Riportiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta questa sera dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella Messa di inizio dell’Anno Accademico 2013-2014 dell’Università degli Studi di Bologna.
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La pagina evangelica appena ascoltata ci induce a riflettere su un’attitudine fondamentale della vita cristiana, anzi della vita umana come tale: la gratitudine.
1. La narrazione evangelica è dominata dal comportamento contrastante tenuto da uno dei dieci lebbrosi guariti, e degli altri nove. Il primo, dice il testo evangelico, «vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù, per ringraziarlo». Gli altri nove, dopo la guarigione, dimenticarono il beneficio ricevuto.
Cari giovani, se noi leggiamo le pagine del Primo Testamento, vediamo che il Signore rimprovera spesso il suo popolo di dimenticare i benefici ricevuti. Di attribuire a se stesso – alla sua saggezza, alla sua forza… – ciò che invece è dono di Dio. «Sappi dunque» dice il Signore al suo popolo «che non a causa della tua giustizia il Signore tuo Dio ti dà il possesso di questo fertile paese; anzi, tu sei un popolo di dura cervice» [Deut 9, 6].
Anche nelle lettere di S. Paolo il richiamo alla gratitudine verso il Signore, l’esortazione a ringraziarlo spesso è costante.
Qual è la ragione profonda di questo invito che attraversa tutta la S. Scrittura? E’ molto semplice. La ragione è che noi non apparteniamo radicalmente a noi stessi. Il nostro esserci è un evento che trova la sua spiegazione nella decisione di Dio creatore di chiamarci all’esistenza. Non tutte le relazioni che costituiscono la trama della nostra vita sono relazioni costruite da noi, relazioni contrattuali. Viviamo innanzitutto dentro relazioni che ci sono donate: con Dio creatore; con i nostri genitori. Sono relazioni costitutive.
L’atto fondamentale con cui noi prendiamo coscienza di questa nostra condizione ontologica è la gratitudine.
Il fatto, tuttavia, che questa presa di coscienza sia in un qualche modo un bisogno scritto nella natura della nostra persona, non significa che essa senz’altro si accenda. E’ quanto ci dice la pagina evangelica. La persona umana, ciascuno di noi può impedire il sorgere di questa presa di coscienza; può perdere la memoria di se stesso come essere-donato.
Cari amici, dovete essere particolarmente vigilanti al riguardo, poiché . Per almeno due ragioni strettamente connesse.
La prima è un concetto ed un’esperienza di libertà che tendono ad identificarla colla negazione di ogni appartenenza. Sei libero – ti viene detto continuamente – se e nella misura in cui non appartieni a nessuno, ma solo a te stesso/a. E’ una condizione, questa, drammatica, poiché è la condizione di una persona senza radici, dal momento che ogni relazione è costruita e nessuna data. E’ la persona condannata alla solitudine; ed essere liberi solo per sé stessi è la morte spirituale.
La seconda ragione è che abbiamo cercato di costruire il sociale umano solo sulla categoria dei diritti. Per definizione il diritto soggettivo esclude ogni attitudine di gratitudine: ciò che è dovuto, non è donato.
Avete sentito che cosa dice Gesù al samaritano che è ritornato a ringraziarlo: «alzati e va; la tua fede ti ha salvato».
Fate bene attenzione. Il samaritano è già stato guarito. Avviene qualcosa di più grande: la salvezza. Il passaggio dalla gratitudine, segno di una profonda onestà naturale, alla fede è stato logico e facile. Nel momento in cui tu prendi coscienza che dipendi nel tuo essere dall’Amore; nel momento in cui prendi coscienza del rischio che ogni giorno corri di perdere te stesso, ti consegni pienamente a Dio che in Gesù ha mostrato l’infinito interesse che Egli ha per te. Questa consegna è la fede. Questo ha fatto il samaritano della pagina evangelica.
2. Vorrei ora, brevemente, mostrarvi una conseguenza terribile che accade nella vicenda umana quando da essa scompare o in essa si oscura il senso del dono e della gratitudine. E’ la prima lettura a indurci a questa riflessione.
Di che cosa parla? Della giustificazione, della legittimazione del potere politico. E la pagina ci presenta lo scontro fra un potere che vuole trovare in se stesso la sua giustificazione [«siete orgogliosi per il gran numero dei vostri popoli»] e un potere che ha un referente nel Signore stesso [«la vostra sovranità proviene dal Signore»]. Non voglio ora approfondire; non è questo il luogo e il momento.
Desidero solo richiamare la vostra attenzione, e concludo, sul seguente fatto: la persona che rifiuta di essere grata; la vicenda umana che esclude positivamente dal suo orizzonte la gratitudine, è costretta a ritenere insensata la domanda: «nelle vostre città, forestieri, fu un dio o un essere umano responsabile della fissazione delle leggi?» [Platone 624 A].
L’uomo che non vuole appartenere a nessuno, finisce di essere a disposizione dell’arbitrio del potere.