Se esiste un popolo che ha vissuto “l’ecumenismo del sangue” è quello armeno. Un popolo dalla storia bimillenaria che ha conosciuto per primo il cristianesimo, convertendosi nel 301, e che ha scritto nella storia del mondo pagine di vera sofferenza. Pagine di violenze, di persecuzioni, di morte. Tanta morte, come quella provocata dal “Grande Male”, ovvero il “Metz Yeghern” con cui gli armeni chiamano il massacro di un milione e mezzo di cristiani, che rifiutavano di abiurare alla propria fede, all’epoca dell’Impero Ottomano.
Un evento tragico, di cui proprio in questi giorni ricorre il centenario, che pesa come una zavorra nel cuore di ogni armeno. Il Papa ha voluto ricordarlo nell’Udienza di oggi con il Sinodo Patriarcale della Chiesa Armeno-Cattolica, a Roma in questi giorni in occasione della celebrazione che avrà luogo domenica prossima nella Basilica Vaticana.
Una celebrazione in cui – promette il Papa – verrà elevata a Dio “la preghiera del suffragio cristiano per i figli e le figlie del vostro amato popolo, che furono vittime cento anni orsono”. In cui sarà invocata la Divina Misericordia “perché ci aiuti tutti, nell’amore per la verità e la giustizia, a risanare ogni ferita”. E attraverso cui si cercherà di “affrettare gesti concreti di riconciliazione e di pace tra le Nazioni che ancora non riescono a giungere ad un ragionevole consenso sulla lettura di tali tristi vicende”.
Accanto a queste prove, dice il Santo Padre, c’è sempre stato da parte del popolo armeno una forte “capacità di risollevarsi”. Per questo invita a coltivare sempre “un sentimento di riconoscenza al Signore, per essere stati capaci di mantenere la fedeltà a Lui anche nelle epoche più difficili”.
“È importante chiedere a Dio il dono della sapienza del cuore”, sottolinea Francesco, perché il rischio, specie in questi giorni di memoria, è di ripiombare nelle “tenebre del mysterium iniquitatis”. “Come dice il Vangelo – evidenzia infatti il Santo Padre – dall’intimo del cuore dell’uomo possono scatenarsi le forze più oscure, capaci di giungere a programmare sistematicamente l’annientamento del fratello, a considerarlo un nemico, un avversario, o addirittura individuo privo della stessa dignità umana”.
Per i credenti, tuttavia, la chiave di lettura è differente e “la domanda sul male compiuto dall’uomo introduce anche al mistero della partecipazione alla Passione redentrice”. “Non pochi figli e figlie della nazione armena furono capaci di pronunciare il nome di Cristo sino all’effusione del sangue o alla morte per inedia nell’esodo interminabile cui furono costretti”, ricorda il Papa. Eventi drammatici che, in un certo senso, “continuano la passione di Gesù”.
In ciascuna di queste “pagine sofferte”, tuttavia, “è posto il germoglio della sua Resurrezione”, afferma il Pontefice. Esorta dunque i Pastori a non far mai venir meno “l’impegno di educare i fedeli laici a saper leggere la realtà con occhi nuovi, per giungere a dire ogni giorno: il mio popolo non è soltanto quello dei sofferenti per Cristo, ma soprattutto dei risorti in Lui”.
Per questo è importante far memoria del passato, ma non per accrescere il rancore, bensì – sottolinea il Santo Padre – “per attingere da esso linfa nuova per alimentare il presente con l’annuncio gioioso del Vangelo e con la testimonianza della carità”. L’invito, in tal senso, è “a sostenere il cammino di formazione permanente dei sacerdoti e delle persone consacrate”, perché saranno loro i primi collaboratori dei Pastori.
Sempre a loro il Papa rivolge un pensiero, sia quelli che hanno accompagnato il Sinodo a Roma, ma anche i tanti sparsi nei paesi della Diaspora, come Stati Uniti, America Latina, Europa, Russia, Ucraina, persino Siria. Il Pontefice pensa “con tristezza” a quelle zone, in primis quella di Aleppo, “che 100 anni fa furono approdo sicuro per i pochi sopravvissuti”, e che oggi “hanno visto messa in pericolo la permanenza dei cristiani, non solo armeni”.
La gratitudine del Vescovo di Roma va poi “a quanti si adoperarono per recare qualche sollievo al dramma dei vostri antenati”. In particolare, Papa Benedetto XV che tanto fece per l’Oriente cristiano: intervenne presso il Sultano Mehmet V per far cessare i massacri degli armeni, istituì la Congregazione per le Chiese Orientali e il Pontificio Istituto Orientale, e nel 1920 iscrisse Sant’Efrem il Siro tra i Dottori della Chiesa Universale.
Un gesto che avrà il suo riverbero domenica prossima, quando Bergoglio aggiungerà “la grande figura” di San Gregorio di Narek ai Dottori della Chiesa. Proprio alla sua intercessione, il Papa affida il dialogo ecumenico tra la Chiesa Armeno-Cattolica e la Chiesa Armeno-Apostolica, entrambe “memori del fatto – conclude – che cento anni fa come oggi, il martirio e la persecuzione hanno già realizzato ‘l’ecumenismo del sangue’”.