Siamo nel cuore dell’anno liturgico, il culmine di tutta la storia dell’uomo, nel periodo in cui l’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio, si manifesta in tutta la sua portata salvifica, il tempo di Pasqua, il momento della Risurrezione. Quale momento migliore per ribadire il senso dell’arte cristiana, quale momento più propizio per ridire ciò che l’arte è nella tradizione, nella memoria e nell’attualità della Chiesa?
L’arte confessa la fede, tutta la fede, senza perdere neppure uno iota, ha il compito di educare alle verità di fede, non può avere vacillamenti dottrinali. Svolge il compito di meditare sulle verità di fede e quindi l’artista ha il dovere di averle realmente meditate, vissute e comprese, per poterne essere testimone attraverso la sua abilità tecnica, poetica e spirituale al fine di farci entrare mistagogicamente in esse. Essa, l’arte, ha anche il compito di indicarci la strada della vita, quella che nelle difficoltà di tutti i giorni, si fa largo tra mille tentazioni e mille ostacoli, proponendo esempi fulgidi di carità e di santità, adempiendo così al mandato parenetico che in essa si deve sviluppare.
Inoltre poi ha sommamente il dovere di farci contemplare tutti gli aspetti della verità attraverso la bellezza che è manifestazione della santità di Dio e dei suoi angeli e dei suoi santi, alzando appunto con una gigantesca lode di grazie un inno di bellezza che sia in grado di rispondere, per quel che l’uomo può, alla infinita bellezza che l’amore di Dio riversa nelle nostre misere vite, attraverso il fiume di grazia che dal costato squarciato di Cristo inonda tutto il Creato.
La Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium afferma: «Tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento intendono glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una sacra imitazione di Dio creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, alla edificazione, alla pietà e alla formazione religiosa dei fedeli» (SC, n. 27).
Potremmo terminare qui e avremmo detto tutto ciò che di importante c’è da dire sull’arte all’interno della vita cristiana, ma purtroppo in una epoca che si è fatta distrarre dalla mondanità, come ci avvisa quasi quotidianamente Sua Santità Papa Francesco, il tergiversare dell’arte nella liquidità socio culturale e morale dell’oggi è il problema più urgente da affrontare.
Qualcuno mi potrebbe dire, come è accaduto già mille volte, che con tutti i problemi che ci sono oggi, l’arte è di fatto l’ultimo e non il primo dei problemi e di fatto così come accade nella vita di tutti i giorni: prima si pensa alla sopravvivenza e poi al superfluo.
Purtroppo questa è la visione del mondo che si è fatta largo fino nel più profondo della mentalità cristiana, tanto da non scorgerne a volte alcuna differenza. Ma tutti i malintesi, le ideologie materialiste, idealiste e relativiste non sono passati senza lasciar traccia, anzi ci hanno convinto che l’arte è un bene di lusso, qualcosa che stona con il messaggio della Chiesa, che a che fare con il lusso e quindi con lo sperpero delle ricchezze e non con la misericordia di Dio e con la carità.
Invece, la bellezza in realtà ha a che fare con la santità, come tutta la tradizione artistica delle chiese orientali ci ricorda. Anzi anche nella tradizione latina questa unione indissolubile tra verità, bellezza e santità è chiarissima per secoli e secoli, almeno fin quando gli uomini hanno visto nella bellezza (diremmo oggi nell’estetica) quel legame profondo con il bene (ovvero l’aspetto morale, parenetico) e quello con la santità di Dio (sia come canto di lode che come modello di santità).
Ma oggi si è rinunciato a parlare di bellezza, si sta costantemente sostituendo questo valore con una visione utilitaristico-pragmatica, tanto che sembrerebbe che l’arte abbia solo il compito esornativo, decorativo, effimero delle cose vacue e superflue, come i cotillon delle feste di carnevale, mettendola a fine lista tra varie ed eventuali, in quello spazio grigio ed indistinto dove vige una regola non scritta ma diffusissima incarnata ormai da un triste proverbio: A caval donato non si guarda in bocca! Ovvero se è regalata, l’arte è buona perché gratuita, cioè senza costi, priva di peso per le finanze, anche se di scarso o inesistente valore artistico, perché appunto donata.
Ma qui non c’è più lo spazio del controllo, non esiste più la dimensione del bene, è tralasciata completamente la dimensione della verità e delle verità di fede rappresentate, fino a perdere il compito ultimo della manifestazione della santità attraverso la bellezza. Ma la Chiesa è e rimane maestra di umanità e per svolgere ancora questo compito ancora e sempre usa il linguaggio della bellezza e dell’arte.
Quindi ascoltiamo e impariamo e mettiamo in pratica le indicazioni che il Vaticano II ha donato attraverso la Costituzione Sacrosanctum Concilium, affinché si superi il tergiversare del concetto di arte e si arrivi alla promozione della vera definizione di arte, tale da poter cantare la lode a Dio ed educare gli uomini come i Padri Conciliari hanno stabilito negli articoli 123-130 di questa Costituzione.
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Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e-mail: rodolfo_papa@infinito.it .