La cristologia di Bergoglio

Francesco delinea e propone un identitarismo cristiano

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Il Papa ha concluso, con una solenne Messa celebrata in piazza San Pietro nella solennità di Cristo Re, l’anno liturgico e l’Anno della Fede. Nella liturgia, è detto che Cristo è l’Alfa e l’Omega: la storia della salvezza inizia infatti con la sua venuta nel mondo, ed è destinata a concludersi con il suo ritorno.

Ed è per questo che la solennità in cui si ricorda la sua centralità nell’universo e nella storia è posta alla fine del nostro ciclo annuale: quando giunge il momento di tracciare un bilancio dell’anno trascorso, si deve misurare quanto si è progredito nell’edificazione del Regno di Dio.

I primi cristiani, che celebravano la Messa  di sera, attendevano fino a notte inoltrata la “parusia”, il ritorno cioè di Cristo. Il Papa dice che Cristo è già presente, sia con la sua Parola, sia nell’Eucarestia. Ed a questo punto, Francesco affronta il problema del significato da attribuire a questa presenza, dopo che l’Anno della Fede ci ha auspicabilmente rafforzati nella nostra convinzione che essa sia effettiva ed operante.

Papa Francesco, nella sua omelia, ha ricordato che Cristo è al centro del creato, che Cristo è al centro della storia, che Cristo è al centro della Redenzione; egli ha però aggiunto un altro concetto, che noi europei siamo meno abituati ad ascoltare, ma è invece tipico della cristologia propria dell’America Latina: Cristo è al centro del popolo.

A questo punto, ci è venuto spontaneo, ascoltando il Papa, concludere che Cristo è l’elemento determinante, specifico, decisivo, della nostra identità collettiva. E infatti, poco dopo, questa parola, la parola “identità” è risuonata, proclamata dal Papa, in piazza San Pietro.

Cambiando ogni tanto di programma televisivo, in questa mattinata di domenicale, abbiamo constatato che i servizi giornalistici sono dedicati ininterrottamente all’accordo sul nucleare iraniano: un accordo che segna la definitiva rinunzia – da parte dell’Occidente – a fermare lo sviluppo atomico di quel Paese, e con esso l’espansione della sua influenza.

Ora soltanto la parola dei dirigenti di Teheran,  o meglio il loro interesse ad evitare un conflitto, ci può garantire dai pericoli che ne conseguono.

L’Occidente cristiano non è più in grado di dominare il mondo, ed anzi non è più in grado di preservarsi dall’emergere – sul piano economico, su quello culturale, ed ora anche su quello militare – delle potenze che non ne fanno parte.

E allora viene inevitabile la tentazione di rifugiarsi ciascuno nella sua propria identità. Se però la si concepisce in termini etnici, la frammentazione che ci attende sarà sempre maggiore, ed accentuerà la nostra marginalità e la nostra insignificanza. Se invece rivalutiamo la nostra identità in termini spirituali, essa risulterà più vasta, e dunque con maggiore possibilità di influire sul mondo.

Certamente il Papa non la considera in termini di contrapposizione con le altre culture: come uomo proveniente dal Sud del Mondo, Papa Bergoglio ha vissuto sulla sua pelle l’ingiustizia storica mascherata dal colonialismo sotto  il pretesto del “fardello dell’uomo bianco”.

L’identità cristiana, d’altronde, non è sorta come un fatto interno all’Occidente, sia perché proviene piuttosto dall’Oriente, sia perché non conosce e non giustifica nessuna forma di discriminazione razziale, sia infine perché si è sempre radicata in culture diverse. Possiamo anzi dire che mentre le altre grandi religioni sono extraeuropee, ed hanno poche propaggini nel nostro Continente, la nostra si è estesa come fenomeno autoctono in ogni parte del mondo.

Precisamente in questo consiste l’antidoto che le impedisce di fare da supporto ad ogni disegno rinnovato di dominio da parte dell’Occidente: il fatto però che la tradizione cristiana abbia avuto un particolare radicamento  in Europa ci permette di offrire il patrimonio costituito dalla nostra identità anche alle altre culture.

Se la battaglia per la supremazia economica è ormai perduta, e quella per la supremazia militare è ormai avviata verso lo stesso esito, rimane ancora il prestigio che ci dà la nostra identità spirituale.

Mai come ora, intorno alla figura del Papa, al suo prestigio, alla forza dei suoi gesti per la pace, alla sua battaglia per la giustizia, si riuniscono soggetti non cattolici, non cristiani, non religiosi, che quanto meno di fatto accettano la sua guida, si può dire la sua egemonia.

Come possiamo aiutarlo, noi che siamo europei, e siamo cattolici? Semplicemente vivendo con coerenza la nostra fede, quella fede per cui Cristo è – come ricorda il Papa – al centro del popolo: si tratta di una scelta dalle implicazioni rivoluzionarie, dato che oggi al centro del popolo ci sono soltanto degli interessi egoistici e materiali. La crisi avrà dunque un effetto benefico, purché ci faccia ridiventare cristiani.

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Alfonso Maria Bruno

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