Ancora pervasi dal clima gioioso della Risurrezione, siamo lieti di dare seguito al nostro articolo del 4 aprile scorso, dedicato ai versi celebrativi della Pasqua, pubblicando gli altri contributi poetici giunti in Redazione.
“La Pasqua è l’evento che ha portato la novità radicale per ogni essere umano, per la storia e per il mondo: è trionfo della vita sulla morte; è festa di risveglio e di rigenerazione. Lasciamo che la nostra esistenza sia conquistata e trasformata dalla Risurrezione!”, ha detto papa Francesco durante il Regina Coeli pronunciato il 6 aprile. “La fede nella risurrezione di Gesù e la speranza che Egli ci ha portato è il dono più bello che il cristiano può e deve offrire ai fratelli. A tutti e a ciascuno, dunque, non stanchiamoci di ripetere: Cristo è risorto!”.
Ed ecco una poesia di Giancarlo Castagna, che esprime in versi la solennità dell’evento con un linguaggio di stile classico basato sulla reiterazione del grido di giubilo: Risorto è Cristo!
RISORTO È CRISTO
di Giancarlo Castagna
Risorto è Cristo! È questa la parola
che come un’eco in cuore ancor risuona.
Risorto è Cristo! E l’anima consola
il pensiero che Dio non ci abbandona.
Risorto è Cristo! “Tutto è ormai compiuto”:
è ciò che pronunciasti allor morendo.
Risorto è Cristo! Tutto è ormai compiuto:
a noi l’hai confermato risorgendo.
D’allor nulla è mutato nel Tuo amore,
d’allor più nulla può la morte ria
poiché gustato abbiam dolce sapore
del Tuo perdono all’anima che pia
a Te si volge in consolato pianto,
a Te si volge e piega in abbandono,
a Te si volge: e stare a Te d’accanto
esser comprende immensurabil dono.
A Te si volse ai piedi della croce
Santa Maria, la Madre sì ferita,
e Giovanni, smarrito, senza voce
a Te rivolse l’anima contrita:
ché sì grande dolor non fu mai noto
in questa terra che Tu pur creasti,
che si ribella in esecrabil moto
in quei giorni terribili e nefasti.
A Te vorrò pur io volgere il cuore,
a Tua croce piegare il mio pensiero
ed al mondo annunciare con fervore
questo divino, sublime Mistero:
“Risorto è Cristo!” E l’infernali porte
giacciono a terra disastrate e rotte
e mai neppure avranno miglior sorte
gli oscuri sortilegi della notte.
Risorto è Cristo! E il nuovo eterno giorno
mai non vedrà l’oscurità venire
ché Cristo non tramonta e a noi d’intorno
la Sua luce mai più potrà svanire.
***
Durante l’omelia della messa solenne della notte di Pasqua, Papa Francesco ha sottolineato il coraggio delle donne che si spinsero fino al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, temendo di non poter rimuovere la pietra che ne ostruiva l’ingresso. “Ma ecco il primo segno dell’Evento: la grande pietra era già stata ribaltata!”, ha detto Francesco. Ed ha concluso plaudendo all’esempio delle donne che, reagendo alla paura e al dolore, conobbero per prime la Risurrezione: “Impariamo da loro a vegliare con Dio e con Maria, nostra Madre, per entrare nel Mistero che ci fa passare dalla morte alla vita…”.
Quasi echeggiando in versi le parole del Pontefice, ecco una bella riflessione poetica di Gioele Meriti, dedicata alla “donna di Betania”, colei che cosparse d’olio profumato il capo di Gesù, profetizzando il momento della Passione. Gesto di totale gratuità e d’intrinseca bellezza che Gesù spiegò agli inconsapevoli discepoli con queste parole: “Versando quest’olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo Vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei” (Mt 26,12-13).
PASQUA
di Gioele Meriti
Mentre sedeva a mensa
una donna di Betania
spezzò un vasetto d’alabastro
e ne versò il nardo prezioso
sui capelli di Gesù.
Ora profuma di nardo
la pietra del sepolcro vuoto
ove poggiava il capo
il profeta senza vita.
Avrebbero preferito venderlo
quell’unguento, i benpensanti,
e dare il ricavato ai poveri.
Nella loro piccola logica senza sogni
non potevano immaginare
che la risurrezione avrebbe avuto ormai per sempre
il profumo di una donna appassionata.
***
Ma la nostra riflessione sulla poesia come interprete della Croce sarebbe incompleta se non citassimo anche il grido di dolore lanciato da Papa Francesco in occasione della Pasqua: “Deve continuare da parte di tutti il cammino spirituale di preghiera intensa, di partecipazione concreta e di aiuto tangibile in difesa e protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani…”.
Accanto allo sconcerto e all’orrore per gli episodi di violenza riportati in questi giorni dalle cronache, dobbiamo purtroppo ricordare altre forme di sofferenza non meno diffuse. Giovanni Paolo II (al cui magistero s’ispira, in linea di continuità, l’apostolato di Francesco) ci ricordava che non esiste solo la “povertà materiale, essendo noto che, specialmente nella società moderna, si trovano molte forme di povertà non solo economica, ma anche culturale e religiosa”.
E qui ci sovviene il componimento di un autore che si segnala, ancora una volta, per l’assoluta originalità di stile in sintonia con l’attualità d’ispirazione e di contenuto. Anche in questo caso, siamo in presenza di una croce ma non si tratta di violenza esterna, bensì della violenza più subdola che l’uomo infligge a se stesso cedendo all’orgoglio, alienandosi dal centro autentico della sua spiritualità: “simulacro / disconosciuto / per volontà”, scrive il poeta. Quello di cui ci parla Rosario Giuffrè è l’uomo che si è “crocifisso / da solo”, l’uomo che non può neppure affidarsi “all’altro ladrone”, perché l’altro è uno “specchio / strabico”. Un gioco di specchi, appunto, che il prof. Giuffrè illustra con immaginifica potenza, mostrando ancora una volta come la poesia, ai suoi livelli più alti, possa cogliere impercettibili sfumature che sfuggono alla codificazione delle scienze umane.
GUANCIA A GUANCIA
di Rosario Giuffrè
Guancia
a guancia
e non ti riconosci
hai paura
di sapere
oltre l’immagine,
gli odori
fraudolenti
pervasivi
nell’aureola lucida
che ti circonda,
ingiusta,
aria sottile
sofisma
che cambia colori;
occhi negli occhi
guardi l’estraneo
solitario,
l’altro nel prato,
verde già
di sole al tramonto
negli occhi
rossi di gatto
punta l’omonimo,
il figlio
mai più accarezzato
sconosciuto
metà di se stesso
altro da te,
simulacro
disconosciuto
per volontà
tuttavia.
Ti sei crocifisso
da solo
non puoi neppure
affidarti
all’altro ladrone,
l’altro è lo specchio
strabico
un orizzonte
distorto
diverso
lontano e freddo
resta calda
la voce che chiama
arundo vitale
virgulto ancora
sempre
microfono parlato
da altro,
da te
ma in te.
***
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