[Leggi prima parte] Ebbene, il rapimento di Abd El-Samad ne conferma i timori, ma conferma anche che chi lo condanna non ha letto le sue dichiarazioni, non ha letto i suoi saggi. Il politologo non ha mai rinnegato la propria religione, se ha attaccato ha attaccato le derive estremiste proprio quelle che con molta probabilità lo hanno rapito e che di sicuro lo hanno condannato a morte.
Ritornano alla memoria le parole del teologo egiziano Nasr Hamid Abu Zayd a seguito della sua condanna di apostasia, e il conseguente divorzio d’ufficio dalla moglie Ebtehal Younes, da parte di un tribunale civile per avere proposto una lettura contestualizzata del testo coranico. Il 16 maggio 1995 scriveva: “In quanto studioso musulmano ho dedicato tutta la mia vita a difendere l’islam, mi sono adoperato di dimostrarne la capacità dal punto di vista mentale che scientifico e per rivelarne i nobili intenti, gli elevati contenuti umani in un contesto che offende l’islam e lo espone agli attacchi nemici per colpa di alcune persone che approfittano dei nobili contenuti per realizzare scopi utilitaristici, terreni e infimi a scapito del bene della nazione islamica e del bene dei cittadini musulmani e non. Per questa ragione mi stupisce e mi irrita la volontà insistente e repentina di alcuni a volermi uccidere piuttosto che dibattere le mie idee, piuttosto che discutere con me ricorrendo a prove razionali e giuste. Si sono presi invece la licenza di accusarmi di apostasia e di avere deviato dall’islam.”
Abu Zayd, come Abd El-Samad, ribadiva la sua appartenenza all’islam e le sue paure per le derive estremiste. Abu Zayd, che è morto nel 2010 al Cairo dopo un lungo esilio in Olanda, sottolineava l’impossibilità di dialogare e ragionare con chi condanna a morte. Lo studioso egiziano, uno dei grandi maestri del pensiero riformista islamico, si riferiva in modo particolare alla propria esperienza, ma non escludo che la sua riflessione si riferisse al passato e alla sorte di due intellettuali egiziani a lui molto cari: il premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz e l’intellettuale Farag Foda.
Nel 1959 Mahfuz inizia a pubblicare a puntate sul quotidiano egiziano Al-Ahram il romanzo “Ragazzi del nostro quartiere” che ben presto viene bandito in Egitto in quanto considerato un affronto alla religione. Tuttavia solo nel 1989, l’anno dell’attribuzione del Nobel, Omar Abd El-Rahman, il cosiddetto “shaykh cieco”, lo condanna a morte. Nel 1994 lo scrittore subisce un attentato, di fronte alla propria abitazione, al quale sopravvive miracolosamente. Più tragica è stata la sorte di Farag Foda.
L’8 giugno 1992 viene ucciso da due esponenti della Gamaat al-Islamiyya, lo stesso gruppo che ha condannato a morte Abd El-Samad. Foda, come il politologo rapito, era acerrimo nemico dell’oscurantismo islamico e derideva la chimera di quest’ultimo circa l’instaurazione di uno Stato islamico: “Da dove deriva questo ottimismo? Dall’esperienza delle compagnie di investimento? Dai proiettile che hanno colpito Abu Basha, al-Nabawi e al-Makram? Dalla tolleranza mostrata dagli islamisti a Minya, Abu Qurqas e nel Fayyoum? Dalle orripilanti posizioni degli islamisti nei confronti dell’arte, della musica, della recitazione e del canto? Dal fantastico risultato dell’esperienza iraniana? Oppure dagli splendidi risultati dell’implementazione della sharia in Sudan?”.
Tuttavia il fatto che più stupisce, che più deve fare riflettere e che accumuna Mahfuz, Foda, Abu Zayd, Abd El-Samad, ma anche lo scrittore egiziano Karam Saber, che è in attesa di giudizio con l’accusa di oltraggio alla religione per avere pubblicato una raccolta di racconti dal titolo Dov’è Dio?, è che chi li accusa non ha letto i loro scritti o non li ha voluti capire. Lo scorso maggio, l’editorialista saudita Tarek Mubarak, tra l’altro oggi in carcere per avere scritto un articolo a favore della guida delle donne nel proprio paese, ricordava sul quotidiano Asharq al-Awsat che quando allo shaykh al-Ghazali, autore della fatwa contro Foda, venne chiesto di chiarire la sua posizione rispose di non avere letto i libri. Lo stesso accadde durante il processo degli attentatori di Mahfuz: non avevano letto il romanzo “maledetto”.
Hamed Abd El-Samad, e i suoi illustri predecessori e tanti altri intellettuali musulmani, denunciano chi con dolore, chi con rabbia, chi con ironia la scomparsa dell’umanità in seno all’islam radicale, la volontà di quest’ultimo di ottenebrare le menti. La battaglia è aperta, ora più che mai, tra chi vuole riportare l’islam al VII secolo dopo Cristo e chi lo vorrebbe adeguare ai tempi moderni e ai diritti umani senza rinnegarlo. Sta ai musulmani e a noi scegliere da che parte stare: se stare dalla parte di chi aspira alla libertà senza se e senza ma oppure dalla parte di chi condanna, accusa ciecamente e ottusamente tutti e in primo luogo i musulmani. Io non ho dubbi: sto con tutti gli Abd El-Samad del mondo islamico perché solo grazie a loro potrà tornare a pensare, ragionare e, perché no, anche a sorridere.