La misericordia di un incontro

Lectio Divina sulle letture per la Domenica della Misericordia 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la Domenica della Misericordia 2015.

Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.

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LECTIO DIVINA

Rito Romano

At 4,32-35; Sal 117; 1 Gv 5,1-6; Gv 20,19-31

Rito Ambrosiano

At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
Domenica II di Pasqua – (della Divina Misericordia)(ormai tolte le vesti battesimali) 

1) Un incontro che conferma la fede.

I discepoli avranno perso la fede a causa della passione e morte di Gesù? Poteva la fede di questi futuri pescatori di uomini venire meno del tutto? Certo i giorni drammatici culminati con Cristo morto in Croce, l’aveva resa debole, fragile, incrinata e il cuore era pieno di paura. Tant’è vero che, anche se restano a Gerusalemme, si sono rinchiusi nel Cenacolo con le porte sprangate per paura dei Giudei. Ma, ecco che alcune donne (come ci ha ricordato il Vangelo di domenica scorsa) avevano annunciato loro che Cristo era risorto. Tuttavia questo annuncio non bastò loro. In effetti, è necessario, ma non sufficiente che qualcuno Lo abbia visto e annunciato: è necessario incontrarLo.

Nel luogo dove si erano rifugiati c’era ancora aria di paura. Paura dei Giudei, certo, ma anche e soprattutto paura di se stessi, della propria viltà, di come si erano comportati nella notte del tradimento. Eppure, nonostante il loro cuore inaffidabile – e il nostro cuore lento – Gesù venne in quella casa e stette in mezzo a loro.Gesù sapeva che la fede non poteva rifiorire, essere confermata solamente dal ricordo di Lui, di quanto Lui aveva detto e fatto nei tre anni trascorsi con i suoi apostoli. Il ricordo, per quanto vivo, non basta a rendere viva una persona, al massimo può far nascere una scuola di vita e di pensiero.

Dunque Gesù, dopo aver lasciato il luogo di morte che era il sepolcro, entra in un luogo dove ci sono i suoi discepoli1 morti di paura, morti nel cuore, e sta in mezzo a loro, che – secondo me – non vuol dire solo al centro ma anche dentro.

Gesù risorto sta di nuovo con i suoi discepoli e cosa fa? Porta la sua pace. La prima esperienza di resurrezione è che nel luogo chiuso dove io mi trovo, nelle mie paure, Lui è lì presente al centro e mi annuncia la pace. E’ lì che Lo incontro, proprio nel chiuso delle mie paure.Quindi, è importante questo incontro, perché è un fatto che cambia la vita. Dopo l’incontro della Maddalena, che cerca Cristo con santo amore e pura pietà, oggi siamo chiamati a celebrare l’incontro di amore e di pietà di Cristo che cerca noi. Il Risorto viene incontro a noi che siamo morti nelle nostre paure, nelle nostre fragilità, nel nostro peccato, nelle nostre chiusure, nel nostro buio, per farci risorgere attraverso la pace e la gioia.

La pace e la gioia sono un dono del Risorto, che affondano le loro radici nell’amore. Pace e gioia sono il dono del Risorto e, al tempo stesso, le tracce per riconoscerlo. Ma occorre frantumare l’attaccamento a se stessi. Solo così non si è più ricattabili e si è liberati dalla paura. La pace e la gioia fioriscono nella libertà e nel dono di sé, due condizioni senza le quali non è possibile alcuna esperienza della presenza del Risorto.

Il risorto Gesù, ricco di misericordia e di bontà e di pace, non è fermato dalle porte chiuse del Cenacolo. Sant’Agostino spiega che “le porte chiuse non hanno impedito l’entrata di quel corpo in cui abitava la divinità. Colui che nascendo aveva lasciata intatta la verginità della madre poté entrare nel cenacolo a porte chiuse” e confermare le debole fede mostrando le piaghe gloriose (cfr Inno ai Vespri di Pasqua).

2) Un gesto di misericordia.

Come ci è detto nel brano del Vangelo di oggi, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente”. Tommaso si inginocchia e fa una splendida professione di fede: “Mio Signore e mio Dio!”.

Il Risorto Gesù mostra i segni della passione, fino a concedere all’incredulo Tommaso di toccarli. La condiscendenza divina ci permette di imparare anche da Tommaso incredulo e non solamente dai discepoli credenti. Infatti, toccando le ferite del Signore, il discepolo esitante guarisce non solo la propria, ma anche la nostra diffidenza.

