Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la V Domenica di Quaresima (Anno A).
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Quaresima: domenica di Lazzaro
Rito Romano – V Domenica di Quaresima – Anno A – 6 aprile 2014
Ez 37, 12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
Rito Ambrosiano – V Domenica di Quaresima
Es 14,15-31; Sal 105; Ef 2,4-10; Gv 11,1-53
1) L’amore vince la morte.
Il brano del Vangelo che è proposto oggi dalla Liturgia della Messa ci invita a contemplare il miracolo della resurrezione di Lazzaro[1] come anticipo e profezia della resurrezione di Gesù che avverrà a Gerusalemme il giorno di Pasqua. Il fatto di Lazzaro risuscitato è anche “segno” che la vita, quando è vissuta nell’amicizia con Cristo, non è sconfitta dalla morte. Chi ama non muore, perché si dona e vive nell’altro. Di più, chi è amato da Cristo non muore, “dorme” ed è risvegliato da Cristo.
L’amore verso Lazzaro “strappa” ancora un miracolo a Gesù. Se nel Cantico dei cantici si dice che “l’amore è forte come la morte”(8,6), in questo gesto Gesù mostra che l’amore è più forte della morte, “risveglia” l’amico dal sonno mortale.
Molti sono gli aspetti che si possono sottolineare in questo episodio.
Penso sia utile iniziare dal luogo: la casa di Lazzaro, Marta e Maria a Betania[2]. Gesù va in questa casa perché queste tre persone sono “luogo” dell’amicizia, e quindi la loro dimora è “luogo” di condivisione e non solo di riposo o rifugio. Luogo di vita che vince la morte, che va oltre la morte è un rapporti di amicizia vera di comunione profonda.
Poi è importante notare la sovrapposizione di due fatti: Lazzaro è lasciato morire da Gesù come Gesù è lasciato morire in Croce dal Padre. Umanamente è scandaloso. Gesù ama Lazzaro (il Vangelo lo sottolinea ripetutamente) e tuttavia lo lascia morire: perché? E Dio Padre ama il Figlio indicandolo come l’Amato e tuttavia lo lascia morire in croce. Perché? Come credere che che la parola ultima non spetta alla morte, ma al Dio amore che dà la vita e non si interrompe con la fine della vita biologica? Chiedendo che Cristo aumenti la nostra fede e contemplando Cristo nella sua vita, morte e resurrezione
Ognuno comprende che si tratta del mistero dell’esistenza dell’uomo: una promessa di vita che poi pare smentita, una promessa di salvezza da parte do Dio che poi sembra contraddirsi. Un mistero inquietante, che in nessun modo va attenuato. Anche Gesù ha pianto di fronte alla morte dell’amico, come ha provato smarrimento di fronte all’imminenza della Croce. La morte, come la Croce, continua a rimanere qualcosa di incomprensibile: Dio dice di amarci e poi ci lascia morire, sembra proprio un abbandono.
2) Il Pianto di Dio e la “risurrezione” di Marta e Maria.
Gesù piange, dimostrando in tal modo di amare Lazzaro profondamente. Ma ecco la domanda: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva far sì che questi non morisse?”. Fu la domanda dei presenti di allora ed è anche la nostra domanda, che siamo i presenti di oggi.
Ma la stessa domanda ci si impone davanti alla morte in Croce di Gesù. Se Gesù è Figlio di Dio, amato da Dio, perché è abbandonato alla Croce? Se Dio è con lui, non dovrebbe accadere diversamente? Eppure anche Dio ha pianto su Cristo e piange su di noi: “la Messa è il pianto di Dio” (San Pio da Pietrelcina) e “Anche Dio piange: il suo pianto è come quello di un padre che ama i figli”Papa Francesco alla messa del 5 febbraio 2014).
Non è facile vedere nella Croce un’epifania dell’amore, ma la Quaresima e la Settimana Santa che si avvicina ci sono date per contemplare questa manfestazione di carità imparando, ad “amare il dolore il quale ci rivela l’opera del suo amore” (San Pio da Pietrelcina) e fare notra la preghiera del salmo “È in te la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce” (Sal 36).
