In quest’ultimo periodo si è tornato a parlare di obiezione di coscienza di medici e farmacisti, spesso con intenzione non troppo velata di demolire la legittimità e il valore di questo strumento, espressione di libertà e di civiltà, segno di rispetto per la vita umana.
Se per i medici l’obiezione è legalmente riconosciuta e il loro codice deontologico prevede una clausola di coscienza, per i farmacisti il suo riconoscimento sta seguendo una via lunga e tortuosa, non essendo assistiti ancor oggi da una vera tutela giuridica, né da regolamenti di principio. Nel febbraio 2011 il Comitato Nazionale di Bioetica ha approvato, a maggioranza, un documento nel quale si esprime a favore dell’applicabilità dell’obiezione di coscienza per i farmacisti, sottolineando la sua fondatezza costituzionale. Tutti i membri del CNB, anche coloro che si sono dichiarati contrari al documento, hanno ammesso “l’assoluta correttezza deontologica ed etica del farmacista che invochi la clausola di coscienza”.
Peccato che la FOFI (Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani) in questi anni non abbia mai proferito considerazioni in questi termini e non sia prevista alcuna clausola di coscienza nel codice deontologico professionale, che solo afferma nell’art. 3: “Il farmacista deve operare in piena autonomia e coscienza professionale, conformemente ai principi etici e tenendo sempre presenti i diritti del malato e il rispetto della vita”.
Tutto questo non è sufficiente per avere delle vere e proprie tutele legislative: poiché vi sono altre normative che possono ostacolarne l’applicazione, l’obiezione di coscienza deve essere normata da una legge ad hoc, una legge che tuteli il farmacista obiettore per colmare quella lacuna con gli altri operatori sanitari che francamente è molto difficile da comprendere.
In generale l’obiezione di coscienza dei farmacisti non sembra destare grande interesse, ma a ben vedere vi sono degli aspetti che dovrebbero essere valutati attentamente. Il farmacista svolge il proprio ruolo professionale in un ambiente pubblico, a stretto contatto con il paziente-cliente che ha di fronte, rapportandosi con le altre persone presenti nella farmacia. Anche nel rispetto della privacy, il suo comportamento nel ruolo professionale che esplica, è costantemente sotto lo sguardo e il giudizio dell’interlocutore e di tutti i presenti. Il rapporto con il paziente non potrà mai essere completamente privato e le sue azioni saranno sempre assolte sotto gli occhi di tutti. In quest’ottica l’obiezione di coscienza, che ha un particolare significato di testimonianza di fede e di rispetto per la vita umana, può assumere una valenza maggiore proprio perché svolta in pubblico, in un luogo di vitale importanza per la salute dei cittadini.
Invece il rapporto tra paziente e medico è esclusivamente personale, strettamente privato e confidenziale, svolto lontano dagli sguardi di estranei. Questo permette un’obiezione di coscienza accompagnata da un’informazione più diretta ed esaustiva che ne rappresenta la caratteristica peculiare.
Da quanto detto è facile capire che gli ambiti di applicazione dell’obiezione di coscienza di medici e farmacisti sono diversi, perché differenti sono i ruoli, ma il loro contributo può diventare complementare e rafforzarsi reciprocamente. La vita umana non ha prezzo e così salvare anche un solo bambino rappresenta uno scopo da perseguire senza arretrare e senza compromessi, cercando la collaborazione, non il conflitto. “Quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza” (Papa Francesco).
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Giorgio Falcon è Delegato Regionale dell’Unione Cattolica Farmacisti
Italiani per il Veneto
Fonte: Notizie Pro Vita, novembre 2013, p.22