Da Emmaus a Gerusalemme e al mondo intero

Lectio Divina sulle letture per la III Domenica di Pasqua (Anno B) – 19 aprile 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la III Domenica di Pasqua (Anno B).

Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.

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LECTIO DIVINA

Rito romano

At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1 Gv 2,1-5; Lc 24,35-48

Rito ambrosiano

At 16, 22-34; Col 1, 24-29; Gv 14, 1-11a.

1) Un cammino di misericordia: da Emmaus a Gerusalemme

Domenica scorsa abbiamo celebrato la divina Misericordia. E anche oggi la pagina del vangelo di Luca che la liturgia ci propone, sottolinea come essere testimoni della risurrezione del Signore voglia dire annunciare la conversione e il perdono. Viviamo la misericordia allora come riflesso della Risurrezione, e come occasione di conoscenza di Dio e del suo infinito amore, riconoscendoci deboli, fragili, miseri, ed è appunto nella nostra miseria che ci sentiamo accolti dal Dio misericordioso.

Domenica scorsa, abbiamo contemplato Gesù che guardava Tommaso con i suoi occhi pieni di misericordia. Le letture della Messa di oggi ci fanno contemplare un crescendo di misericordia: gli Atti degli Apostoli ci dicono come condizione necessaria per il perdono sia la conversione, Giovanni nella sua lettera ci dice come se qualcuno che ha peccato può trovare in Gesù un avvocato, qualcuno che invece di chiedere il resoconto del male fatto dall’uomo offre la vita per l’uomo, e la offre non soltanto per chi crede in lui, ma anche per il mondo, cioè per tutti gli uomini, anche i più distanti da lui. Il Vangelo lega in modo strettissimo l’essere testimoni del risorto con la predicazione della conversione ed il perdono.

La Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo1 e San Tommaso, perdonato della sua incredulità, ebbe l’impegnativo dono di mettere la sua mano nel costato e di arrivare vicino al Cuore del Crocifisso risorto. Toccò l’uomo e riconobbe Dio, che gli manifestava ancora una volta la Sua misericordia.

La sua conversione non fu tanto un movimento esteriore, quanto un cammino interiore come aveva fatto la Maddalena, quando nel giardino dove c’era il sepolcro vuoto, si voltò indietro e vide Gesù che stava vicino a lei in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Alla domanda “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Lei, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Lei allora, voltatasi verso di lui, gli disse: “Rabbunì!”, che significa: Maestro!

Questo episodio evangelico descrive in che cosa consiste la conversione. San Giovanni dice che Maria di Magdala si volta verso Gesù due volte… E’ già girata verso di lui, che senso ha allora il secondo voltarsi verso di lui? E’ un volgersi interiore, è quel cambiamento che avviene in noi e che rende gli occhi del cuore capaci di riconoscere la presenza nuova del Signore Risorto. Mi pare che sia questo il cammino di conversione: per poter ricevere il perdono è necessario orientare la propria vita a colui che ha annunciato, vissuto, dato il perdono. In fondo credo che proprio perché avvenga questo riconoscimento Gesù insiste così tanto nel dire: Sono proprio io!

Bellissimo che il riconoscimento avvenga ancora una volta attraverso la voce che chiama: “Maria”, la voce che spiega le Scritture lungo il cammino verso Emmaus, le mani che spezzano il pane, eucaristicamente. Grazie a questo incontro, i due discepoli che hanno ricevuto, accolto Cristo, che ha camminato e mangiato con loro, si affrettano a tornare a Gerusalemme. Vi tornano per annunciare il Vangelo di misericordia: Cristo è davvero risorto e si è fatto compagno della loro miseria.

2) Testimoni del Misericordioso.

Nel Vangelo di oggi, San Luca rivela un’evidente preoccupazione apologetica, e cioè quella di affermare la realtà e la concretezza della risurrezione. Gesù risorto ha un vero corpo. Entra di nuovo nel Cenacolo saluta, domanda e rimprovera, invita a rendersi conto della sua verità, mostra le mani e i piedi e, infine, mangia davanti ai discepoli.

