«I critici della cultura moderna, da un centinaio di anni ormai, hanno contrapposto la posizione dell’arte nella nostra società al ruolo che aveva nel medioevo. Nel medioevo, essi immaginano, l’arte era una parte essenziale della vita sociale, mentre ai nostri giorni è un mero ornamento, privo di utilità, come di fini spirituali elevati. Un tal giudizio sul carattere inorganico dell’arte moderna riposa su una concezione angusta e schematica della natura dell’arte e del modo in cui essa funziona. È difficile aspettarsi che questi critici possano far da guida alle qualità e alle aspirazioni dell’arte moderna, privi come sono di simpatia per essa. Sarebbe facile dimostrare che l’arte contemporanea, per quanto non religiosa – e precisamente in quanto non religiosa -  è intrecciata con le esperienze e gli ideali moderni non meno attivamente che l’arte passata con la vita del suo tempo» [1].

È estremamente interessante rileggere a distanza di quasi settanta anni, queste parole programmatiche che Meyer Schapiro scrisse per introdurre un suo scritto Sull’atteggiamento estetico nell’arte romanica, (poi ripubblicato nel 1977). Egli combina due movimenti e li fonde in un unico gesto storico-critico, da un lato cerca di individuare un nucleo sul quale far convogliare le ricerche estetiche sul romanico, dall’altro dichiara apertamente che comunque tutto deve essere visto da un punto prospettico “moderno” e quindi di per se “ideologico” mostrando come l’arte romanica non sia poi così dissimile da quella moderna.

Egli afferma che il nucleo dell’arte romanica è religioso, mentre quello contemporaneo ne è totalmente privo, ma che in entrambi, esiste una relazione profonda tra visione del mondo e orizzonte rappresentativo e linguaggio espressivo scelto. Proprio in questa ultima considerazione è interessante rintracciare  un primo contributo  ante litteram nella questione elaborata ora nei termini di “sistema d’arte”, In altre parole, Schapiro pur volendo leggere il mondo medioevale alla luce delle istanze laicizzanti della contemporaneità, arriva inconsapevolmente ad ammettere che i due mondi pur diversi e incomunicanti hanno una relazione che li lega tra loro, e la rintraccia nel tipo di relazione proprio del sistema d’arte, ovvero una relazione biunivoca tra il sistema stesso e la “visione del mondo”.

Con l’espressione “sistema artistico” intendo quell’insieme di principi e regole che sottendono  un sistema di segni, articolandone il significato. Così per esempio, ritengo sistemi artistici diversi il sistema figurativo, il sistema non figurativo o aniconico.  Con religione intendo qualsiasi sistema di credenze, di ogni epoca e luogo, nella consapevolezza di quanto il termine religio sia di difficile definizione.

Il legame tra le religioni e i sistemi artistici appare solido e profondo, vivo e fecondo; ogni sistema di segni esprime un insieme di credenze, una visione religiosa del cosmo e dell’uomo. Ed esiste, anche, reciprocamente, un nesso forte e indissolubile tra il segno e l’idea religiosa, tra il sistema artistico e il mondo religioso che lo ha prodotto.  L’utilizzo di una forma o di un’altra è determinato non tanto da una attitudine interna all’arte, quanto piuttosto da fattori correlati alle arti, quali la visione del mondo o la religiosità posseduta dall’artista e dall’intera koiné a cui appartiene, la finalità della sua rappresentazione.

La forma scelta dall’artista è direttamente legata alla visione del mondo cui l’artista aderisce, e non già ad un presunto impersonale e autonomo miglioramento evolutivo delle forme. Infatti, l’artista possiede una tecnica elaborata nel corso del tempo da altri prima di lui, a cui egli stesso può aggiungere la sua esperienza, all’interno della medesima visione del mondo. Per questo diciamo che esiste un’arte minoico cretese, come del resto diciamo che ne esiste una cristiana e all’interno di quest’ultima che esistono l’arte bizantina e l’arte cattolica. Una visione del mondo, una weltanschaunng è inscindibile dall’approdo formale che essa stessa contribuisce a formare. Non si tratta di elementi estrinseci,  ma c’è una corrispondenza biunivoca, un reciproco adeguamento tra il significante, ovvero la forma artistica, ed il significato, ovvero la visione del mondo.

