In piedi, un libro in mano e tenuta sportiva, tra le Sentinelle davanti al Pantheon, c’era anche lui, Mario Adinolfi, da sempre militante a sinistra, ex parlamentare e ex deputato del Partito Democratico, blogger e giornalista. Il suo piccolo ‘vangelo rosso’ Voglio la mamma si sta diffondendo a macchia d’olio in stampa e sul web nel giro di poche settimane. È lui stesso a spiegare a ZENIT il filo rosso che unisce le sue ultime scelte ‘indisciplinate’, la presenza alla manifestazione organizzata dalle Sentinelle in Piedi e il suo libello un po’ fuori dalle righe.
Perché hai deciso di non ricandidarti alle ultime elezioni?
Mario Adinolfi: Mi sono occupato, anche da parlamentare, di temi importanti, che avevano però la tendenza ad essere considerati inessenziali; mi ha colpito il fatto che la presenza nell’aula parlamentare tende a trasformare le cose inessenziali in questioni essenziali. Davanti ad un bivio ho deciso di fare questa scelta costosa e faticosa – soprattutto perché la passione per la politica in me è innata – e ho deciso di dedicarmi per un anno alle cose più essenziali, scrivere su di esse un libro, Voglio la mamma, il quale si occupa di tre temi a mio avviso essenziali: nascere, amare e morire, i tre cardini dell’esistenza. Ho voluto dedicare questo lavoro soprattutto alla mia area politica di riferimento, la sinistra, che su questi temi scivola in errori colossali, degli errori che considero veri e propri tic logici, perché non sono neppure ragionati e meditati. Ho provato a sistematizzare alcune idee in maniera molto semplice, come in un Bignami che potesse entrare nelle tasche delle persone tentando di rispondere ad alcune loro domande. Vi ho inserito molti dati, numeri, riferimenti bibliografici di approfondimento.
Perché hai voluto intitolare il tuo libro Voglio la mamma?
Mario Adinolfi: Il titolo nasce dall’aver letto un modulo del Comune di Milano, giunta di centrosinistra, che cancellava le figure del padre e della madre per sostituirla con genitore 1 e genitore 2. Ho trovato questo fatto perfino letterariamente folle, ha un eco kafkiano per certi versi: così ho avuto l’ispirazione per cominciare a scrivere partendo da riferimenti di sinistra. Nel primo capitolo cito una bellissima canzone di De André, l’Ave Maria, che parla di “madri per sempre”: la figura materna è talmente centrale che non puoi eliminarla, è archetipica. Se tocchi quella figura, e tocchi anche la parola ‘mamma’, scardini il contesto in cui viviamo, scardini la stessa ragionevolezza, ti avvicini alla negazione di te stesso, e questo mi preoccupa molto.
È in atto uno scambio di identità con il concetto di ‘più debole’ nell’area della sinistra? Dietro questa categoria cosa si tenta di mascherare?
Mario Adinolfi: Certo, il mio libro racconta proprio questo: dato che mi sono battuto per tutta la vita a tutelare il più debole, ho voluto provare ad individuare in questo contesto chi veramente sia il più debole: tra un bambino che nasce dal grembo della madre ‘affittata’, e dopo pochi secondi viene strappato dal seno di lei per essere consegnato alla coppia di ricchi omosessuali o eterosessuali che, in definitiva, l’hanno comprato, il più debole da tutelare, a sinistra, chi è? Se c’è un anziano in condizioni di grave malattia con una famiglia intorno che gli vuole un po’ bene e un po’ no, e in più c’è la ‘questione eredità’, davanti all’idea di sopprimere quell’anziano, dove si identifica il debole? Dai dati dell’eutanasia in Belgio e in Olanda risulta che vengono soppresse ventimila persone con curve crescenti, anno dopo anno: non è che si aggravano le malattie, ma è che si allarga il campo delle applicazioni plausibili dell’eutanasia, e questo preoccupa molto. Quando nell’amniocentesi viene diagnosticata ad un bambino la sindrome di albinismo, il più debole chi è, il bambino che non nasce o la mamma che vive quella difficoltà? Individuare il più debole è in certi casi molto complesso, faticoso, non semplice, ma siamo chiamati a fare questo.
È possibile il recupero del valore della difesa del più debole da parte del sistema attuale?
Mario Adinolfi: Il lavoro che cerco di fare è proprio questo. Giochiamo controvento, è chiaro: c’è chi urla: ‘Adinolfi omofobo, cattivo!’, ma siamo qui in questa manifestazione a piazza del Pantheon per difendere la libertà di chiunque, anche la loro, di manifestare il nostro pensiero. Con la legge Scalfarotto, se il mio libro fosse ritenuto ostile o di incitamento all’odio e qualcuno lo denunciasse come tale, io potrei essere equiparato ad un antisemita: questo è molto pericoloso, non solo per me, ma anche per coloro che la pensano diversamente da me, perché di qui poi è possibile arrivare a qualsiasi cosa.
Presentando il libro, fai spesso riferimento all’uomo che prende il tram tutte le mattine: chi è?
Mario Adinolfi: Quello che fotografo tutte le mattine, quando prendo il tram, incontro le persone comuni, cerco di capire cosa possa girare nella testa delle persone che vanno a lavorare alle sette del mattino. Non credo che pensino quello che nel mainstream viene indicato come cardine, credo che le loro riflessioni siano molto più raffinate e semplici allo stesso tempo: credo che le cose che sono scritte in Voglio la mamma siano in realtà scritte nel cuore di ciascuno… di quelli che prendono il tram almeno. Poi magari sulle terrazze dei ricevimenti c’è chi la pensa diversamente, ma di questo mi preoccupo meno.