Alla fine di questa decennale campagna di scavo, ancora parecchi interrogativi aleggiavano nella mente degli studiosi. Non solo infatti il nome di Pietro, nonostante i moltissimi graffiti dell’epoca rinvenuti sulla parete di fondo (ma all’inizio soltanto superficialmente studiati) non compariva, ma, cosa più importante per l’identificazione, non erano state rinvenute le ossa lì dove si riteneva potessero essere (tomba ‘terragna’).
La matassa venne dipanata dall’archeologa Guarducci a partire dal 1952. Ella infatti ritrovò e riconobbe il nome dell’Apostolo in una tomba della necropoli originariamente appartenuta alla gens Valeria ma anche nei graffiti, ora adeguatamente studiati, che erano presenti nel cosiddetto ‘muro g’.
Per completare il quadro di identificazione mancava il ritrovamento dell’elemento più importante: le reliquie di Pietro. Aver identificato la tomba ‘terragna’ vuota aveva frustrato non poco i ricercatori i quali, individuata l’edicola, avevano dato per scontato che quello potesse essere l’unico punto dove avrebbero potuto rintracciarle. Ma l’archeologia, si sa, non è una scienza esatta. Ciò che si dà per scontato nel campo della ricerca è spesso la stonatura che non fa quadrare i conti. Durante gli scavi degli anni ’40 infatti venne ritrovata nel muro costantiniano una nicchia a cui inizialmente non venne data, inspiegabilmente, nessuna importanza. All’interno erano state rinvenute delle ossa che vennero trasportate in un ambiente sotterraneo e accatastate per circa dieci anni all’interno di una cassetta in legno insieme a una serie di materiali archeologici fino ad allora rinvenuti. Nel settembre del 1953 vennero ritrovati dalla Guarducci e trasferiti in un ambiente più consono alla conservazione (l’umidità li stava lentamente sfaldando) nonostante non fossero stati immediatamente identificati. Soltanto quando si decise di approfondire lo studio su quelle reliquie iniziarono ad emergere particolari interessanti sulle stesse e sul contesto del ritrovamento.
Venne appurato infatti che le reliquie erano state rinvenute all’interno del loculo ricavato nel muro di epoca costantiniana interamente rivestito di marmo (precisamente porfido), rivestimento solitamente destinato a sepolture di grande riguardo. Compreso che l’importanza del loculo era da mettere direttamente in relazione con le reliquie rinvenute, si decise di avviare lo studio e l’analisi delle stesse, affidandole ad esperti del settore e a specialisti in scienze sperimentali, nonché agli esami dell’antropologo Venerando Correnti. La loro identificazione come effettivamente appartenenti all’apostolo Pietro venne annunciata da Papa Paolo VI nel 1968. Le analisi rivelarono che le ossa (corrispondenti a circa la metà dello scheletro) appartenevano ad un individuo dall’età approssimativa di 60/70 anni (che confermano quanto sappiamo circa l’età approssimativa del martirio di Pietro) ed erano avvolte in un tessuto di porpora di murice (mollusco gasteropode da cui si estrae il colore) ed intessuto d’oro purissimo. Le tracce del tessuto rinvenute erano accompagnate da altre tracce terrose corrispondenti esattamente al tipo di terra contenuta all’interno della fossa ‘terragna’, segno dunque che prima della traslazione da parte dell’imperatore Costantino erano effettivamente li contenute.
Quanto finora evidenziato sarebbe più che sufficiente a fugare qualsiasi altro dubbio anche nelle menti dei più scettici, ma trattandosi di uno dei fondamenti più rilevanti della storia della Chiesa Cristiano/Cattolica è bene dare, lì dove è possibile, ulteriori conferme.
L’analisi del loculo del cosiddetto ‘muro g’ ha messo in evidenza un graffito in lingua greca che riporta la frase ‘Pietro è (qui) dentro’. Ma l’elemento che si ritiene assolutamente inequivocabile ci viene dato proprio dal posizionamento della Basilica soprastante. Il loculo del ‘muro g’ (il contenitore delle reliquie) causò nell’asse della prima basilica un significativo spostamento verso nord rispetto alla poco distante edicola funeraria che rappresentava la prima sepoltura dell’Apostolo. Questa variazione dell’asse non soltanto influenzò l’edificio di costantiniana memoria ma anche gli apporti successivi come la cupola di Michelangelo e il baldacchino del Bernini.
La definitiva attribuzione delle reliquie, possibile attraverso le fonti letterarie ma soprattutto attraverso l’apporto dell’archeologia, ha fornito un’ulteriore spinta emotiva a chi vive con grande partecipazione questi luoghi così carichi di storia e religiosità.
L’attribuzione delle reliquie dell’Apostolo Pietro non apportano assolutamente nulla di nuovo agli insegnamenti religiosi in cui si crede, ma incoraggiano senz’altro alla riflessione su quanto importante possa essere per ciascuno di noi seguire i dettami cristiani di amore, pace e fratellanza tra gli uomini, gli stessi per cui la storia ci insegna, molte persone hanno sacrificato la propria vita terrena.
(La prima parte è stata pubblicata ieri, venerdì 15 di novembre)
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.