Il pane del Poverello d'Assisi

In vista dell’Expo, un’analisi del libro di padre Pietro Messa e Giuseppe Cassio recentemente pubblicato “Il cibo di Francesco. Anche di pane vive l’uomo”

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Nella selva di pubblicazioni che si stanno affollando sul tema dell’alimentazione, stimolate certamente dall’Expo di Milano, che propone appunto il tema del cibo, una, crediamo, si distacca per originalità. Stiamo parlando di Il cibo di Francesco. Anche di pane vive l’uomo, di cui sono autori fra Pietro Messa ofm e Giuseppe Cassio, professore di Storia del francescanesimo presso la Pontificia Università Antonianum di Roma il primo, storico dell’arte il secondo.

Il volumetto (poco meno di 100 pagine, con un inserto di immagini in colore), pubblicato da Edizioni Terra Santa, ci introduce al rapporto di Francesco d’Assisi con il cibo. Nell’immaginario collettivo, Francesco avrebbe condotto una vita di stenti, quasi non avesse il primario bisogno di nutrirsi. Viceversa le fonti ci danno notizia di un Poverello «sano goloso», moderato estimatore del buon cibo, che sa apprezzare come dono e segno di letizia.

Pane, focacce, cereali, erbe selvatiche, verdure, uova, formaggi, pesce, carni bianche e dolci (i mostaccioli di mandorle): tutto, se preso senza ingordigia, contribuisce a lodare il Creatore nel creato. E a rafforzare la fraternità tra gli uomini. Si legge infatti nella Regola non bollata, composta intorno al 1221: «E con fiducia l’uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose che gli sono necessarie e gliele dia. E ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in quelle cose in cui Dio gli darà grazia. E colui che mangia, non disprezzi chi non mangia, e chi non mangia, non giudichi colui che mangia. E ogniqualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti i frati, ovunque si trovino, di servirsi di tutti i cibi che gli uomini possono mangiare, così come il Signore dice di Davide, il quale mangiò i pani dell’offerta che non era permesso mangiare se non ai sacerdoti. E si ricordino che il Signore dice: “State bene attenti, che i vostri cuori non si appesantiscano nella crapula e nell’ubriachezza e nelle preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non piombi su di voi all’improvviso, poiché cadrà come un laccio su tutti coloro che abitano sulla faccia della terra”. Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità tutti i frati per le cose loro necessarie provvedano così come il Signore darà loro la grazia, poiché la necessità non ha legge».

Un libro dunque che ci aiuta a ricollocare, prendendo esempio dalla spiritualità francescana, il cibo nella giusta dimensione e in un orizzonte di sobrietà e di giustizia. Un rapporto che, se ci invita a godere del buon cibo come inno alla grandezza di Dio, ci invita altresì a non trascurare il digiuno come mezzo privilegiato di rinuncia a se stessi «per cibarsi solamente di Dio». Perché «anche di pane vive l’uomo», ma senza dimenticare che esiste un cibo dell’anima, che consiste appunto «di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

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Giuseppe Cafulli

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