Sarà perché se ne parla poco in tv, o forse per il suo nome inglese, sta di fatto che l’ideologia gender appare a molti come qualcosa di lontano dalla realtà di tutti i giorni. Un tema utile a far dibattere nugoli di studiosi, evidentemente alieni dalla concretezza del quotidiano. Eppure, la storia dovrebbe insegnare che ideologie inizialmente di nicchia finiscono spesso per tramutarsi in “pensiero dominante di una minoranza”, per usare una definizione del professor Roberto Tamanti.
È questo il destino verso cui è lanciata anche l’ideologia gender? Se n’è discusso ieri pomeriggio presso l’Aula Sisto V della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum, dove Tamanti insegna e dove, per l’occasione, ha moderato il dibattito cui ha partecipato, tra gli altri, Francesco D’Agostino, dell’Università di Tor Vergata.
L’introduzione è stata affidata a padre Domenico Paoletti, preside della “San Bonaventura”. Il teologo ha richiamato la necessità di un approccio interdisciplinare per affrontare il tema del gender, il quale si prefigge di annullare la dualità uomo-donna, classificandola come mero dato culturale. “Una società individualistica – ha osservato padre Paoletti – va aiutata a saper cogliere l’armonia delle differenze”. Riprendendo il discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana dello scorso dicembre, Paoletti ha dunque definito il gender foriero di una “rivoluzione antropologica” che mina alla base i “valori fondamentali dell’esistenza umana”.
La diffusione di una tale ideologia rappresenta pertanto una minaccia, o meglio “uno scenario inquietante”, come l’ha definita all’inizio del suo intervento il professor D’Agostino. A suo avviso, tale minaccia è oltremodo complessa, poiché “i vecchi modi di pensare” non sono più in grado di contrastare “la grave situazione di crisi culturale nella quale ci troviamo”.
La relazione del professor D’Agostino è partita riavvolgendo i fili della storia umana. Nel corso dei secoli, ha ricordato durante il suo excursus, tutti i sistemi giuridici hanno sempre convenuto nel definire la società secondo un modello patriarcale. Questa struttura sociologica arranca a partire dalla nascita della modernità. In questa fase della storia quel modello “è entrato in crisi sotto diversi profili, ancora poco conosciuti e poco esplorati”.
Anzitutto, ha detto D’Agostino, “la scienza moderna ha cominciato a sostenere che la sessualità è un fenomeno incredibilmente complesso”. Se fino a quel momento essa era pensata come un dato puramente anatomico, da quel momento in poi la dimensione anatomica è stata affiancata da altri elementi quali la questione ormonale e la questione genetica. “L’ingenuità” dell’identificazione sessuale da parte dell’ostetrica fondata sul riconoscimento dell’organo genitale del neonato entra così in crisi.
Una crisi che irrompe prepotentemente, demolendo i “vecchi paradigmi”. Questa fase sancisce peraltro l’epilogo del mito dell’ermafrodite. “L’ermafroditismo non esiste per una ragione logica e genetica”, ha commentato D’Agostino. “Se il femminile è XX e il maschile è XY – la spiegato – non esiste un medium, ma possono esistere varie alterazioni dei cromosomi”. Le patologie genetiche sono dunque numerose – circa “una settantina” – alcune sono state scoperte “relativamente da poco”, altre “restano ancora da scoprire”. Molte di queste creano “problematiche terribili”, tali da suggerire alla persona il dubbio: chi sono davvero io? Una domanda che fa “scricchiolare” il bipolarismo sessuale.
Ma il quadro è a tinte ancor più cupe. Il professor D’Agostino ha rammentato che “oltre ai problemi biologici della sessualità, che talvolta possono essere curati, vi sono i problemi psicologici, di ardua risoluzione”. È da essi che trae origine il transessualismo, un fenomeno su cui “c’è ancora moltissimo da capire e da studiare”. Il transessuale, infatti, non presenta anomalie biologiche, eppure si percepisce di orientamento diverso dal proprio genere sessuale. Sono casi questi, in cui la psiche non è armonizzata con il corpo.
