"La crisi in Siria è parte di una guerra mondiale!"

Intervista all’arcivescovo melchita di Homs, mons. Jean Abdo Arbach

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Quattro anni dopo dall’inizio della guerra in Siria, la crisi umanitaria è andata sempre più deteriorandosi, e tuttora non presenta alcun segno di miglioramento. Oltre 200mila persone hanno perso la vita in questi anni, secondo i dati delle Nazioni Unite, e chi è rimasto in vita è in preda ad una sofferenza schiacciante. Su una popolazione totale di 22milioni di abitanti, oltre la metà in Siria necessita di assistenza e di beni primari come acqua, cibo, cure sanitarie. Il resto, circa 6-7 milioni, sono sfollati fuggiti dalle loro case. La maggior parte è rifugiato in Libano (circa un milione), altri 600mila in Giordania.  

A raccontare a ZENIT tutto questo è l’arcivescovo greco-cattolico melchita di Homs, Hama e Yabrud, mons. Jean Abdo Arbach, intervistato in esclusiva a Madrid, in occasione della sua partecipazione alla Giornata sull’Oriente cristiano e il mondo arabo. Nel colloquio, il presule parla dei cristiani che vogliono rimanere in Siria e degli sfollati che vorrebbero tornare a casa; spiega poi che la crisi che attraversa il paese è il frutto di una guerra mondiale che si combatte sul suolo siriano. Al contempo, mons. Abdo interpella la comunità internazionale a trovare una soluzione dignitosa per le famiglie e i milioni di bambini che hanno fame, sono malati e necessitano di una educazione.  

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Attualmente ci sono due piaghe in Siria: la guerra civile e le minacce del Califfato islamico. Da quando va avanti questa situazione?

La crisi in Siria, non è una crisi civile. Si tratta di una guerra mondiale combattuta nel territorio siriano. Quando potrà terminare? Parliamo di una domanda internazionale. La Siria chiede pace e tranquillità. La gente è stanca e vuole tornare a casa. Vuole vivere con dignità. Abbiamo bisogno tutti di pace. Come ha detto il Papa: “Che tacciano le armi!”. Quindi, ripeto, che tacciano le armi!

È possibile trovare una soluzione alla crisi attraverso il dialogo?

Rispondo chiaramente. Nessuno può fermare il dialogo. Proprio oggi, per fortuna, è iniziato un dialogo interno tra il governo e l’opposizione siriana in Russia. Quindi c’è un dialogo. Ma si sta parlando in generale. Se si troverà una soluzione o meno, non lo so… L’opposizione è influenzata dalla comunità internazionale. Non c’è una posizione chiara sulla soluzione. Questo è il problema. Oggi, il Medio Oriente è tutto in fiamme. Non sappiamo chi è il responsabile. Non succede solo in Siria. È necessario che la comunità internazionale, insieme con i governi attuali, trovi una soluzione dignitosa per le persone, per le famiglie, per i bambini… E solo quando ci sarà la libertà e la dignità di dire la verità, si potrà giungere ad un vero dialogo. E la guerra finirà.

Cosa sta facendo la Chiesa per mitigare questa ondata di sofferenza?
La Chiesa lavora molto. Ci sono riunioni permanenti del Papa con i patriarchi, o dei vescovi della Siria con i patriarchi. La Chiesa aiuta molto. La Chiesa è presente ovunque. La Chiesa dialoga, anche con i leader musulmani. Organizziamo molti incontri per promuovere la riconciliazione tra le due religioni. E per fortuna, siamo riusciti a fare tanto per questo. Il problema non è questo… È che ci sono alcune difficoltà. Ad esempio: cosa fare per far giungere gli aiuti in Siria? Il paese soffre un blocco da pare di Europa e Stati Uniti, e abbiamo quindi grande difficoltà a far entrare materiali in Siria.

L’atteggiamento dell’Occidente influenza la minoranza cristiana?

