Sono davvero allarmanti le statistiche che riguardo il mondo delle adozioni, e questo scenario assume una maggiore gravità proprio nel contesto di crisi internazionale che attanaglia con maggior durezza i paese più poveri e emarginati. Riportiamo una parte di un articolo proposto dall’associazione AIBI (Associazione Amici dei Bambini) che combatte da anni l’emergenza dell’abbandono: ”Le famiglie italiane stanno aspettando che finalmente qualcosa si muova, vogliono ancora adottare. Ricordiamo che il 50% delle coppie sposate non ha figli, ma non ha più fiducia nell’adozione perché scoraggiato dall’eccessiva burocratizzazione del sistema, dall’alto costo dell’iter, dai tempi di attesa infiniti e dall’ostacolo rappresentato da parte dei tribunali dei minorenni. Una situazione esasperata che porta le coppie italiane a scegliere canali alternativi- Ad esempio, ogni anno, circa 4000 di loro, volano in Ucraina per ricorrere a procedure di fecondazione eterologa o di “affitto dell’ utero”. 4000 bambini nati attraverso una pratica che nel nostro Paese non è legale, 4000 minori che avrebbero potuto essere adottati tramite l’adozione internazionale e che invece rimangono tristemente chiusi nei loro orfanotrofi.”
E’ interessante analizzare la cause per cercare di individuare alcune possibili soluzioni a questa triste situazione.Il primo punto riguarda le famiglie. Esiste una scarsa cultura dell’adozione che influenza notevolmente quelle famiglie che sono chiamate ad operare una scelta davanti alla scoperta della loro infertilità.
Il primo ostacolo da superare è quella relazione carnale con il figlio. Ancora oggi, il pensiero comune è quello di ritenere la genitorialità connessa alla procreazione. “Io ho messo al mondo quel figlio, e pertanto quel figlio mi appartiene”. “Io sono mamma, perchè sono stata io che ti ho portato nel grembo nove mesi”. Tutte espressioni non esaustive.
La visione dell’adozione supera la limitazione del legame “carnale”. Davanti alla sterilità biologica, il desiderio di maternità e paternità non viene affievolito, ma ne risulta rafforzato. E per capire questo, è sufficente vedere la determinazione e la tenacia di quelle mamme e papà adottivi, che sono disposti a sottoporsi a colloqui con psicologici e assistenti sociali, a lunghe attese. e a stravolgere la loro vita pur di accogliere i loro figli.
Davanti alla condizione della sterilità biologica, l’adozione diventa la via più naturale per diventare genitori. Ma non tutti la pensano in questo modo. Tantissime famiglie che si sono aperte all’adozione, prima sono passate per il tentativo della procreazione assistita.Questo scarso risultato della procreazione assistita è poco pubblicizzato. In questi anni sono sorte tante cliniche mediche che si occupano di queste pratiche procreative. Se una famiglia sapesse davvero a cosa andrebbe incontro, ai fallimenti, alle delusioni che questo comporterebbe, sceglierebbe subito un’altra via.
E la procreazione con i suoi fallimenti, crea inevitabilmente delle ferite sull’animo delle mamme. E questo i medici non lo dicono, essi nascondo completamemente l’impatto sulla sull’animo della donna quando si registra l’insuccesso della tecnica della procreazione artificiale.
Ma ora concentriamoci sui bambini. Una famiglia che sceglie l’adozione spesso è scoraggiata per il lungo tempo che è necessario attendere. Questo è uno dei fattori più importanti che spingono la famiglia a scartare la scelta del cammino adottivo.
Su questo punto è necessario lanciare un forte appello alle istituzioni nazionali ed internazionali, affinchè regolamentino pià adeguatamente il mondo dell’adozione, tutelando sempre il diritto dei bambini, e compiendo ogni sforzo affinchè ogni bambino possa rimanere nella sua famiglia di origine. Ma laddove questo non sia possibile, è doveroso favorire l’inserimento del minore in una nuova famoglia disposta all’accoglienza, cercando di snellire quella burocrazia eccessiva che conduce le coppie senza figli a percorrere vie alternative per diventare mamma è papà, come possono essere la procreazione assistita o la maternità in affitto.
Nella speranza che la sensibilità dei governi possa produrre aggiustamenti alle procudure nazionali ed internazionali, esistono alcune soluzioni che possono essere prese in considerazione già da subito.
Oggi si assiste al fenomeno di famiglie avanti con l’età, per essere concreti madri e padri che hanno superato i quarant’anni, e chiedono di adottare bambini appena nati, o in età prescolare. Per questa ragione si crea un sovraffolamento di famiglie richiedenti di “bambini piccoli”, e questo comporta un ritardo nell’attesa.
Ma se l’adozione significa prima di tutta prendersi cura di un essere umano abbandonato, se l’adozione significa dare la centralità al bambino e al servizio amorevole dell’accoglienza, anche l’età passa in secondo piano. Allora sarà possibile aprirsi ad accogliere bambini più grandi anagraficamente, ma che in realtà da un punto di vista comportamentale dimostreranno molti meno anni.
In genere, per bambini più grandi si intendono quelli che hanno oltre otto anni di età. Ma esiste anche un altra possibilità, quella di accogliere nuclei di fratelli, dove per nucleo si intende da tre in su. Anche questa è una scelta che può apparire impopolare, che richiede sicuramente coraggio e anche un pizzico di incoscienza. Ma quanta soddisfazione e pace comporta questa scelta, che presenta sicuramente situazioni di difficoltà, ma anche tanti momenti di gioia.
L’adozione è un disegno di pace prima di tutte per le famiglie, perchè la pace deriva ogni volta dal “toccare la carne di Cristo” che vive soprattutto nei più poveri ed abbandonati, come dice tante volte Papa Francesco.
E’ una scelta che trasforma la vita, perchè non ci si sente solo genitori adottivi, ma si avverte la consapevolezza di essere diventati figli adottivi di Dio. E’ un adottare per essere adottati. L’adozione non è solo un azione dei genitori verso i figli, ma è anche un accoglienza dei figli verso i genitori. Per questo si chiama cammino adottivo, perchè ognuno va incontro all’altro. Nessuno deve rimanere fermo, ma ognuno cammina per accogliere l’altro.
Fonte: sito internet dell’AIBI