In questi giorni ho potuto assistere a un congresso. L’argomento: “Come assistere gli ammalati terminali.”
Lo scopo era di promuovere la collaborazione più ampia possibile per portare un po’ di luce a questo momento così delicato e importante della vita dell’uomo definito “ammalato terminale”. Aiutarlo a superare con serenità la fatica degli ultimi giorni della sua vita.
Si invoca da alcuni la discrezione delle cure che risparmino all’ammalato l’accanimento terapeutico, da altri si raccomandano interventi che, se non tolgono, almeno diminuiscano il dolore.
In una conferenza viene ricordata l’opera di Madre Teresa di Calcutta, la quale ha aperto gli “ospedali del moribondo” proprio per ammalati terminali. Anch’essa mira a soccorrere, curare per diminuire l’assalto del dolore fisico.
Ma ciò che percepisce come sommamente più importante e urgente è togliere o mitigare il più grande e più acuto dolore di cui l’ammalato soffre: la solitudine della morte. È già una morte soffrire la solitudine, l’abbandono.
Ed è per questo che Essa, nei suoi ospedali, offre all’ammalato terminale una medicina miracolosa: la possibilità di avere sempre accanto qualcuno che ti vuole bene; una presenza che ti mette in contatto con Gesù.
Lui è dentro di te e ti ama soprattutto in questo momento. È il momento più importante della vita: stai vivendo l’amore più grande: stai donando la vita.
È immediato il pensiero di riconoscenza proprio a Gesù che, sul calvario, ha vissuto anche lui, per amore tuo, questo momento. Anche lui in quel momento, da ammalato terminale, aveva accanto come prezioso sostegno, la mamma Maria. Pur sentendosi uomo abbandonato da Dio, a Dio si è consegnato: Padre mi affido alle tue mani.
Ecco perché in questi ospedali del moribondo si muore nella serenità: si muore tenuti per mano, si muore sentendosi amati.
Chi si sente amato … non muore, ma passa dalla vita alla vita.
Ciao da p. Andrea
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