L’Homo sapiens fece la sua comparsa sulla terra circa 200mila anni fa, e aveva già allora una struttura cerebrale sviluppata, atta a consentirgli l’elaborazione del pensiero e la percezione della propria identità. A partire da quel momento, si è messa in modo la straordinaria avventura della conoscenza, che, nei cinque o seimila anni attribuibili alla nostra civiltà, ha manifestato una progressione crescente, fino alla frenetica accelerazione dei tempi attuali.
Naturalmente non è questa la sede in cui tentare anche solo una sintesi di tale progressione ma ci preme comunque evidenziare un fenomeno solitamente poco considerato. La velocità di sviluppo della conoscenza ha prodotto, specie negli ultimi secoli, una accentuata discrasia temporale fra le punte più avanzate del pensiero (solitamente appannaggio di un limitato numero di sapienti) e la cultura diffusa fra la massa della gente. Questa discrasia si è accentuata ai nostri giorni.
La concezione del mondo che impronta la cultura corrente – basata sul mito della macchina, della massima efficienza, dello sfruttamento ambientale e dell’idolatria economica a scapito di ogni altra dimensione intellettuale e creativa dell’uomo – non è, in realtà, espressione del nostro tempo. Essa ha almeno tre secoli di storia, e affonda le radici nella cosiddetta “concezione meccanicistica” che venne elaborata da pensatori come Francis Bacon, René Descartes, Isaac Newton, John Locke, Adam Smith, negli anni compresi fra la seconda metà del Seicento e i primi del Settecento.
I personaggi citati sono stati la punta avanzata del pensiero del loro tempo, ma le loro “verità provvisorie” (come tutte le verità fondate sulla ragione umana) sono oggi superate da forme più avanzate di conoscenza che impongono una totale revisione dei rapporti dell’uomo col mondo, e persino con la propria dimensione interiore di emozioni e di sentimenti.
“L’Homo sapiens è oggi in grado non soltanto di riesaminare criticamente le fasi dal suo esordio ai tempi odierni – scriveva Rita Levi-Montalcini – ma, ancora più importante, di prospettare il proprio futuro in base all’enorme potere delle proprie capacità cognitive”. Autorevoli scienziati sostengono che, se le nuove scoperte del pensiero cognitivo e scientifico fossero applicate alla vita sociale, le implicazioni sarebbero di una portata enorme, destinata a mutare l’intera gerarchia dei valori. E invece le masse, pensando d’essere “moderne”, vivono immerse in una concezione del mondo vecchia almeno di tre secoli.
Questo stato di cose determina una situazione di grave pericolo. Un pericolo contro cui ci mette in guardia Papa Francesco: “mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa – ammonisce il Santo Padre nell’Enciclica Laudato si’ – e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo”.
Siamo, quindi, in presenza di un confine drammatico. Il pensiero è già oltre, ma siamo attardati dalla zavorra degli umani difetti. L’umanità, in questo momento, è come una navicella che sta attraversando una densa atmosfera. Potrà disintegrarsi per attrito oppure, grazie a una favorevole congiuntura di forze, potrà varcare i confini dell’oltre per addentrarsi in nuove regioni di serenità, pace e bellezza. La poesia è termometro sensibile di questo travaglio, di cui si avverte il senso nella Laudato si’ di Papa Francesco. La poesia è la cartina al tornasole di una inquietudine e di una ricerca, non più limitate alla scomposizione dei canoni formali (come avveniva nel corso del ‘900), ma tendente alla “ricomposizione” della parola quale alta espressione delle sue radici spirituali.
Un percorso, quest’ultimo, che si percepisce nell’opera di Maurizio Soldini, filosofo e poeta, insegnante di bioetica e clinico medico presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Soldini è autore raffinato, le cui composizioni sono caratterizzate da una multiforme varietà di contenuti. Scorrendo i suoi versi, è possibile ritrovare un senso di equilibrio, una misura consacrata dalla tradizione… eppure a tratti il pensiero fugge per la tangente, proiettandosi su quella linea di confine dove la parola poetica esplora il futuro. Dove l’intelligenza si fa Presagio dell’alterità e voce lirica:
PRESAGIO DELL’ALTERITÀ
Sedersi a lato del pulviscolo veloce
che entra ed esce da un fascio di luce
come in spiragli della fantasia
dove si spande il flusso delle idee
bearsi in quell’entrare dentro l’eterno
rimanendo fuori dal corpo appeso lì
ai fili della gravità del cielo e della terra
che legano l’essere e gettano via il nulla
il pensiero dell’alterità si fa dunque presagio
e unisce la materia nella permanenza al vento
lo sguardo dello spirito nel sangue di quel volto
si raggruma davanti agli occhi che dicono sì
***
Scrivevamo, in un precedente articolo di ZENIT, che la prossimità fra la ricerca poetica e quella spirituale si ripropone sempre, anche quando non venga esplicitamente teorizzata. Perché l’esperienza della fede, con la sua consustanziale fiducia nella verità dell’oltre, trova nell’espressione artistica il suo linguaggio più autentico. È nostra convinzione che la “nuova poesia” (della quale, fin d’ora, ci piace rintracciare i segni) non nascerà da una pregiudiziale scelta di poetica, ma da una naturale tensione dell’animo, come sembra prefigurare la seguente composizione di Soldini:
SABATO SANTO
Oggi il silenzio è sospeso nell’attesa
non tira neanche il vento e chiosano
le nuvole col pianto il suo grigiore.
Domani si aprirà uno spiraglio di luce
si scioglieranno le campane a festa
ché la speranza no non può morire.
Sabato Santo è come una preghiera
covata dentro un’anima abbattuta
che il giorno dopo sboccia di sorrisi.
Quale che sia o non sia il tuo Dio domani
ti chiamerà nel suono di campana
ti inoltrerà su strade della gioia.
Sembra che tutto è fermo e tace
nel sabato che non ha più parole
ma poi domani rivedremo il sole.
***
In conclusione di queste riflessioni, ancora una poesia di Maurizio Soldini: un inedito scritto di recente (la poesia è infatti datata 28 giugno 2015) che l’autore ha voluto inviarci in anteprima per la pubblicazione su ZENIT. La poesia è dedicata a don Bosco, di cui quest’anno ricorre il secondo centenario. Nel ringraziare Soldini, ci sovviene una correlazione fra santità e poesia. La santità è l’elemento di saldatura fra due dimensioni – quella umana e quella divina – dove l’essere umano riconquista la sua libertà dalle forze cieche dell’egoismo per proiettarsi verso la percezione di Dio. Più di ogni altro, il santo è uomo di confine, come Gesù ci ha meravigliosamente insegnato, e come don Bosco ha testimoniato con la sua vita dalle virtù eroiche. Forse è per questo che i grandi santi sono stati, a volte, grandi poeti.
LE SCARPE DI DON BOSCO
Le scarpe sono specchio di una vita
e parlano di un uomo e delle vie
che ha calpestato tra le spine
si vede dalle suole logore e bucate
se ha fatto del cammino una preghiera
e dalle rughe in viso alla tomaia
la polvere che riga il suo colore
e il tacco sbieco dall’usura che consuma
nell’andatura fiera che non stanca
le scarpe sono specchio del carattere
perché ci sono scritte le virtù e i vizi
e un santo si riconosce dalla testa ai piedi
***
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