Questi hanno una reazione umanamente comprensibile: sono sconcertati, impauriti, turbati, dubbiosi, stupiti e increduli. Sono anche presi dalla gioia, che se pure in modo diverso dalla paura, rende increduli: “Ancora non credevano per la gioia”. Dopo la risurrezione, i discepoli restarono dubbiosi e increduli, sia perché si trovavano davanti a un fatto assolutamente nuovo, sia perché si imbattono in una sorpresa troppo bella, desiderata, preannunciata da Cristo ma da loro ritenuta impossibile.

Finalmente, grazie alla riconoscenza (gratitudine) per l’amore manifestato dalle piaghe gloriose, dal pane eucaristicamente spezzato ad Emmaus, dalla pace effusa su di loro nel Cenacolo, i discepoli hanno riconosciuto che Cristo era davvero risorto e sentirono il “dovere” di testimoniarLo.

Visitati da Cristo che si manifestò loro con segni di misericordia, i discepoli hanno creduto al suo Amore appassionato, di cui Lui ha dato prova affrontando la passione, ha mostrando le ferite d’amore: le stigmate. Fu quindi naturale per loro seguire l’invito di diventare testimoni appassionati di questo amore. Perché l’amore si “paga” con l’amore.

Di conseguenza, la testimonianza della risurrezione di Cristo è efficace e credibile solo se anche noi, discepoli del Risorto, mostriamo al mondo le nostre mani e i nostri piedi segnati da opere di amore, dalle opere di misericordia.

Le tre letture della Messa di questa domenica sono unite da questo filo rosso: la conversione e il perdono dei peccati. Ambedue –conversione e perdono- hanno la loro radice nella Pasqua di Gesù e sono parte essenziale dell’annuncio missionario della Chiesa, come ha pure ricordato Papa Francesco nella Bolla di indizione dell’Anno della Misericordia (11 aprile 2015) . Negli Atti degli Apostoli, il giorno di Pentecoste San Pietro dichiara nella piazza pubblica: “Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati” (At 3,19, Prima Lettura). L’Apostolo esorta in modo paterno i “figlioli” a non peccare, ma se ciò capitasse, ricorda che c’è sempre una tavola di misericordia: “abbiamo un avvocato… Gesù Cristo il giusto… vittima di espiazione per i peccati di tutto il mondo” (1 Gv, 2,1-2, Seconda Lettura).

Nella terza lettura, presa dal Vangelo di San Luca “la conversione e il perdono dei peccati” sono la bella notizia che i discepoli dovranno predicare “a tutte le genti”, nel nome, cioè per mandato di Gesù (Lc 24,47).

Un esempio particolare di questa evangelizzazione è dato dalle Vergini consacrate nel mondo, che – in una società che rischia di essere soffocata nel vortice dell’effimero e dell’utile, del calcolo e della rivalità -sono segno di gratuità e d’amore.

La vita consacrata si caratterizza per la sua assoluta gratuità: è un dono che si riceve da Dio, si vive per Dio solo, e a Dio ritorna passando attraverso la preghiera di lode e di supplica e il servizio di carità.

Le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale l’uomo trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del cuore”2 (Benedetto XVI, 2 febbraio 2010). Queste donne testimoniano c
he, grazie alla verginità, è possibile vivere un amore consacrato nel mondo e che, grazie ad una vita lietamente e totalmente offerta, l’amore di Dio è davvero credibile.

La vergine consacrata nel mondo testimonia che la sua vita è Dio e Dio non è un discorso, non è un’idea: è una realtà della quale la persona consacrata vive e che fa presente agli uomini.

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LETTURA PATRISTICA

Guerric d’Igny,

Sermo I, in Pascha, 4-5

Cristo e la vera risurrezione e la vita

Come sapete, quando egli “venne” a loro “a porte chiuse e stette in mezzo a loro, essi, stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma (Jn 20,26 Lc 24,36-37); ma egli alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo” (Jn 20,22-23). Poi, inviò loro dal cielo lo stesso Spirito, ma come nuovo dono. Questi doni furono per loro le testimonianze e gli argomenti di prova della risurrezione e della vita.