L’ontologia naturalistica, oggi, deve poi guardarsi anche da minacce di carattere “scientificamente meno oggettivo”, ma forse per questo “oltremodo inquietanti”. D’Agostino vede queste minacce come conseguenza dell’atteggiamento prometeico dell’uomo moderno. “Tutto ciò che non dipende da noi, compreso il dato biologico dell’identità sessuale, è irrilevante e può essere modificato”, afferma la cultura che sembra imporsi in questa società liquida. È da qui che nasce il gender, “l’idea che l’identità sessuale possa essere il prodotto di un processo intenzionale e volontario”. Un processo che D’Agostino ha definito “metabiologico”.
“L’ideologia del gender”, ha ammesso il professore, “oggi dilaga da tutte le parti”. La prova di ciò è costituita dalla resa dei sistemi giuridici al cospetto di questo fenomeno. “Il grande sistema dei diritti umani – ha proseguito D’Agostino – non è stato pensato a partire dalla differenza sessuale”.
È questa origine giuridica che ha prodotto “conseguenze a cascata” che conosciamo tutti, come il matrimonio omosessuale e la cosiddetta omoparentalità. Oltre a queste più note, tuttavia, ne stanno spuntando altre ancora. Il professor D’Agostino ha ricordato quanto avvenuto di recente in Germania, ovvero l’introduzione “di una terza casella per registrare anagraficamente i bambini, accanto alle classiche maschio e femmina, che risponde al nome di neutro”. Per rimanere in casa nostra, si è poi ricordato il caso del liceo romano “Mamiani”, dove sui libretti delle giustificazioni, i termini madre e padre sono stati sostituiti da genitore 1 e genitore 2.
Questi esempi non vanno banalizzati, ha ammonito D’Agostino, poiché generano un grave “smarrimento antropologico”, di cui i movimenti omosessuali si giovano per imporre una “immagine asessuata dell’uomo”. Il contesto verso cui ciò ci proietta è quello in cui la differenza sessuale verrà “giuridicamente azzerata” sancendo il trionfo dell’ideologia gender.
A questo punto D’Agostino ha posto una domanda: “Sono consistenti le teorie del gender?”. La risposta che ne è seguita è stata negativa, ma non per questo va sottovalutato il suo impatto sociale. L’esempio citato è stato quello del razzismo hitleriano, “teoreticamente grossolano”, benché diffuso “in modo pazzesco” nella società tedesca dell’epoca.
Dunque, seppur inconsistente, l’ideologia gender oggi “sta vincendo dal punto di vista comunicativo” e lo si constata “a tutti i livelli: nella pubblicità, nel cinema, nei giornali, ma anche nell’atteggiamento comune dei giovani”.
Di fronte a una tale diffusione di questa ideologia, D’Agostino invita ad abbandonare le “battaglie di principio”, che risultano ormai “sterili”. L’unica via da seguire è quella dello studio, per “capire la sostanza delle cose”. “Le cose – ha proseguito D’Agostino citando San Tommaso d’Aquino – non mentono”. Per riconoscerle è richiesto però il coraggio di trovare alleati “imprevedibili, in genere persino bistrattati dalla tradizione cristiana”.
In questo campo, “una straordinaria occasione per approfondire la questione” è offerta dalla psicanalisi. D’Agostino ha citato lo psichiatra francese Jacques Lacan, “sicuramente non cristiano, sicuramente freudiano, ma che è il più accanito avversario dell’ideologia gender”. Per lui, “la vera presa di coscienza della sessualità è rinuncia al possesso dell’altro, ma anche rinuncia all’ingenua pretesa di fusione con l’altro”. Lacan ci spiega che “abbiamo bisogno del bipolarismo sessuale per riconoscere il nostro limite antropologico”,
poiché “la pretesa di un amore totale porta all’autodistruzione”.
Un’esatta comprensione della nostra bipolarità sessuale, ha dunque affermato D’Agostino, serve a farci capire che “la radice di un’autentica saggezza risiede nel limite e non nel suo superamento”. D’Agostino ha concluso ricordando l’importanza del fatto che “siamo creature e non creatori”, un dato fondamentale di cui l’ideologia gender si è completamente dimenticata e che sta a noi ripetere affinché “le parole possano entrare nella storia e, magari, modificarla”.