francesco che alla scuola del Vangelo è il vero rivoluzionario perché semplicemente convertito. Senza la conversione a Gesù Cristo non si comprende Francesco e non si coglie il perché del suo fascino in ogni tempo e in ogni spazio, anche presso non credenti o diversamente credenti. La relazionalità di Francesco è cosmoteandrica nel primato dell’amore di Dio, come ho accennato all’inizio. San Francesco loda le creature e le vede affratellate, le une accanto alle altre, come rivelazione dell’amore di Dio e luogo del restituirsi a Lui del cosmo e dell’uomo stesso. Sarebbe interessante approfondire Francesco povero di cose e canta le cose per capire la vera rivoluzione del poverello nella libertà e nel rispetto di tutte le creature, molto differente dai tanti rivoluzionati catari che incontriamo lungo la storia, anche oggi! San Bonaventura ci dice che Francesco «contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto. Di tutte le cose si faceva una scala per salire ad afferrare Colui che è tutto desiderabile» (San Bonaventura, Leggenda maggiore IX: FF 1162).

Quali sono le ragioni che spiegano l’esistenza di un Creatore? 

Fra Domenico Paoletti: La domanda richiederebbe un corso di teologia filosofica per balbettare qualcosa. Posso solo rispondere con due domande di fondo di cui la semplice ragione può cogliere la portata filosofica.

La prima la ripropone Heidegger, ma già presente nei filosofi presocratici: Perché c’è l’essere e non il nulla? Una delle ragioni che la filosofia classica adduce per affermare l’esistenza di Dio è il fatto che non possiamo non interrogarci sull’origine dell’essere della realtà che sperimentiamo e ricercarlo in una realtà diversa, trascendente, non condizionata, non limitata e non mutabile, a cui l’atto di essere coincide con l’Essere stesso. Ma questo tentativo attraverso i concetti di causa e di causalità, va unito a quelli di dono e di donazione, ben tematizzato dalla scuola francescana, per esprimere qualcosa del rapporto misterioso tra la realtà della nostra esperienza e la loro sorgente ineffabile. Non interrogarsi sul fondamento ultimo della realtà sarebbe un atteggiamento non all’altezza della ragione e del nostro senso critico. In questo interrogarsi emerge l’evidenza della ragionevolezza dell’esistenza di Dio, Mistero che resta incomprensibile ma che solo dona senso a tutta la realtà, e senza il Quale nulla ha una prospettiva di vero senso. È vero che con Dio o senza Dio cambia tutto.

La seconda domanda è la seguente: Perché la natura si pone di fronte a noi come intelligibile e decifrabile? Queste seconda domanda è oggi ancora più stimolante e sorprendente perché ci porta a dire che la natura è conoscibile dalla nostra intelligenza e che tale intelligibilità non trova una spiegazione sufficiente all’interno della nostra intelligenza ma richiede un’intelligenza trascendente, che sia fonte di questa intelligibilità. Mi rendo conto che il discorso è complesso ed impegnativo, ma stiamo parlando della ragione di ogni ragione, dell’origine di ogni cominciamento, del fine di ogni fine. Il discorso sull’esistenza di Dio ha tanti percorsi; quello che parte dall’intelligibilità della natura è rispettoso e in dialogo con le moderne scienze empiriche razionali, basti pensare alle teorie della relatività e della meccanica quantistica. Ma qual è la ragione, il presupposto dell’intelligibilità della natura? Il soggetto conoscente? Se così fosse non conosceremmo la natura, ma semplicemente ciò che noi co
struiamo, e ciò sarebbe in contraddizione con il metodo scientifico di verifica sperimentale. Ecco perché va individuata, meglio riconosciuta, la sorgente dell’intelligibilità della natura in una intelligenza trascendente, distinta sia dalla natura che dalla nostra mente, ma profondamente presente sia alla natura che alla nostra mente, da poter essere l’origine di entrambe. Ho fatto in forma lapidaria un discorso di natura metafisica. Purtroppo oggi la domanda metafisica è alquanto oscurata nei vari saperi, ragione profonda dell’attuale frammentazione relativista del sapere e della crisi dello stesso.

Il Papa esprime critiche severe contro chi sfrutta l’ambiente e gli umani. Critica soprattutto chi utilizza argomentazioni di difesa ambientale per imporre programmi di riduzione della nascite. Che cosa può dirci in proposito? 