È lo Spirito infatti che rende testimonianza, anzitutto nel cuore dei santi, poi per bocca loro, che “Cristo è la verità” (1Jn 5,6), la vera risurrezione e la vita. Ecco perché gli apostoli, che erano rimasti persino nel dubbio inizialmente, dopo aver visto il suo corpo redivivo, “resero testimonianza con grande forza della sua risurrezione” (Ac 4,33), quando ebbero gustato lo Spirito vivificatore. Quindi, più proficuo concepire Gesù nel proprio cuore che il vederlo con gli occhi del corpo o sentirlo parlare, e l’opera dello Spirito Santo è molto più poderosa sui sensi dell’uomo interiore, di quanto non lo sia l’impressione degli oggetti corporei su quelli dell’uomo esteriore. Quale spazio, invero, resta per il dubbio allorché colui che dà testimonianza e colui che la riceve sono un medesimo ed unico spirito? (1Jn 5,6-10). Se non sono che un unico spirito, sono del pari un unico sentimento e un unico assenso…

Ora perciò, fratelli miei, in che senso la gioia del vostro cuore è testimonianza del vostro amore di Cristo? Da parte mia, ecco quel che penso; a voi stabilire se ho ragione: Se mai avete amato Gesù, vivo, morto, poi reso alla vita, nel giorno in cui, nella Chiesa, i messaggeri della sua risurrezione ne danno l’annuncio e la proclamano di comune accordo e a tante riprese, il vostro cuore gioisce dentro di voi e dice: «Me ne è stato dato l’annuncio, Gesù, mio Dio, è in vita! Ecco che a questa notizia il mio spirito, già assopito di tristezza, languente di tiepidità, o pronto a soccombere allo scoraggiamento, si rianima». In effetti, il suono di questo beato annuncio arriva persino a strappare dalla morte i criminali. Se fosse diversamente, non resterebbe altro che disperare e seppellire nell’oblio colui che Gesù, uscendo dagli inferi, avrebbe lasciato nell’abisso. Sarai nel tuo diritto di riconoscere che il tuo spirito ha pienamente riscoperto la vita in Cristo, se può dire con intima convinzione: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!».

Esprimendo un attaccamento profondo, una tale parola è degna degli amici di Gesù! E quanto è puro, l’affetto che così si esprime: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!». Se egli vive, io vivo, poiché la mia anima è sospesa a lui; molto di più, egli è la mia vita, e tutto ciò di cui ho bisogno. Cosa può mancarmi, in effetti, se Gesù è in vita? Quand’anche mi mancasse tutto, ciò non avrebbe alcuna importanza per me, purché Gesù sia vivo. Se poi gli piace che venga meno io stesso, mi basta che egli viva, anche se non è che per se stesso. Quando l’amore di Cristo assorbe in un modo così totale il cuore dell’uomo, in guisa che egli dimentica se stesso e si trascura, essendo sensibile solo a Gesù Cristo e a ciò che concerne Gesù Cristo, solo allora la carità è perfetta in lui. Indubbiamente, per colui il cui cuore è stato così toccato, la povertà non è più un peso; egli non sente più le ingiurie; si ride degli obbrobri; non tiene più conto di chi gli fa torto, e reputa la morte un guadagno (Ph 1,21). Non pensa neppure di morire, poiché ha coscienza piuttosto di passare dalla morte alla vita; e con fiducia, dice: «Andrò a vederlo, prima di morire».

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NOTE

1 Cfr Sant’Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668)

2 La compunzione del cuore porta in sé il sigillo della carità divina, del puro amore a Dio. La vera compunzione, infatti, è dono dell’Altissimo, è il dolore soprannaturale che penetra nel cuore dell’uomo al pensiero della Passione di Cristo, al ricordo delle proprie colpe, alla constatazione del prolungarsi dell’esilio terreno che separa da Dio, unica felicità dell’anima viatrice. Tutto ciò fa sgorgare quelle salutari lacrime, dell’anima piuttosto che degli occhi, alle quali neppure Dio sa resistere.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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