Cosa significa per un padre essere pastore della sua famiglia?

Oggi si assiste ad un “silenzio” dei padri che delegano alla scuola, agli amici, alla tv o a internet l’educazione dei loro figli

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La prossima domenica la Chiesa celebrerà la figura del Buon Pastore. Una figura normalmente associata ai presbiteri, i quali esercitano il loro ministero di custodire e accompagnare il gregge che Dio gli ha affidato. Ma anche il padre è un pastore per la sua famiglia. E nei mesi che precedono l’assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema della famiglia, è proficuo riflettere su tale figura.

La repentina scristianizzazione che vive il nostro paese ha sortito l’effetto di scardinare gli elementi costitutivi del padre di famiglia. La prima missione del padre è quella di dare la sua vita per ogni componente del suo nucleo familiare. Questo dare la vita si traduce nell’accompagnare i figli nella loro crescita umana e spirituale, e proteggere i figli dai tanti pericoli palesi e nascosti.

Quanti padri parlano ai loro figli del pericolo dei gender? Quanti padri informano i figli sull’insensatezza della maternità in affitto? Quanti padri spiegano ai loro figli che non è possibile equiparare il matrimonio tra uomo e donna con altre forme di unione tra persone dello stesso sesso? Quanti padri parlano ai figli del valore della castità e della necessità di attendere il matrimonio per compiere l’atto coniugale?

Oggi si assiste ad un colpevole silenzio dei padri che delegano alla scuola, agli amici, ai messaggi della televisione o alla immagini di internet l’educazione dei loro figli. Siamo tristemente testimoni di una nuova situazione antropologica: la totale rinunzia della missione educativa paterna. L’idea è quella di lasciar fare ai figli le loro esperienze, senza proteggere i figli da quei comportamenti che possono ferire gravemente l’animo umano.

Assistiamo purtroppo anche al drammatico fenomeno di padri mercenari, che vivono con estraneità la loro missione educativa e formativa verso i loro figli. La disappartenenza dei padri si manifesta nel restare passivi e nel non controllare e proteggere la vita dei loro figli davanti alle tante insidie presentate dal mondo. Quanti padri incoraggiano all’impegno scolastico i loro figli? Quanti padri si interessano delle amicizie dei loro figli? Quanti padri dedicano ogni giorno un tempo all’ascolto dei loro figli?

L’atteggiamento diffuso è quello di un abbandono silenzioso, nel quale il padre fugge dalle sue responsabilità formatrici e rassicurative. Questo atteggiamento conduce al “rapimento” delle anime dei loro figli da parte dei tanti “lupi” dei nostri tempi, da identificare nella rete, nella televisione, nelle scommesse, nella droga, nell’alcool, nella sessualità precoce.

Tristi situazioni che sono un segnale dell’assenza del padre, il quale è molto impegnato nel seguire i suoi interessi personali e poco attento ai bisogni dei figli. Alla luce di questo, è evidente come la conoscenza reciproca tra padre e figlio sia dunque il fondamento vitale del principio educativo, dove conoscere vuol dire proteggere, correggere ed amare.

Quando i figli si sentono amati dai loro genitori, essi rimangono con gioia nel recinto della famiglia, vivendo con la prospettiva di formarsi in futuro una loro famiglia. Laddove invece si evidenzia l’assenza della figura paterna, il gregge della famiglia si sgretola, vengono meno i punti di riferimento e ognuno ascolta se stesso.

Il padre, quindi, come ogni pastore, è chiamato a variare la propria posizione dentro la famiglia. Mettersi nelle retrovie per controllare attentamente la vita dei suoi figli e scorgere la presenza di eventuali pericoli, accompagnare da vicino i figli quando è necessario un sostegno, e precederli loro attraverso la testimonianza di vita vissuta.

Tutta la missione del padre trova il suo culmine nel favorire l’apertura al rapporto con Dio Padre: educare i figli ad aprirsi all’obbedienza di Dio Padre per vivere fattivamente la dimensione della figliolanza adottiva di Dio.

Un padre, infatti, educando il figlio all’obbedienza e all’ascolto, genera nel suo animo una predisposizione naturale al trascendente, spingendolo a scoprire la relazione con Dio Padre. Il paradosso della vita cristiana consiste nell’accettare i pregi e i difetti del proprio padre terreno per giungere alla scoperta e alla conoscenza di Dio Padre.

Una delle cause dell’abbandono della fede in Dio Padre è, di fatto, proprio il rifiuto e il disprezzo dei figli verso i loro padri terreni.

Il prossimo Sinodo dei Vescovi ha come tema la famiglia non per ragioni sociologiche o antropologiche, quindi. La rivelazione della Sacra Scrittura fornisce alla Chiesa la certezza che una fedele obbedienza e una sincera riconoscenza al padre terreno è il fondamento e principio della vita cristiana. La storia della Santa Famiglia di Nazareth è il contenuto esegetico di questa verità di fede: [Gesù] Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso (Lc 2, 51).      

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Osvaldo Rinaldi

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