Il mistero dell’esistenza dell’uomo, amato da Dio e tuttavia abbandonato alla morte, si rispecchia e si ingigantisce nel mistero della Croce di Gesù. Ma anche si risolve. Perché c’è vedere e vedere, e della Croce, come dell’esistenza dell’uomo, sono possibili due letture. C’è lo sguardo privo di fede di chi si arresta allo scandalo, e vede nella morte dell’uomo come nella Croce di Cristo il segno del fallimento. E c’è lo sguardo che si apre alla fede e supera lo scandalo, e vede che nella Croce di Gesù splende la risurrezione, come nella morte dell’uomo. E questo è davvero per i cristiani un punto fermo: se si vuol trovare nella storia e nella vita un senso, occorre saper vedere nella Croce di Cristo la gloria di Dio. Non è possibile diversamente.
La risurrezione di Lazzaro, segno di un destino più generale che coinvolge chi è convocato intorno a questa tavola. Gesù chiama Lazzaro fuori dalla tomba. Ma Lazzaro risuscitato è il segno di quanto accade anche alle sorelle Marta e Maria. Marta infatti riconosce nell’amico il Signore della vita.
Credo sia corretto dire che la risurrezione è credere in Gesù, perché chi vive e crede in lui non muore in eterno (cf Gv 11,26), la “confessione di fede” di Marta è anche la risurrezione delle due sorelle.
Le Vergini consacrate ci danno un esempio di una “vita risorta” perche vivono la loro vocazione come cammino di risurrezione, l’amicizia sponsale con Cristo come relazione personale nell’amore, basata sulla dedizione completa Cristo noi e sul riconoscimento radicale di lui. A questa testimonianza d’amore queste donne ci mostrano l’importanza della contemplazione come capacità di saper vedere trasparire il Signore dagli eventi della nostra esistenza quotidiana e da quella di tutta l’umanità. In ciò mettono in pratica quanto la Congregazione per la Vita consacrata e le Società di Vita apostolica scriveva: “La vita consacrata, nel continuo succedersi ed affermarsi di forme sempre nuove, è già in se stessa un’eloquente espressione di questa presenza di Cristo, quasi una specie di Vangelo dispiegato nei secoli. Essa appare infatti come «prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto».8 Da questa certezza le persone consacrate devono attingere un rinnovato slancio, facendone la forza ispiratrice del loro cammino. La società odierna attende di vedere in loro il riflesso concreto dell’agire di Gesù, del suo amore per ogni persona, senza distinzioni o aggettivi qualificanti. Vuole sperimentare che è possibile dire con l’apostolo Paolo «Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20).” (Istruzione Ripartire da Cristo:un rinnovato impegno della vita consacratanel terzo millennio, 19 maggio 2002, n. 2).
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NOTE
[1] Il nome Lazzaro viene dall’ebraico ‘El’asar = Dio ha aiutato, colui che è assistito da Dio.
[2] Betania: questo nome deriva dall’ebraico ed è composto da due parole di cui il primo è Beth (che è anche il nome della seconda lettera dell’alfabeto ebraico).
“Beth” significa casa (o luogo), esprime l’idea di qualcosa che lo contiene è l’archetipo di tutte le case, la casa di Dio e uomo, il santuario.Vuol dire un luogo di santità sulla terra.
Il secondo termine ebraico “ania” sarebbe venuto da una parola ebraica che significa sia palma, sia povertà o poveri o misericordia, grazia o benedizioni. Cristo va dall’amico Lazzaro a Betania e, pochi giorni dopo, lascia Betania e va a Gerusalemme (tra i due luoghi ci sono circa 3 chilometri) su un asino, accomp
agnato dalla folla che lo saluta con rami di palme. Questo dato conferma la presenza di palme in questo luogo e conferma l’etimologia del nome. Simbolicamente la palma è segno di fertilità e di cibo con i datteri, ma è anche il simbolo della giustizia, giustizia di riparazione per il sapore amaro che è suggerito dal suo nome ebraico “tamar”. “Ania” può anche venire da “Anania” = Yahweh è stato misericordioso o Hannah, grazia, benedizione. Quindi si può interpretare“Betania” come la casa della misericordia, della grazia e della benedizione.