Fra Domenico Paoletti: Per comprendere il messaggio dell’intera Enciclica, e quindi anche le apparenti contraddizioni, come alcuni hanno visto tra un invito alla decrescita economica e il rifiuto della decrescita demografica, va tenuto presente il concetto centrale ispiratore della visione cristiana cattolica che è quello dell’ecologia integrale a cui è dedicato tutto il cap. IV. Bisogna ammettere, dice il papa, che siamo di fronte a una sfida epocale, che non è lecito ignorare o minimizzare. La gravità di questa sfida è collegata al principio di fondo che tutto è connesso, vera chiave interpretativa dell’intera enciclica, come dicevo prima. C’è un nesso tra l’ecologia dell’uomo e quella dell’ambiente, da qui l’ecologia integrale e l’invito ad essere attenti a tutte le interconnessioni, evitando ideologie semplificatorie e riduttive. Da qui il rapporto tra la tutela della vita umana, della famiglia e la cura per il creato. Già Benedetto XVI, molto presente nell’Enciclica, aveva approfondito questo legame nella Caritas in veritate come segno distintivo della visione cattolica dell’ecologia, vale a dire la sua relazione con l’ecologia umana. L’Enciclica parla di aborto e di diritti dell’embrione umano contrastando l’idea di una pianificazione familiare imposta politicamente dall’ideologia neomalthusiana secondo la quale la salvezza dell’ecosistema dipenderebbe dalla riduzione delle nascite. Questa è una ideologia che rientra nel paradigma tecnocratico proprio della ragione strumentale che la Laudato si’ denuncia. Papa Francesco non manca anche di fare notare la contraddizione di tanti movimenti ecologisti che difendono l’ambiente naturale ma non l’ambiente umano. La natura, intesa come il creato, non può essere assunta a pezzi, ma in modo integrale. È un disegno unico ed unitario che l’Enciclica ripropone.

Quali secondo Lei le parti più innovative dell’Enciclica e quali invece quelle già trattate dai Pontefici precedenti?

Fra Domenico Paoletti: Per rispondere alla domanda occorre uno studio approfondito e attento che io, come facevo notare all’inizio, ancora non avuto modo di effettuare. Posso dire che a una prima lettura l’enciclica già nella sua organicità e articolazione è una vera novità. Inoltre è la prima enciclica del magistero dedicata all’ecologia, intesa come cura della casa comune dove tutto è in relazione. Penso che il paradigma della relazione, assunto come prospettiva del documento, sia la vera novità perché non solo conferisce unità e coerenza al testo, ma apre a una feconda riflessione su una visione plenaria e integrale della realtà. Il concetto centrale è che tutto è in relazione con tutto – come sta emergendo nella fisica quantistica e nella cosmologia – trova il suo fondamento nella prospettiva teologica del Dio-Trinità proprio della rivelazione cristiana.

Il concetto di ecologia integrale è in continuità con i pontefici precedenti, specie con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che avevano messo in relazione intrinseca l’ecologia ambientale e con l’ecologia umana, ma assume in Laudato si’ una organicità nuova.

Un’altra novità è senz’altro la proposta di un cambiamento radicale, della conversione ecologica nei comportamenti e nel ricondurre la creazione al Creatore. Il modello presentato è Francesco d’Assisi, con il suo stupore verso il creato. La convinzione di papa Francesco è che “meno è più”, come esprime verso la fine dell’Enciclica e come testimoniato dal Poverello che canta le cose.

La maggior parte delle questioni ecologiche sono state già trattate dai Pontefici precedenti, anche se con diversità di accenti, di approfondimento e non sempre in una visione ampia ed unitaria come quella che troviamo in Laudato si’. Un segno della continuità del magistero del vescovo di Roma sull’ecologia è dato dalle citazioni: dalle due volte di Giovanni XXIII alle quattro di Paolo VI, dalle ventitre di Giovanni Paolo II alle ventidue di Benedetto XVI.

Già Paolo VI già nell’Octogesima Adveniens </em>parlava della responsabilità di un destino comune; e Giovanni Paolo II ha trattato della questione ecologica come conseguenze della crescita industriale sotto la sola legge del profitto e del consumo, e ha invitato più volte a promuovere atteggiamenti dello stupore, come ripropone papa Francesco. Giovanni Paolo II nella Centesimus annus invitava a salvaguardare una autentica ecologia umana così come riproposto da Benedetto XVI e nella presente enciclica. Benedetto XVI ha maggiormente approfondito la questione ecologica richiamando alla responsabilità l’uomo nella salvaguardia del creato. Papa Francesco riprende questi aspetti trattati dai pontefici precedenti e li inserisce nell’orizzonte vasto ed unitario dell’ecologia integrale a forte impianto relazionale.

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ZENIT Staff

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