Una nuova normativa per riconoscere le misure alternative alla pena. È quello che chiede il terzo settore. Il gruppo di lavoro “La certezza della pena” – composto dalle principali realtà nazionali impegnate sul tema del carcere – ha consegnato stamani nelle mani di una decina di parlamentari la prima bozza di una proposta di legge suddivisa in sei punti. Si chiede infatti il riconoscimento normativo e amministrativo dell’accoglienza di persone in esecuzione penale e in fase di reinserimento sociale; la predisposizione di un piano di risorse immediate e urgenti per progetti di reinserimento sociale; l’estensione degli articoli 17 dell’ordinamento penitenziario (legge 354/75) e del 120 (regolamento del 2000) oltre che la revisione delle autorizzazioni previste dall’articolo 78; la riformulazione degli articoli 73-77 sul Consiglio di aiuto; il sostegno istituzionale a iniziative di accoglienza e accompagnamento; la costituzione un tavolo di lavoro permanente dedicato al tema delle misure alternative alla pena.
L’incontro Carcere, verso la certezza del recupero. Il ruolo delle comunità educative di accoglienza: un disegno di legge, che si è svolto stamani nella Sala della Mercede della Camera dei Deputati, è stato promosso dal gruppo di lavoro coordinato dal Centro nazionale per il volontariato insieme a Seac e Conferenza nazionale volontariato giustizia. Le prossime tappe di questo percorso prevedono l’incontro con il Ministro della Giustizia e un nuovo evento pubblico già in programma al Festival del volontariato in programma a Lucca dal 10 al 13 aprile.
“Si tratta di una proposta chiara sul sistema delle pene alternative da portare all’attenzione del nuovo Governo” spiega il presidente del Cnv Edoardo Patriarca. “Si tratta di una progettazione condivisa e strategica nata all’interno del gruppo. E’ bene ricordare che il problema non è solo il sovraffollamento. Noi siamo qui per offrire un’altra visione della pena. Investire sulle misure alternative significa investire sull’uomo, nel rispetto della Costituzione. E significa anche risparmiare, sia sul piano economico sia su quello sociale. Il reinserimento da solo non basta. Occorre farci trovare pronti sui territori. Per questo è necessario il contributo di tutti”. Una tesi, questa, sostenuta dai numeri.
Lo scorso anno il sistema carcerario è costato 2,8 miliardi di euro. La spesa media di un detenuto, nel 2013, è stata di 116 euro al giorno. Ma se fosse inserito in un percorso di educazione e reinserimento, alle comunità di accoglienza costerebbe non più di 50 euro. “Ci ha colpito come nei capitoli di spesa sia residuale la voce dedicata alle misure alternative alla detenzione. S’investe tutto sul carcere e poco su tutto ciò che serve all’inserimento sociale e a una reale alternativa alla pena” spiega Luisa Prodi, presidente del Seac (Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario). Sempre nel 2013, all’esecuzione penale esterna sono andati 471.213 euro. “Mentre solo per le attività trattantamentali sono stati spesi oltre cinque milioni di euro”, aggiunge la Prodi. “Occorre chiarire gli obiettivi: vogliamo edificare ancora o favorire un sistema penale costruito sulle giustizia riparativa? Noi siamo per questa seconda strada. E ai fini del reinserimento è necessario cercare maggiori risorse che potremmo attingere o dal piano carcere o dalla cassa delle ammende”.
Per rendere poi effettive le possibilità di reinserimento sociale sul territorio, il gruppo di lavoro “La certezza del recupero” chiede di riformulare gli articoli 73 e 77 della legge 354 del 75 sul Consiglio di aiuto, di estendere l’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario per consentire l’accesso della comunità esterna all’azione rieducativa in affiancamento all’Ufficio per l’esecuzione penale esterna (Uepe) e di rivedere le procedure di concessione delle autorizzazioni dell’articolo 78 “che a tutt’oggi sono lente e inefficaci”, come spiega il presidente della Sesta Opera San Fedele Guido Chiaretti. “Siamo di fronte a una situazione paradossale: se nel carcere ci sono oggi diecimila volontari, quelli che operano all’esterno con l’Uepe sono 102 in tutta Italia. Per il carcere si spende ogni anno circa tre miliardi contro i cinquecentomila euro destinati alle attività esterne. Le misure alternative si compiono fuori dal carcere, sui territori, nella società civile. E’ quindi assurdo che a causa di una norma la società civile non possa intervenire proprio lì dove l’azione si compie”.
Ad oggi in Italia non esiste una mappa delle strutture che offrono accoglienza ai detenuti. Per questo la Fondazione volontariato e partecipazione, in collaborazione col gruppo di lavoro “La certezza del recupero”, sta conducendo una ricerca al fine di individuare tutte le comunità e le strutture esterne. La Caritas, coi suoi 2mila volontari impegnati dentro e fuori dal carcere, ha 220 sedi e 100 strutture di accoglienza. “Tutti noi siamo un patrimonio di competenze. I volontari, le organizzazioni e le amministrazioni rappresentano insieme un bene comune”, spiega Francesco Marsico di Caritas Italiana. “Procediamo con una logica di responsabilità condivisa, di coordinamento e integrazione. Siamo tutti un ‘pezzo’ di questa Repubblica che aspetta un riconoscimento. Prima occorre sia chiara l’idea di giustizia che abbiamo, poi chiederemo soldi”.
In questo contesto esistono anche esperienza positive che però faticano a trovare spazio e sostegno. E’ il caso di Palermo, dove ogni giorni tre detenuti escono dal carcere per andare a lavoro: il loro compito è di restituire alla città un’area archeologica di 12 chilometri quadrati. “Ecco cosa accade quando esiste la possibilità di scontare la pena all’esterno. Si tratta di servizi resi alla collettività” racconta Maurizio Artale, presidente del Centro di accoglienza Padre Nostro. “Il cammino fuori dal carcere può essere sostenuto dalle associazioni, possiamo farcene carico. Ma occorrono fondi. Oggi ci sono 60 bambini da uno a tre anni che vivono in carcere. Le strutture e i servizi per accoglierli ci sono, ma pare non ci sia la volontà di farlo”.
Investire sulle pene alternative significa anche abbassare la recidiva. “Dobbiamo passare dalla giustizia vendicativa a quella riparativa. Ogni mille detenuti che escono dal carcere, ottocento tornano a delinquere”, spiega Giorgio Pieri dell’associazione Papa Giovanni XXIII. “Con le misure alternative cambia tutto. Tra gli ex detenuti che abbiamo accolto nelle nostre comunità torna a delinquere solo l’otto per cento”.
“L’alternativa alla pena è la sfida vincente”. A dirlo, in chiusura, è il sottosegretario al Ministero della Giustizia, Cosimo Maria Ferri. “Visto come stanno andando le cose, be’, è possibile che torni presto a fare il giudice. È anche per questo che ribadisco l’importanza di investire energie anche per cambiare la cultura del giudice del dibattimento. Occorre lavorare di più sull’esecuzione penale esterna”.