25 aprile 1945: una data che rappresenta un momento epocale nella storia italiana. La fine della guerra e la liberazione dall’occupazione nazista: fondamenti morali della nascente democrazia repubblicana, che troverà la sua massima espressione con l’entrata in vigore della Costituzione. Un risultato per il quale diedero il loro contributo di sangue grandi figure del cattolicesimo italiano, come don Giovanni Minzoni e don Giuseppe Morosini, che soffersero il martirio per opporsi all’oppressore.
Un grande scrittore, Dino Buzzati, ch’era stato inviato di guerra per il Corriere, pubblicò quel giorno, sulla prima pagina del quotidiano milanese, un editoriale di commento intitolato Cronaca di ore memorabili. Ne riportiamo un breve estratto: “Senza osare ancora crederlo, Milano si è risvegliata ieri mattina all’ultima giornata della sua interminabile attesa. Da alcuni giorni la grande speranza aveva acquistato una verosimiglianza meravigliosa. Per vie misteriose, voci che dapprima parevano strane o pazzesche si spandevano per la città, accrescendo l’ansia della liberazione. I tram andavano ancora ma già si capiva che Milano aveva interrotto il lavoro: il fiato sospeso, essa sentiva il destino mettersi in moto e incalzare con ritmo sempre più precipitoso. Oggi è l’intero popolo che si risveglia. La sorte è stata decisa per opera del popolo stesso, unanime nel desiderio e nell’ansia…”.
Nella concitata e drammatica cronaca di Buzzati si respira “l’ansia della liberazione” ma anche una “grande speranza”, che creano un sentimento unanime di attesa, una condivisione etica di intenti che accomuna “l’intero popolo che si risveglia”. Più tardi Dino Buzzati, questa volta in veste di poeta, dedicherà al ricordo di quell’evento un componimento poetico, nel quale ritroviamo gli stessi stati d’animo che il cronista aveva colto in diretta durante lo svolgersi degli eventi:
APRILE 1945
di Dino Buzzati
Ecco, la guerra è finita.
Si è fatto silenzio sull’Europa.
E sui mari intorno ricominciano di notte a navigare i lumi.
Dal letto dove sono disteso posso finalmente guardare le stelle.
Come siamo felici.
A metà del pranzo la mamma si è messa improvvisamente
a piangere per la gioia,
nessuno era più capace di andare avanti a parlare.
Che da stasera la gente ricominci a essere buona?
Spari di gioia per le vie, finestre accese a sterminio,
tutti sono diventati pazzi, ridono, si abbracciano,
i più duri tipi dicono strane parole dimenticate.
Felicità su tutto il mondo è pace!
Infatti quante cose orribili passate per sempre.
Non udremo più misteriosi schianti nella notte
che gelano il sangue e al rombo ansimante dei motori
le case non saranno mai più cosi immobili e nere.
Non arriveranno più piccoli biglietti colorati con sentenze fatali,
Non più al davanzale per ore, mesi, anni, aspettando lui che ritorni.
Non più le Moire lanciate sul mondo a prendere uno qua
uno là senza preavviso, e sentirle perennemente nell’aria,
notte e dì, capricciose tiranne.
Non più, non più, ecco tutto;
Dio come siamo felici.
*
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha commemorato quest’anno il 25 aprile citando “la lettera di un giovanissimo condannato a morte della Resistenza che, la sera prima di essere ucciso, scriveva ai genitori che il dramma di quei giorni avveniva perché la loro generazione non aveva più voluto saperne della politica. Oggi – ha detto ancora il presidente – assistiamo al riemergere dell’odio razziale e del fanatismo religioso: i morti delle Ardeatine è come se ci ammonissero continuamente, ricordandoci che mai si può abbassare la guardia sulla difesa strenua dei diritti dell’uomo, del sistema democratico”.
Parole autorevoli, quelle di Mattarella, che manifestano le medesime inquietudini che Papa Francesco esprime quasi ogni giorno nei suoi ammonimenti contro la guerra, nei suoi accorati richiami per la “globalizzazione della solidarietà”, nelle sue esortazioni per la “cultura dell’incontro”… L’umanità sta facendo passi indietro e, in assenza di memoria storica, sta riproducendo, in modo diverso, i medesimi scenari di sopraffazione e di guerra che offuscarono le coscienze più di settant’anni fa.
E la poesia, ancora una volta, è “cassa di risonanza”, che esprime ansie e stati d’animo che connotano lo spirito del tempo. Come possiamo riscontrare nella poesia che segue scritta da Giancarlo Castagna. “Si tratta una poesia autobiografica – commenta l’autore – ricordi di un bambino e speranze tradite… proprio così: abbattuta una tirannia ne è venuta un’altra più subdola e pervasiva, col ‘politicamente corretto’, il ‘comune pensare’, il ‘consumismo’, ecc.”. Ma anche nella poesia di Castagna la speranza non viene meno, perché – commenta sempre l’autore, citando la seconda lettera di San Paolo ai Corinzi – solo “dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà”.
25 APRILE 1945
di Giancarlo Castagna
Avevo dieci anni ed ero certo
di aver diritto alla felicità.
Finita era la guerra che un deserto
aveva fatto della mia città
ed un nuovo fervore era rinato
negli uomini e le donne, che il lavoro
avevano ripreso, un dì lasciato:
e la pace per tutti era ristoro.
Finito era il terrore e la paura,
il temer per se stessi e i propri cari:
la vita ritornata era sicura,
una speranza nuova senza pari.
“Rinascita” era allora la parola
che ognuno in cuore andava ripetendo:
una parola dolce che consola
e fa sognare un avvenir stupendo.
Non fu così. Passato breve tempo
riprese la paura. E le nazioni
ripresero a lottare: a tutto campo
ripresero di guerra nuove azioni:
e allor la pace fu solo ricordo
e fu sogno lontano l’armonia,
e degli uomini ancor si fece sordo
il cuore al ben più grande che ci sia.
La pace! Invan la pace ancor d’allora
invoco nel mio cuor né mi ristoro:
con me la gridan tanti, ma sinora
io pochi ne ravviso fuor dal coro
di chi la pace grida e pur l’insidia
per ansia di potere oppur di soldi:
dentro di loro v’è nascosta invidia,
subdoli son, davvero manigoldi.
Ma tu Signore, Tu che tutto puoi
converti i nostri cuori e i nostri affanni
e la Tua pace dona ancora a noi
per prosperi e felici lunghi anni!
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