Expo: le religioni si interrogano sul "menù della felicità"

In vista dell’evento di Milano, cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani e induisti a confronto in una tavola rotonda sulla cultura del cibo

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Un momento di dialogo sul valore simbolico del cibo in vista di Expo 2015, un’occasione di dibattito ecumenico e interreligioso sul significato che l’alimentazione possiede per ciascun credente, sono stati i temi della tavola rotonda Il menù della felicità, che è tenuta questa mattina a Milano presso l’Archivio diocesano.

L’iniziativa è stata proposta dalla Diocesi di Milano in collaborazione con ExpoNet, magazine ufficiale di Expo Milano. È stata un’occasione in cui i rappresentanti della tradizioni religiose presenti a Milano hanno potuto confrontarsi sul significato che l’alimentazione possiede in ogni religione.

Sono intervenuti: monsignor Luca Bressan, vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Milano; Tovma Khachatrya, parroco della Chiesa armena apostolica; Hamid Abd al-Qadir Distefano, Imam della Comunità Religiosa Islamica; Giuseppe Platone, pastore della Chiesa evangelica valdese; Elia Richetti, rabbino della Comunità ebraica; Vickie Sims, cappellana della Chiesa anglicana; Ghiri Svamini Hamsananda, vice presidente dell’Unione Induista di Milano; Khenze Tenzin, monaco dell’Istituto Studi Buddhismo tibetano Ghe Pel Ling; Theophilakots Vitsos, parroco della Chiesa ortodossa greca e Shayk Abd-al Wahid Pallavicini, presidente di Coreis. L’incontro è stato moderato da Gerolamo Fazzini e dal direttore di Exponet Simone Molteni.

La custodia del creato, la responsabilità etica nei confronti della produzione e del consumo di cibo e il valore educativo del cibo stesso, la misura, l’equilibrio e la sobrietà, la lotta allo spreco sono stati alcuni dei temi emersi in questa mattina di dialogo. In vista di Expo, i nove rappresentanti religiosi seduti al tavolo, hanno condiviso la valutazione secondo cui la distribuzione non equa di risorse debba essere riconvertita. Il cibo, in tutte le riflessioni, assume un significato profondo: permette di riscoprire il rapporto con se stessi, con gli altri e con il Creato: è quel messaggio culturale che le religioni vogliono mandare a Expo e a chi lo visiterà.

Per monsignor Bressan, “noi cristiani saremmo felici se Expo permettesse a tutti coloro che lo vivranno di potersi sentire cittadini del mondo. Dopo l’ennesima tragedia nel Mediterraneo, diventato un cimitero per coloro che cercavano la felicità, corriamo il rischio di diventare cinici. L’Expo pare, in questi giorni, un evento senza padri, perché manca la capacità di sottolinearne la portata culturale e il menù della felicità, per la Chiesa cattolica, significa saper usare bene le cose del mondo e il legame che ci unisce al mondo stesso, per poter acquisire responsabilità”.

L’imam Hamid Distefano, della Comunità Religiosa Islamica italiana ha sottolineato come il tema della felicità vada inquadrato in una dimensione universale “è la ricerca del Bene superiore, di Dio. I benefici spirituali  arrivano dalla realizzazione di una scienza dell’equilibrio costruita sulla relazione tra il credente e Creato, tra il credente e fratelli, secondo la forma del “Misericordioso”, come dice la tradizione islamica. L’Expo sia l’occasione per ritrovare un orientamento sacrale della vita, che unisca il cielo e la terra con l’uomo al centro come mediatore”.

Per il parroco della Chiesa Armena Apostolica Khachatryan Tovma “la parola felicità non esiste nella Bibbia, ma c’è la parola beatitudine, che noi decliniamo secondo tre precetti immortali: il digiuno, la preghiera e la carità, che portano al concetto di parsimonia per poter aiutare i nostri fratelli”.

Giuseppe Platone, pastore della Chiesa Evangelica Valdese ha evidenziato come “i protestati non hanno prescrizioni sui digiuni – che spesso però sono fatti per protestare contro le ingiustizie –  ma la preghiera che precede il nutrirsi ricorda l’atteggiamento di sobrietà contro lo spreco. Dio ha un disegno personale su ciascuno e, comprenderlo è la felicità che significa adempiere la volontà del Signore”. Riguardo ad Expo ha sottolineato come la Chiesa Valdese “si aggrappi al concetto conciliare emerso a Vancouver nel 1983 nell’Assise Mondiale delle Chiese Cristiane: Pace, Giustizia e Salvaguardia del creato, in cui è chiara l’idea che, come Chiese, dobbiamo dare il buon esempio”.

“La diversità tra le religioni esiste ed è una risorsa. Nell’Ebraismo le grandi idee sono espresse sotto forma di precetti che hanno scopo di insegnare all’ebreo, e anche a chi non lo è, alcuni principi fondamentali. Il primo divieto espresso nella Bibbia è alimentare, proprio a indicare che ciò di cui ci nutriamo non è nostra proprietà, ma è di Dio. Il cibo, per questo motivo, merita lo stesso rispetto dell’uomo”, sottolinea il rabbino Elias Richetti.

La cappellana della Chiesa Anglicana Vickie Sims afferma: “Tutti vedono che oggi il modo di produrre cibo non è equo. La felicità rappresenta la connessione tra noi e Dio, tra noi e le altre persone: il cibo è un dono di Dio e per questo l’uomo deve preservare con cura e amore la terra. È bello vedere  giovani molto interessati al mangiare in modo etico”.

Hamsananda Ghiri Svamini vicepresidente dell’Unione Induisti di Milano ha ricordato le funzioni del cibo nell’Induismo: “L’alimentazione è presente in tutti i passaggi fondamentali della vita dell’uomo, nei suoi principali sacramenti”.

Per il monaco dell’Istituto Studi Buddhismo tibetano Ghe Khenze Tenzin: “Siamo chiamati a una responsabilità diretta. A Expo vedremo se al di là dei titoli poi si farà qualcosa di concreto, sennò finirà come il protocollo di Kyoto”.

Theophilactos Vitsos, parroco della Chiesa greco-ortodossa, conclude il giro di riflessioni: “La felicità esiste quando esiste una misura in ciò che facciamo. La dimensione ascetica del cibo è fondamentale e può aiutarci a vedere più profondamente le cose. Anche il digiuno è importante nella sua dimensione escatologica”.

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ZENIT Staff

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