Il problema che ci si pone è se l’Occidente vuole che i cristiani rimangano nei loro paesi d’origine. Stiamo parlando di paesi che sono le radici stesse del cristianesimo: Siria, Libano, Iraq… Sono la culla del cristianesimo. Oggi, cosa pensa l’Europa dei cristiani? Per esempio, in Iraq prima della guerra del Golfo c’erano un milione e mezzo di cristiani. Oggi ce ne sono appena 200mila. Allora mi chiedo: qual è il futuro dei cristiani in Medio Oriente? Loro vogliono restare, vogliono vivere nella loro terra, dove ci sono le loro radici…

Quali sono le paure del popolo siriano?

In un certo senso, i siriani non hanno paura. Sono spaventati da Daesh [acronimo arabo per lo Stato Islamico, ndr] e dagli estremisti, ma non del Governo. Anzi, al contrario… Il Governo ci protegge. Grazie a Dio, dove permane l’autorità del Governo stiamo bene. Abbiamo festeggiato la Pasqua, possiamo pregare, conviviamo cristiani e musulmani insieme… Il problema sono i luoghi fuori controllo a causa della presenza degli estremisti, di Daesh o del Fronte Al-Nusra. Non permettono di pregare in nessun modo, né di entrare in Chiesa o uscire la notte. Non si può fare nulla. Non c’è libertà, ma solo terrore. Per rispondere alla sua domanda, una paura per ogni siriano forse è l’interrogativo: quale sarà il mio futuro? Dovrò vivere un’altra guerra più avanti? I cristiani del Medio Oriente già si stanno abituando a vivere così. Ogni 25 anni c’è una guerra.

E le speranze?

Abbiamo una speranza e una fede molto grande, che non sono mai mancate. Per questo siamo vivi. La presenza della Chiesa tra i fedeli è molto importante, soprattutto per sostenere le famiglie cristiane. La mia presenza e quella dei miei fratelli vescovi in questi i luoghi, la presenza dei sacerdoti nelle parrocchie, aiuta tanto i cristiani.  

Il Consiglio dei Capi delle Confessioni cristiane di Aleppo ha appena lanciato un vigoroso appello…

Il popolo siriano non ce la fa più. È stanco. Aleppo ha già sofferto tanto in passato. E adesso viene bombardata coi razzi. Questo la comunità internazionale lo sa, ma non sa chi lotta contro chi. È necessario perciò che ci sia un lavoro congiunto per il rispetto, per fermare questi disastri. Chi fornisce le armi ai ribelli? Quante volte i nostri patriarchi hanno detto chiaramente che bisogna smetterla di inviare armi e denaro? Quando uno non viene più alimentato, smette di vivere.  

Che messaggio vorrebbe inviare all’opinione pubblica?

Il mio messaggio è chiaro. È quello che dice il Vangelo: lavoriamo per la pace, lavoriamo per la giustizia. Basta armi! Basta violenza! Per Dio, per misericordia, per i bambini… Ci sono milioni di bambini che hanno fame e sono malati, che hanno bisogno che qualcuno si adoperi per dar loro un’educazione. Basta violenza! I nostri figli stanno per strada… Questa non è la nostra cultura. La nostra cultura è l’amore, la carità, la riconciliazione.

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Iván de Vargas

Profesional de la comunicación con más de 15 años de experiencia en la información religiosa. A lo largo de su dilatada trayectoria, ha desempeñado diferentes responsabilidades: delegado diocesano de Medios de Comunicación Social de Córdoba y director de la Revista Primer Día; director de comunicación de la Universidad Católica San Antonio de Murcia (UCAM); redactor jefe del Semanario Alba, y responsable de comunicación de María Visión España, donde ha dirigido y presentado diferentes programas de TV. Asimismo, ha sido colaborador de diferentes medios de comunicación nacionales e internacionales (Cadena Cope, Popular TV, Intereconomía TV, Radio Intereconomía, La Nación, Trámite Parlamentario y Municipal, Radio Inter, Radio María, Semanario Alfa y Omega, Avvenire, etc.). En este tiempo, ha estado especialmente vinculado a la cobertura informativa de las actividades del Papa y la Santa Sede. Actualmente es redactor de la agencia ZENIT. También es miembro fundador de Crónica Blanca y socio de la Unión Católica de Informadores y Periodistas de España (UCIP-E).

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