In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Otto giorni dopo, Cristo risorto tornò nel cenacolo, stette2 nel mezzo (Gv 20,19). Gesù sta in piedi, diritto (è la posizione del Vivente, il cui corpo “giaceva” nel sepolcro) e si rivolge alla comunità intera, infatti, dice: “Pace a voi”, nella quale ora c’è anche Tommaso, al quale Gesù si rivolge personalmente e –come ho citato poco sopra- gli dice: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Per farsi riconoscere è il Risorto stesso che sceglie i segni della crocifissione: il fianco e le mani trafitte. Gesù invita Tommaso a realizzare il suo desiderio: vedere e toccare i buchi provocati dai chiodi che avevano sostenuto Gesù in Croce, e la ferita che la lancia aveva aperto nel costato del Redentore.

La Risurrezione non abolisce la Croce: la trasfigura. Le tracce della crocifissione sono ancora visibili, perché sono proprio loro a indicare l’identità del Risorto e a indicare la strada che il discepolo deve percorrere per raggiungerlo. Il Risorto porta per sempre le ferite, ora gloriose, memoria perenne del suo amore immenso e misericordioso per noi. San Tommaso poté mettere il dito nel buco dei chiodi e spingere la mano nella ferita aperta dalla lancia, perché riteneva giustamente che segni qualificanti dell’identità di Gesù fossero soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela anche oggi fino a che punto Dio ci ha amati e che il Risorto è il Crocifisso. Le ferite di Cristo restano misteriosamente aperte anche dopo la risurrezione: sono la porta sempre spalancata, attraverso la quale il Figlio di Dio si apre a noi e noi entriamo in Lui. Come Tommaso, noi oggi siamo chiamati a vedere e toccare il Corpo di Cristo, per entrare in comunione con Lui.

3) L’Amore è missione.

Il brano del Vangelo di oggi non ci parla solo dell’incontro tra il Risorto e san Tommaso, ma va oltre, affinché tutti possano ricevere il dono della pace e della vita con il “Soffio creatore”. Infatti, per due volte Gesù disse ai discepoli: “Pace a voi!”, e aggiunse: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro, dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. È questa la missione della Chiesa perennemente assistita dallo Spirito Santo: portare a tutti il lieto annuncio, la gioiosa realtà dell’Amore misericordioso di Dio.

L’amore è sempre missionario, perché manda la persona fuori di sé. Non nel senso di uscire di testa, cioè di impazzire, ma in quello di uscire dal proprio egoismo per affermare l’altro, perché l’altro viva. L’amore del Padre che ci offre il Figlio ci spinge verso i fratelli ( cfr 2 Cor 5, 14) perché anche loro scoprano questo amore divino e lo accolgano. Allora Dio sarà tutto in tut
ti (cfr 1 Cor 15, 28).

Perché possiamo compiere questa missione, Gesù ci dona il suo soffio di vita: la vita di Dio diventa la nostra vita. E’ lo spirito nuovo, che ci toglie il cuore di pietra e ci dà un cuore di carne, capace di vivere secondo la parola di Dio e di “abitare” la terra (cfr Ez 36, 24 ss). E’ quel soffio che Dio alitò su Adamo (cfr Gn 2,7) e che il nuovo Adamo “spirò” dalla Croce, facendo scaturire dal suo fianco sangue (segno dell’Eucaristia) e acqua (segno del Battesimo). E’ lo Spirito del Figlio di Dio, che ci rende capaci di vivere da fratelli e sorelle, vincendo il male con il bene. Per questo la missione dei discepoli consiste nel perdonare i peccati. Il perdono fraterno realizza sulla terra l’amore del Padre. In questo modo la Chiesa, sacramento di salvezza per tutti, continua la missione dell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

Con il dono del suo Spirito, Gesù invia anche noi a continuare nel mondo la sua opera di misericordia e riconciliazione. A questo ministero di misericordia partecipano in modo molto significativo le Vergini consacrate nel mondo.

Quando una cosa viene consacrata, essa è sottratta ad ogni altro uso per essere adibita solo a uso sacro. Così è di un oggetto, quando è destinato al culto divino. Ma può esserlo anche di una persona, quando essa viene chiamata da Dio a rendergli un culto perfetto. Essere consacrate a Cristo, vuol dire lasciarsi condurre da Lui, fidarsi di Lui e portare il suo amore misericordioso nella vita di ogni giorno. “Preghiamo il Signore che moltiplichi sulle vergini consacrate la grazia, affinché compiano le dovute opere di misericordia, e tutti coloro che le vedono glorifichino il Padre della Misericordia che è nei Cieli” (Santa Faustina Kowalska.). Come, fra l’altro, è confermato nel Rituale delle Vergini Consacrate, il quale afferma che il loro compito e di “attendere, ognuna secondo il proprio stato e propri carismi, alle opere di penitenza e misericordia3, all’attività apostolica e alla preghiera” (Prenotanda, n. 2) 

