"Portiamo ovunque l'immagine di Gesù Crocifisso perché siamo affezionati a Lui"

L’omelia del vescovo di San Benedetto del Tronto, monsignor Carlo Bresciani, in occasione della celebrazione della liturgia della Croce

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Riportiamo di seguito l’omelia di monsignor Carlo Bresciani, vescovo di San Benedetto del Tronto, in occasione della celebrazione della liturgia della croce, avvenuta oggi pomeriggio nella cattedrale della Madonna della Marina.

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La liturgia mette oggi al centro dell’azione liturgica l’adorazione della croce e la tradizione collega a questa ostensione il bacio al crocifisso. Due momenti molto carichi dal punto di vista religioso, ma anche dal punto di vista affettivo ed emotivo. Il bacio, infatti, di per sé è un gesto di amore. La croce rimanda alla ignominiosa passione di nostro Signore, e il bacio al crocifisso sta ad indicare quasi un atto di riparazione da parte nostra.  Con esso vogliamo dire a Gesù tutto il nostro amore per lui, morto per noi.

Possiamo, quindi, oggi sostare un po’ in questa meditazione sulla croce.

Il cristiano ha sempre avuto una grande devozione della croce, usata non come strumento di bigiotteria o di ostentazione come troppo spesso viene fatto oggi, ma come ricordo di un affetto molto caro. Gli oggetti che ci richiamano affetti cari li portiamo con noi, li mettiamo sul comodino della nostra camera, li mettiamo nel portafoglio, sulla scrivania dei nostri studi, sul cruscotto delle nostre automobili: in altre parole ci teniamo a metterli nei luoghi della nostra intimità affettiva o lavorativa. Un marito custodisce la fotografia della propria moglie con gelosia e viceversa, un padre quella del figlio e viceversa, un innamorato quella dell’innamorata e viceversa. Guardando la fotografia si ravvivano gli affetti per la persona che la fotografia ci ricorda: è quasi un modo per continuare a stare con la persona amata.

Che diremmo noi se un padre si vergognasse della foto del proprio figlio o viceversa, o se un innamorato si vergognasse della foto della propria fidanzata e viceversa? Che diremmo se un figlio non volesse tenere la foto del proprio padre? Perlomeno dubiteremo dell’amore, anche se a parole questo venisse professato ad alta voce.

A questo punto potremmo chiederci: perché la tradizione cristiana mette il crocifisso in ogni casa, ai crocicchi delle strade, sulle vette dei monti? Lo mette per ricordare un grande affetto che porta nel cuore, quasi a dire che vogliamo che questa persona, cui siamo affettivamente legati, ci accompagni, sia con noi nei momenti diversi della nostra vita, perché abbiamo bisogno che la sua vista ridesti il nostro affetto e i nostri sentimenti verso di essa.

Ma se è così, allora dobbiamo chiederci: che ne abbiamo fatto della croce e del crocifisso? È ancora il termine dei nostri affetti o tendiamo a nasconderlo quasi ce ne vergognassimo? O addirittura riteniamo che non debba essere affatto messo in pubblico perché potrebbe offendere qualcuno? Mi domando: perché dovrebbe essere offensivo di qualcuno dire ad altri che voglio bene ad una persona? Io non scaccio un familiare – mio padre, mio fratello – da casa mia, perché altrimenti un altro se ne offenderebbe. Ma è poi vero che se ne offende? O siamo noi che non gli vogliamo più bene e, quasi ci sentiamo in colpa perché gli vogliamo bene?

Un grande sociologo e storico belga, Leo Moulin (+1996), ha detto: “Il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza: a installargli l’imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia”. Siamo diventati una società che si vergogna di Gesù e tende a nasconderlo, che ha paura a riconoscere che le sue radici sono cristiane, per questo nascondiamo segni religiosi, quando addirittura non li proibiamo. Il crocifisso lo togliamo dalle pareti, si dice per rispetto degli altri, di chi non crede. Mi domando, ma perché chi non crede non deve rispettare me?

È vero, non si può imporre un affetto, o una religione, meno che meno con la forza o la violenza, e purtroppo oggi in molte parti del mondo c’è chi lo fa, ma non sono i cristiani a farlo, bensì altri, non di rado con la minaccia della pena di morte per i cristiani. Ma è altrettanto vero che non si può imporre una indifferenza religiosa, come purtroppo oggi sta avvenendo, chiedendo che i  cristiani nascondano la loro fede e i loro simboli per non offendere altri che invece dovrebbero poterli esporre. Teorie balorde che fanno breccia addirittura in legislazioni di Stati che si vorrebbero moderni. Ma in tutto questo, Gesù è di nuovo perseguitato.

Si dice che lo si fa per affermare la libertà di tutti, in realtà è una sottile forma di anti-cristianesimo: perché per affermare la libertà di religione di tutti, gli unici a non poter essere liberi di vivere pubblicamente la loro fede dovrebbero essere i cristiani? Perché per affermare la propria libertà dovrebbe esserci il diritto di qualcuno di offendere i sentimenti religiosi più cari di altre persone? La rivendicazione di libertà che si coniuga con le varie forme di violenza nei confronti degli altri, non è libertà ma violenza che si maschera di parole che confondono.

La croce è simbolo di persecuzione e di ingiustizia subita da un innocente. Quell’uomo che pende dalla croce, e che noi crediamo con tutto noi stessi essere il Figlio di Dio, è un perseguitato che dalla croce grida la profonda ingiustizia di chi è perseguitato per motivi religiosi. È l’uomo che prende la difesa degli ultimi e degli oppressi; è il mite che subisce, innocente, una condanna ingiusta. Perché si vuole nascondere questa realtà? Forse perché silenziosamente quest’uomo richiama a tutti coloro che sono ingiusti la loro colpa e suona invito a cambiare vita?

Noi oggi questa croce la mettiamo al centro della nostra liturgia: contempliamo il Figlio di Dio che muore per amore con condanna ingiusta; lo adoriamo con il bacio del pentimento, facendo memoria di quanto avvenuto 2000 anni fa.

Noi non ostentiamo la croce, ma ce ne gloriamo, perché quell’uomo-Dio che è sulla croce ci ama. Non la usiamo come arma contro nessuno, ma non ce ne vergogniamo, anzi impariamo da quella croce la vera strada dell’amore verso tutti, anche verso i nemici, perché quell’uomo dalla croce prega il Padre che perdoni a coloro che l’hanno crocifisso. Muore senza odiare nessuno, anzi, ha le braccia allargate per abbracciare ognuno, tutto il mondo con il cuore stesso di Dio.

Davanti a questa croce noi ci inginocchiamo in preghiera adorante e supplicante: lo facciamo in chiesa, lo facciamo nelle nostre case, lo facciamo davanti alle tante croci che i nostri antenati hanno posto sui crocicchi delle strade o sulle vette dei nostri monti per ricordarci il grande amore di Dio nel quale possiamo sempre confidare e per invocare che dall’alto delle vette la benedizione dell’amore di Dio scenda sulle nostre fatiche e ci aiuti a costruire una società più giusta, famiglie più unite nell’amore.

Con questi sentimenti ci accostiamo al bacio della croce e con tanta umiltà vogliamo consegnare a Gesù il nostro fragile,ma sincero, amore.

                                                                                                                 + Carlo Bresciani

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ZENIT Staff

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