In occasione del bicentenario della nascita di don Bosco, suor Maria Pia Giudici, 93 anni portati con incredibile energia e gioia, ripercorre con ZENIT l’esperienza del grande santo attualizzandola nella propria vita.
La religiosa salesiana ha fondato nel 1978 una Casa di preghiera sull’eremo di San Biagio, dove una piccola comunità di suore, arroccate sul monte Taleo, si dedicano all’accoglienza di giovani, famiglie e pellegrini che vogliano dedicare un po’ di tempo all’ascolto e alla riflessione della Parola di Dio.
Suor Maria Pia, chi è don Bosco per lei e come nasce la scintilla che ha fatto scattare la sua vocazione salesiana?
La mia vocazione è nata così: correvo all’impazzata in bicicletta, mi piaceva molto. Avevo diciannove anni, e mi ricordo un bellissimo rettilineo dove ho provato il brivido dell’infinito e la gioia di sentirmi avvolta da tanta aria. Quel momento ha rappresentato per me come un’immagine della presenza dello Spirito, anche perché sentivo, in quel periodo, il bisogno di fare della mia vita qualcosa di bello. Avvertivo che la mia sete di infinito voleva che io mi consegnassi all’amore infinito di Dio. È stato proprio lì che si è accesa chiaramente la scintilla e poi la decisione di consacrarmi a Dio. Non ho pensato che alle Figlie di Maria Ausiliatrice perché ero stata a scuola da loro e avevo conosciuto suore felici, molto cordiali: persone non solo preparate come insegnanti di lettere e filosofia, ma persone contente della loro vocazione, che amavano don Bosco e che in don Bosco si erano date a Dio.
Cosa l’ha convinta a diventare Figlia di Maria Ausiliatrice?
Queste suore mi hanno persuaso per la loro gioia. Non erano ‘donnette devozionaliste’, anche perché il devozionalismo mi è sempre sembrato un baco corruttore che distrugge da dentro la sostanza della vera devozione, che è quella di cui parla San Francesco di Sales: una risposta di amore ad un Dio che ci ama.
Da dove nasce la vocazione educativa del carisma salesiano e come si declina nella sua esperienza?
Io ho insegnato volentieri e ho cercato sempre di essere vicina ai giovani. Proprio una ex allieva ieri mi ha telefonato. Ora è Figlia di Maria Ausiliatrice, perché mentre insegnavo lettere con passione, sentivo di far passare questo mio amore per un Dio vicino, per un Dio amico, così come ce lo ha fatto conoscere don Bosco. Di don Bosco mi è sembrato sempre bellissimo quel suo dire ai ragazzi: “Basta che siate giovani perché io vi ami molto”, e anch’io molto spesso l’ho detto e lo dico ai giovani: “La vostra giovinezza è un fiore di primavera che si schiude; voglio aiutarvi a esporvi al sole che fa fiorire la vostra esistenza”.
Come si inserisce il carisma di don Bosco nel contesto dell’attuale emergenza educativa?
A me sembra che il modo semplice ma profondo che don Bosco ha avuto ai suoi tempi si consegna a noi, al nostro tempo. Si tratta di far sentire al giovane che lui è importante, che sulla sua persona Dio ha un progetto. Dico ai giovani: “è molto bello che voi viviate la vostra responsabilità, come giovani del 2015. Se voi siete svegli, potete scuotere di dosso quella specie di apatia, di insoddisfazione perenne e anche di tristezza dei ‘giovani del muretto’, che hanno provato tutto, fino alla droga, e poi si sono sentiti persi nel vuoto. Voi dovete essere l’altra pagina, risvegliare i vostri amici e far sentire che la vita è bella perché è con Cristo!”. Cristo ha detto: “Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in pienezza”. Questa è la Parola da dire ora ai giovani: far capire la volontà, da parte di Gesù, non solo di dare la vita, ma anche di rendere realizzati gli uomini, di renderli felici.
Ci sono nuove periferie sociali rispetto all’epoca di don Bosco?
Un giorno un adolescente si lamentava di non riuscire a fare una cosa, allora gli ho detto: “parlane in famiglia…”. Gli si sono riempiti gli occhi di lacrime e mi ha detto: “ma quale famiglia? Mia madre esce la sera e non so con chi va, e mio padre gira per casa con donne che non sono mia madre”; l’ho abbracciato e gli ho fatto sentire affetto; gli ho detto: “Tu, anche se hai sedici anni, cerca di pensare già a un futuro diverso da quello dei tuoi genitori”.
Nella comunità a San Biagio ospitiamo anche le giovani coppie, i fidanzati che si preparano alle nozze. Alcuni di loro raccontano: “I nostri familiari hanno detto che siamo pazzi, che dovremmo andare a parlare con quelli del ristorante dove abbiamo prenotato, che dovremmo occuparci delle auto, che bisogna essere concreti; ci rimbrottano: “Andate a ritirarvi sulla montagna ma a far che?”. Ci sono due mondi, ed è bello che ci sia questa sensibilità nuova nei giovani di oggi: penso che don Bosco farebbe leva su questa sensibilità per aiutare altri giovani che sono invece manovrati e ‘cosificati’ dalla grande macchina del produrre, vendere, consumare.
