La difesa dei cristiani in Medio Oriente (Prima parte)

Il patriarca Louis Raphael Sako racconta le sue tre giornate di incontri con papa Francesco

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“Non ci rassegniamo a immaginare un Medio Oriente senza cristiani”. Questo l’appello di papa Francesco durante l’udienza concessa la scorsa settimana ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione delle Chiese Orientali.

Poco prima dell’udienza, il Santo Padre aveva incontrato i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori del Medio Oriente per discutere della drammatica situazione sussistente in paesi come l’Iraq e la Siria. Gli attacchi perpetrati a danno dei cristiani hanno indotto molte persone a lasciare il proprio paese, facendo temere la totale cancellazione dell’identità cristiana in Medio Oriente.

Louis Raphael Sako, patriarca cattolico caldeo di Babilonia, è una delle molte voci che esortano i cristiani a rimanere nelle loro terre. Il patriarca Sako ha raccontato a ZENIT del suo recente incontro con papa Francesco e dell’attuale situazione in cui versa la Chiesa in Medio Oriente.

I Patriarchi delle Chiese Orientali sono stati a Roma per discutere il futuro dei cristiani in Medio Oriente. Quali sono state le sfide di cui avete discusso negli ultimi tre giorni?

Patriarca Sako: L’atmosfera è stata davvero molto positiva e rilassante. Siamo stati incoraggiati a discutere tutti i problemi che affliggono le Chiese Orientali, con i cardinali, la Curia e i membri delle Chiese Orientali. Di ciò vorrei ringraziare il cardinale Leonardo Sandri e i suoi collaboratori. C’è la percezione dell’importanza dei Cristiani in Medio Oriente. Forse i nostri problemi, e anche le comunità che vivono fuori dei loro paesi nella diaspora, aiutano la gente ad essere sensibile alla nostra esistenza e a come i cristiani possono sopravvivere lì.

Una delle sfide in Medio Oriente è la guerra. In Iraq, da 10 anni, non abbiamo più sicurezza. Continuano ad esserci attacchi, bombardamenti, rapimenti e così via. E ora lo stesso accade in Siria, dove vivono molti cristiani. I cristiani in Iraq sono ora circa 500.000, rispetto ai 1.264.000 prima dell’invasione americana. Un’altra sfida è come mantenere in contatto le persone coinvolte nella diaspora con le chiese madri. Come dare loro un ruolo pastorale ai fini di mantenere le loro tradizioni, le loro liturgie, i loro costumi e la loro fede. Questo non è facile. Ci servono parrocchie e anche sacerdoti ma, al tempo stesso, le dico che io, come patriarca iracheno, provo dolore perché se mandiamo preti e vescovi via dal paese, allora saremo più vulnerabili e ciò potrebbe incoraggiare i fedeli ad andare via anche loro.

Ci sono poi le altre sfide: ad esempio, l’Islam politico è in ascesa. Chi c’è dietro? Chi lo finanzia? Per non parlare della proliferazione delle armi… Sentiamo che alcune forze stanno premendo per creare tensione in Iraq. Forse c’è un piano per la cancellazione dei partiti cristiani.

Qual è l’attuale situazione della sicurezza per i cristiani in Iraq?

Patriarca Sako: Nessuna novità, al momento. C’è una lotta settaria tra Sciiti e Sunniti. Probabilmente le stesse tensioni si verificano in Siria. Vi sono due assi: Iran, Iraq, Libano e Siria, che sostengono gli Sciiti, e Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che sostengono i Sunniti. Sono tutti musulmani, dovrebbero andare d’accordo e risolvere le loro controversie dialogando, perché a combattersi l’un l’altro non ci guadagna nessuno. La gente muore e le infrastrutture sono distrutte.

Il prossimo mese, lei terrà un discorso in una conferenza promossa dalla Georgetown University su uno dei principali problemi patiti dalla Chiesa in Medio Oriente: l’esodo di massa dei cristiani dalla violenza che continua a infuriare nella regione. Ci può anticipare ciò che dirà alla conferenza?

Patriarca Sako: L’esodo dei cristiani è una grande perdita per ogni paese del Medio Oriente. Il contributo dei cristiani è stato notevole in tutti i paesi. Quando i musulmani arrivarono in Iraq o in Siria, fondarono chiese, monasteri, scuole, ospedali, luoghi di studio. Quindi i cristiani li aiutarono a formare la loro cultura poiché, sebbene i musulmani sanno di adorare Allah, tutti adoriamo lo stesso Dio, anche se siamo di religioni diverse.

Anche durante il periodo del Califfato degli Abbasidi, i cristiani diedero molto ai musulmani. A Baghdad tutti i medici erano cristiani e avevano in cura i califfi e le loro famiglie. All’accademia Al Bayt al-Hikma (Casa della Saggezza) tutti erano cristiani all’inizio. Traducevano i testi filosofici e scientifici dal greco al siriano e all’arabo. Anche all’Iraq moderno, i cristiani hanno dato molto. Sono assai acculturati e fanno parte dell’élite. Hanno buone qualifiche, un’alta moralità, una mente aperta. Hanno aiutato molto i musulmani ad aprirsi.

Un’altra ricchezza di questa area geografica è la varietà linguistica e culturale, perché parliamo caldeo, siriano, armeno e questo è un aspetto multiculturale che ci è di grande aiuto per tutti.

In altre parole, i cristiani sono la spina dorsale della cultura irachena…

Patriarca Sako: Se rimanessero solo i musulmani, cosa succederebbe? Quindi, penso che la comunità internazionale dovrebbe aiutare i cristiani a non perdere la speranza e a rimanere. Dovrebbe proteggere non solo i cristiani ma tutte le minoranze e incoraggiarle a non andare via.

[La seconda parte sarà pubblicata domani, giovedì 28 novembre]

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Junno Arocho Esteves

Newark, New Jersey, USA Bachelor of Science degree in Diplomacy and International Relations.

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