Di solito mi scriveva quasi tutti i giorni. Un messaggio veloce su WhatsApp, un buongiorno affettuoso via email… Poi, all’improvviso, più niente. Chiara mi aveva contattata la prima volta sul Blog e poi ne era nata una bella amicizia. Una donna profonda ed intelligente, con un cammino spirituale originale alle sue spalle (più di questo non dico per tutelare la sua privacy). Mi ha spesso aiutata mandandomi il messaggio giusto al momento giusto (non so come facesse; evidentemente Dio ci dirige più di quanto noi intendiamo).
Il silenzio di questi ultimi tempi lo avevo notato ma – pensavo – è Pasqua, ci sono tanti impegni liturgici e parrocchiali, io sono stata per un periodo in Francia…
Durante la Settimana Santa invece, mi arriva un suo audio messaggio su WhatsApp. “Strano – penso io – non lo ha mai fatto”. Ascolto e non avrei mai immaginato. Chiara ha una malattia agli occhi che potrebbe scrivere “cecità” nel suo futuro. Sono stata io a chiederle per poter capire ancora meglio, altrimenti Chiara non mi avrebbe raccontato un gran che, perché il suo intento non era parlare di sé, ma parlare con me.
Il Sabato Santo mi dice: “Tento di fare quel che posso… Faccio cose piccole… Sono al centralino… Ascolto le persone… Per il resto, per ora, sono fuori gioco… Ma io voglio continuare a sentirmi abbracciata a Lui… Voglio amare come posso… Mi affido!”. Aveva tanti progetti già in corso e, per ora, tutto fermo.
Quanto sforzo interiore ci serve per cancellare la parola “sfortuna” dagli eventi della vita e sentirci abbracciati da Dio, qualsiasi cosa succeda? Per non percepirci come viandanti che tentano di mantenersi in equilibrio su una giostra impazzita che ci sballottola a destra e a manca? Per cancellare la rabbia e la paura che troppo spesso, sotto i nostri piedi, ci aprono il baratro dell’angoscia?
Pensavo a tutto questo quando, casualmente, mi è capitato sotto gli occhi un bellissimo libro intitolato “L’Abbandono alla Provvidenza Divina”.
Voglio farvi leggere solo le prime tre righe: “Dio parla ancor oggi come parlava un tempo ai nostri padri, quando non c’erano né direttori né metodi. Il momento dell’ordine di Dio costituiva tutta la spiritualità; questa non era stata ancora ridotta a un’arte che la spiegasse in modo così sottile e così dettagliato e che racchiudesse tanti precetti, istruzioni e massime”.
È un testo di Jean Pierre de Caussade, costituito dalle lettere alle suore di Nancy di cui egli fu direttore spirituale tra il 1733-1739. Vi aleggia l’alta spiritualità del cammino interiore di libertà, che altro non è se non il passaggio dall’Io (cioè dalla volontà di controllo, di possesso, di potere personale e di razionalità onnipotente) a Dio.
Appoggiare la propria fragilità sulla forza del Padre, è come essere un bel fiore che già promette frutti buoni. Tutto, infatti, ha un senso: i rami spogli, la fioritura ed i buonissimi frutti finali. C’è una frase, nel libro di cui stiamo parlando, che racchiude in sé uno stile di vita luminoso: “operare la vita sotto le ombre della morte”.
Possiamo mettere insieme vita e morte? Caos e speranza?
“Pre-vedere” e “pre-venire” non sono forse le due paroline magiche con cui l’Io riordina la propria vita, per darsi poi il permesso di sperare?
“Io metterò da parte i soldi …”
“Io stipulerò una pensione integrativa …”
“Io farò un check-up completo…”
Eppure, nonostante tutte le nostre fatiche per mettere ordine, ad un certo punto dobbiamo guardare oltre quel Caos che non riusciamo a comprendere. Quel fondo di mistero che, più cresciamo in conoscenza e controllo, più sembra spostarsi altrove; una specie di punto interrogativo che sembra stare lì per evidenziare la nostra impotenza.
È allora che il più grande gesto di coraggio che possiamo fare è aprire la porta all’umiltà. Siamo creature e non Creatori. Siamo fragili e non Padri Eterni.
In questa sorta di riflessione apparentemente fallimentare, si fa largo l’intuizione di una Speranza pura (anche ingiustificata dal contesto) che sappia convivere con il Caos, senza esserne annientata. Si fa avanti Dio.
Finalmente nel bilancio della vita, che fino ad allora avevamo fondato solo sull’ufficio marketing della nostra mente, apriamo le porte ad un Consulente di serie “A”. Nella più completa debolezza è allora che abbiamo la forza di dire: “Potresti pensarci TU? Io, da solo, non sono capace”. È in quel momento che piovono miracoli.
Ieri sera me ne ha raccontato un altro una mia cara amica. È il messaggio di WhatsApp con cui mi sono addormentata. “Cri, ho appena chiuso una lunga telefonata con Marta, la mamma di Alessia, la ragazza che l’estate scorsa ha rischiato di morire ed è rimasta paralizzata per tanto tempo. Ricordi la rabbia, la paura e la disperazione? Dopo dieci mesi di sofferenza Alessia sta recuperando…ma la meraviglia è che è una persona nuova…ha incontrato il Signore…prega, loda e ringrazia in continuazione…consapevole dei limiti fisici, si fida e lotta. Il Signore sa far bene le sue cose. Ha compiuto meraviglie nelle loro vite. Ultimamente nelle mie preghiere chiedo una sola cosa: di far esperienza del suo Amore infinito e di guardare la vita con i suoi occhi”.
“Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi a suo tempo; gettando su di Lui ogni vostra preoccupazione, perché Egli ha cura di voi.” (1 Pietro 5, 6-7)
[Tratto da www.intemirifugio.it]