*

LETTURA PATRISTICA 

San Gregorio Magno
Omelia 26, 7-9

Tommaso, modello di fede per noi

Ma Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù” (Jn 20,24). Questo discepolo fu l’unico assente; al suo ritorno sentì ciò che era avvenuto, ma non volle credere a quel che aveva udito. Il Signore ritornò e presentò al discepolo incredulo il costato perché lo toccasse, mostrò le mani e, facendo vedere le cicatrici delle sue ferite, sanò la ferita della sua infedeltà. Cosa, fratelli carissimi, cosa notate in tutto ciò? Credete dovuto a un caso che quel discepolo fosse allora assente, e poi tornando udisse, e udendo dubitasse, e dubitando toccasse, e toccando credesse? Non a caso ciò avvenne, ma per divina disposizione. La divina clemenza mirabilmente stabilì che quel discepolo incredulo, mentre toccava le ferite nella carne del suo Maestro, sanasse a noi le ferite dell’infedeltà. A noi infatti giova più l’incredulità di Tommaso che non la fede dei discepoli credenti perché mentre egli, toccando con mano, ritorna alla fede, l’anima nostra, lasciando da parte ogni dubbio si consolida nella fede. Certo, il Signore permise che il discepolo dubitasse dopo la sua risurrezione, e tuttavia non lo abbandonò nel dubbio… Così il discepolo che dubita e tocca con mano, diventa testimone della vera risurrezione, come lo sposo della Madre (del Signore) era stato custode della perfettissima verginità.

[Tommaso] toccò, ed esclamò: “Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto” (Jn 20,28-29). Quando l’apostolo Paolo dice: “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (He 11,1), parla chiaramente, perché la fede è prova di quelle cose che non si possono vedere. Infatti delle cose che si vedono non si ha fede, ma conoscenza (naturale). Dal momento però che Tommaso vide e toccò, perché gli viene detto: “Perché mi hai veduto, hai creduto?” Ma altro vide, altro credette. Da un uomo mortale certo la divinità non può essere vista. Egli vide dunque l’uomo, e confessò che era Dio, dicendo: “Mio Signore e mio Dio“! Vedendo dunque credette, lui che considerando (Gesù) un vero uomo, ne proclamò la divinità che non aveva potuto vedere.

Riempie di gioia ciò che segue: “Beati quelli che non hanno visto, e hanno creduto” (Jn 20,29). Senza dubbio in queste parole siamo indicati in special modo noi che non lo abbiamo veduto nella carne ma lo riteniamo nell’anima. Siamo indicati noi, purché accompagniamo con le opere la nostra fede. Crede veramente colui che pratica con le opere quello che crede. Al contrario, per quelli che hanno la fede soltanto di nome, Paolo afferma: “Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti” (Tt 1,16). E Jc aggiunge: “La fede senza le opere è morta” (Jc 2,26).

*

NOTE

1 Il fatto che il Vangelo di oggi parli di “discepoli”, non di “apostoli” vuol dire che la cerchia è più ampia e comprende anche noi.

2 Il verbo greco che indica “stare”, in un suo composto significa “risorgere” (an-istemi: stare su). Il morto giace, messo a parte. Il Risorto sta diritto, nel mezzo della comunità dei credenti.

3 La Chiesa – servendosi della Bibbia, ma anche della propria esperienza bimillenaria – riassume l’atteggiamento positivo verso chi è in difficoltà, con due serie di opere di misericordia: quelle corporali e quelle spirituali.

Le sette opere di misericordia corporale sono:

1) Dar da mangiare agli affamati,

2) Dar da bere agli assetati,

3) Vestire gli ignudi,

4) Alloggiare i pellegrini,

5) Visitare gli infermi,

6) Visitare i carcerati,

7) Seppellire i morti.

Le sette opere di misericordia spirituale sono:

8) Consigliare i dubbiosi,

9) Insegnare agli ignoranti,

10) Ammonire i peccatori,

11) Consolare gli afflitti,

12) Perdonare le offese,

13) Sopportare pazientemente le persone moleste,

14) Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Ricorrendo al numero sette per due volte, la Chiesa intende dare a quel numero il valore simbolico raccolto nella Bibbia. Come a dire che in quel numero, che significa completezza, si vuol esprimere tutto ciò che riguarda l’aiuto verso il prossimo.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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