Quale era il legame di don Bosco con Maria?
Don Bosco ha vissuto un amore tenerissimo per la Madonna e ha sentito che era il sublime completamento di mamma Margherita. Quello di cui lui aveva bisogno era un sovrappiù: una sovrabbondanza di luce, di amore e di aiuto; questo aiuto poteva venire solo dalla Madonna. Per questo, lui ha vissuto e comunicato la sua devozione a Maria come aiuto. L’ha chiamata Maria Ausiliatrice, perché la Madonna lo ha aiutato a salvare i giovani.
Quando don Bosco parlava delle Congregazioni da lui fondate delegava alla Vergine le opere che aveva compiuto…
Don Bosco non aveva tanta voglia di interessarsi di noi ma è stata la Madonna che lo ha un po’ spinto a questo e il provvido amore di Dio gli ha fatto incontrare Madre Mazzarello. Lui conosceva donne di grande valore e censo, come la marchesa Barolo di Torino però ha sentito profumo di santità in quella ragazza contadina e ignorante, ma intelligente e vera.
Come faceva don Bosco a trarre tesori anche dai ragazzi ‘persi’ e come è possibile continuare a farlo oggi?
Se don Bosco fosse qui, insisterebbe molto sull’invitare i giovani a vivere e promuovere un’esistenza all’insegna della semplicità e della sobrietà, perché la gente è affogata nel percorso del comprare e consumare, nel sentire le pressioni di una pubblicità avanzatissima anche dal punto di vista psicologico. Credo che sia molto importante comunicare la gioia, altrimenti come potremo dire, con San Domenico Savio, che facciamo consistere la santità nell’essere molto allegri? Inoltre è importante tornare non solo alla Parola di Dio ma anche alla manualità e al contatto con la terra. Sono dimensioni importanti per rinnovare l’uomo e la donna di oggi.
Qual è la storia che l’ha portata fino all’eremo di San Biagio?
Da giovane suora ho insegnato Lettere, poi mi hanno chiamato alla casa generalizia perché collaborassi con i Salesiani. Si trattava di preparare tre volumi di Antologia per la scuola media, all’insegna di alcune nuove modalità didattiche. Ho abbracciato degli orizzonti amplissimi, ho potuto sentire quanto sono belli i poemi giapponesi, quanto ha sapore la poesia cinese. Quando ho finito l’antologia ho detto alla Madre Generale: “Adesso torno a Lecco”, dove insegnavo nelle magistrali; “No cara, adesso ti fermi qui: devi cominciare a prepararti nel campo del cinema e degli audiovisivi e tenterai di organizzare corsi per suore incaricate dell’educazione ai mass media”. Allora ho frequentato i corsi di padre Taddei nel Centro Internazionale di Studio dell’immagine e della Comunicazione attraverso l’immagine. Lo facevo molto volentieri, avviando anche un Cineforum per giovani universitarie con diversi problemi irrisolti. Chi aveva perso il fidanzato, chi aveva subito un lutto. Un giorno mi venne questa ispirazione: “Ragazze, s e quest’estate facessimo un campeggio della Parola di Dio, fuori, in tenda, proprio dove non c’è niente se non natura viva?”. Acconsentirono. Poi però bisognava dirlo a Madre Ersilia: “Bene - mi disse - quella è la porta, poi ci sono il corridoio e le scale, vai, vai!”. Un bel sorriso e fuori. Qualche giorno dopo arrivò un sacerdote salesiano che avrebbe dovuto tenere delle conferenze proprio al Consiglio Generalizio. Fu lui a aprire le porte. La Madre Ersilia qualche giorno dopo mi richiama dicendo: “I giorni scorsi mi hai parlato anche di questo…”. “Sì sì, chiuso…”, mi affrettai a rispondere. “Niente affatto! La cosa interessa”, disse lei. Allora avanzai la proposta: “Dovrei prendere a noleggio delle tende…”. Scoccò l’imperativo inatteso. “Niente noleggio. Comprale!”. Ho comprato due tende, una grande per le ragazze e una piccola per le suore. Queste ragazze, che erano in uno stato psicologico deplorevole, dopo i dieci giorni di campeggio, sono tornate in città serene. Avevano risolto tanti loro problemi con la Parola di Dio che meditavamo ogni mattina e con la natura che contattavamo con gite programmate e liete. Subito dopo il ritorno, mi si è accesa l’idea e di lì la proposta: “Ma se provvedessimo una Casa permanente della Parola di Dio, in un luogo fuori dal chiasso e dal rumore?”. E così è stato.
Se ora dovessi ricominciare tutto, forse per vie più brevi, arriverei comunque qui. Non si tratta dell’avventura di voler fare cose diverse per sfuggire al peso dell’esistenza ma piuttosto di proporre e fare incontrare Colui che dà significato e pienezza alla vita. E anche di capire che la fatica c’è sempre. Quanto più la eviti tanto più incontri il non senso e il vuoto. Quanto più l’accetti e la vivi con Gesù, tanto più Lui, il Crocifisso Risorto, ti apre strade di sole.