"Il grido 'ho sete' risuoni nel nostro cuore"

Durante le celebrazioni del Venerdì Santo a Torino, monsignor Nosiglia sottolinea: “In quel deserto di violenza e di odio, che è la passione di Cristo, nasce un giardino ricco di bellezza e di vita per sempre”

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Riportiamo di seguito le omelie tenute oggi da monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, in occasione della celebrazione della liturgia della Croce (Chiesa di San Lorenzo) e della Via Crucis (partenza dal santuario della Consolata).

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[Liturgia della Croce]

In questo venerdì di passione del Signore si rinnova in varie parti del mondo la violenza verso i suoi discepoli inermi e innocenti da parte di fondamentalisti e assassini che in varie parti del mondo perseguitano fino al sangue i cristiani e uccidono persone innocenti. Si uccidono  persone che in quanto cristiani hanno come segno indelebile della loro fede la croce, uno strumento di morte diventato simbolo di vita, di un amore piu grande che non si lascia vincere dall’odio e della ingiustizia ma la vince con la mitezza e la pazienza fino a perdonare anche chi è causa di tale violenza omicida.

È in questo momento storico così tragico, dunque, per tante comunità cristiane, che in tutte le Chiese risuonano oggi, durante la memoria della passione del Signore le parole pronunciate da Cristo nell’Orto del Getzemani di fronte alla difesa armata che i suoi discepoli volevano opporre ai soldati venuti per arrestarlo: “deponete la spada nel fodero perché chi di spada ferisce di spada perisce”. A queste segue l’esempio che egli offre sulla croce quando ama anche i suoi carnefici  e chiede per loro il perdono di Dio: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

In una parrocchia di Roma, santa Caterina, San Giovanni Paolo II in visita pastorale venne interrogato da una ragazzina del gruppo dei cresimandi: “Perché hai perdonato Alì Agca che voleva ucciderti?”. Il Papa rispose: “Perché così mi ha insegnato Gesù”.

Il male si vince solo con il bene. A chi ti vuole togliere la vita, tu dona la vita. A chi ti percuote sulla guancia destra,  porgi anche l’altra. Ama il tuo nemico e sarai discepolo di Cristo, figlio di quel Padre che non ha esitato a sacrificare suo Figlio per mostrare quanto grande amore ha per tutti noi.
Il perdono non è debolezza  e non  tradisce la giustizia, non giustifica il male, ma lo distrugge nelle sue radici più profonde, che stanno nel cuore, dentro di noi. Niente è più grande del perdono dato in perdita a chi  non lo merita, non te lo ha chiesto, forse non gli importa nemmeno di riceverlo.
Così è capitato a Gesù sulla croce: chi viene perdonato continua a bestemmiarlo e a deriderlo senza cambiare atteggiamento. Perché fare del bene a chi  non mostra alcun segno di riconoscenza o di pentimento? Perché seminare nel deserto dove non cresce niente e tutto immediatamente secca? Ogni ragionamento umano si confonde di fronte a ciò. Solo lo sguardo su quel Crocifisso ci dà la fede di credere in questo gesto e la forza di imitarlo.

Sì, in quel deserto di violenza e di odio, che è la passione di Cristo, nasce un giardino ricco di bellezza e di vita per sempre: è  l’Amore più grande  che perdona!

Gesù perdona perché ama; e l’amore alla lunga cambia profondamente ogni situazione di morte, è la via che conduce alla vera pace. Sempre nella storia bimillenaria  del cristianesimo il sangue dei martiri è diventato seme di una nuova e più estesa fioritura di credenti in Cristo. Mai e poi mai la violenza e le persecuzioni anche più crudeli e prolungate hanno potuto impedire la rinascita della fede  in modo esorbitante rispetto al passato.
Animati da questa speranza  pasquale risuoni in noi la consegna che nasce da questa parola di Gesù: “non lasciarti mai vincere dal male, ma vinci il male con il bene”. Così facendo salverai te stesso dal peccato e dalla morte, immetterai nel cuore della storia i germi del Regno di Dio, sarai beato per sempre.

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[Via crucis]

Il vangelo di Giovanni ci dice che questo grido di Gesù è stato pronunciato per compiere la Scrittura. Si tratta del salmo 69 una preghiera che il giusto perseguitato rivolge a Dio. In essa si afferma: “L’insulto ha spezzato il mio cuore. Ho atteso compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati. Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto”. Invece di acqua, fiele.

La liturgia del Venerdì Santo durante l’adorazione della croce  canta: “Popolo mio che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta. Io ti ho dissetato dalla rupe con acqua di salvezza, e tu mi ha dissetato con fiele e aceto”.

Santa Teresa di Calcutta stando di fronte al crocifisso lo contemplava e sentiva risuonare dentro di sé questa parola: “Sitio, ho sete”. Di che cosa ha sete il mio Signore?, si chiedeva. E’ lì che ha avuto la rivelazione, che ha orientato poi tutta la sua eroica vita di carità.
Gesù  ha sete d’amore, del mio amore. Lui ci desidera più di quanto noi lo desideriamo, ci ama più di quanto noi lo amiamo. La sua richiesta sale dalle profondità del suo cuore misericordioso: sì lui ha sete che noi abbiamo sete di Lui.

Dove possiamo incontrarti Signore,dove accoglierti e amarti? Gesu’ ci risponde con le parola del giudizio finale: ogni volta che hai dato da bere a un fratello o una sorella che ti chiedeva amore, perdono e pace, aiuto e sostegno tu l’hai fatto a me. 

Quel grido, “Ho sete”, ha risuonato questa sera per le strade della nostra città e risuona ovunque ci sono poveri, emarginati e soli, persone e famiglie in difficoltà, rifugiati o senza dimora… In loro Gesù ha sete e noi possiamo dire con Santa Teresa siamo invitati a rispondere a questa richiesta amando, amando tutti con l’intensità di amore di Cristo sulla croce.

Quel grido “Sitio” risuoni anche nel nostro cuore e ci spinga a rispondere con amore sincero al Signore, ma ci dia anche orecchi e cuore per ascoltarlo nelle persone che ci sono vicine e che ci interpellano con la loro situazione di solitudine, di miseria materiale e morale, di povertà.
Fare Pasqua con Cristo significa donare acqua viva a tanti, che ricevono solo fiele, amarezze e delusioni dalla vita e dagli altri; significa non restare indifferenti al loro grido di aiuto, ma chinarci con tenerezza  su di loro e condividere la loro stessa sorte assumendone con responsabilità le difficoltà perché solo chi ama vince anche le proprie  e apre spiragli di luce nelle tenebre della cattiveria e dell’ingiustizia e violenza che sembra oggi trionfare nel mondo . Niente è più grande dell’amore dato in perdita a chi magari nemmeno lo merita o non te lo ha chiesto, forse non gli importa nemmeno di riceverlo.

Ogni timore o giustificazione umana vacilla di fronte a ciò. Solo lo sguardo sul C Crocifisso ci dà la fede di credere che ogni gesto di amore, di perdono e di accoglienza è un dono anzitutto per chi lo compie e che produce sempre un frutto di bene per tutti.

+ Cesare Nosiglia
 Arcivescovo di Torino

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ZENIT Staff

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