Oltre a Shapiro, anche più recentemente alcuni teorici dell’arte, pur avendo altri riferimenti ed altri obiettivi, con le loro analisi concorrono a questa teorizzazione del sistema d’arte. Per esempio Shiner in modo interessante declina la nozione di “sistema dell’arte” in questi termini: «Un sistema dell’arte abbraccia […] i concetti e gli ideali fondamentali condivisi da diversi mondi dell’arte e della cultura in generale, includendo così anche coloro che partecipano soltanto marginalmente a uno dei mondi dell’arte» [2]

Interessante è anche la sottolineatura della interdipendenza tra sistema dell’arte e contesto sociale fatta da Shiner: «Vi è interdipendenza tra i concetti regolativi e gli ideali dell’arte, da una parte, e i sistemi sociali dell’arte, dall’altra: concetti e ideali non possono esistere senza un sistema di pratiche e istituzioni (composizione musicale e orchestre sinfoniche, collezionismo e musei d’arte, corpus delle opere e diritto d’autore), così come le istituzioni non possono funzionare senza una rete di ideali e di concetti regolativi (artisti e opera, creazione e capolavoro)» [3].

Shiner, interrogandosi sulla “invenzione” dell’arte afferma: «con la parola “invenzione” non si intende qui sostenere che le idee e le istituzioni moderne sull’arte siano apparse tutte in una volta; si intende invece suggerire che i numerosi cambiamenti nei concetti e nelle pratiche delle arti, avvenuti poco per volta a partire dal Rinascimento, raggiunsero un punto di rottura e di consolidamento nel periodo compreso tra il 1680 e il 1830» [4].                                    

Danto, invece, riflettendo su una possibile definizione dell’arte, afferma che si sia giunti alla “fine dell’arte” cioè alla fine di una concezione di arte nata nella modernità, alla fine di una “determinata narrazione” [5]. Belting, invece, volendo «descrivere un processo affascinante, nel corso del quale nell’età moderna l’immagine medievale di culto si trasformò in opera d’arte» [6], mostra che «l’arte presuppone la crisi dell’antica immagine e la sua nuova valorizzazione come opera d’arte nel Rinascimento. Essa è legata alla rappresentazione dell’artista nella sua autonomia e alla discussione sul carattere di arte della sua invenzione» [7]. Secondo Belting le icone bizantine non sarebbero propriamente delle opere d’arte, quanto invece delle immagini per il culto, e proprio la loro crisi sarebbe il presupposto dell’inizio dell’arte e della nuova valorizzazione dell’immagine come opera d’arte nel Rinascimento.  

Dunque, mentre Shiner colloca l’inizio dell’arte ben oltre il Rinascimento, avendo come parametro principale di riconoscimento la distinzione tra arte e artigianato, Belting retrocede l’inizio dell’arte nel Medioevo, avendo come parametro la distinzione tra immagine di culto e opera d’arte. Di contro, Danto colloca la fine dell’arte alle soglie della contemporaneità.

Se uniamo quanto prospettato da Danto e Belting, ed in certa misura anche da Shiner, anche se in modi diversi e con finalità diverse, ne deriva, come implicazione, che l’arte si identifica storicamente con quella praticata in una ben precisa area di tempo, di spazio, di idee, ovvero con l’“arte cristiana occidentale”. L’arte propriamente tale, circoscritta storicamente dai nostri autori, coincide con un’arte impregnata di Cristiane simo e impegnata nel Cristianesimo.

Dunque, le ricostruzioni storiche operate da Belting e Danto aiutano ad individuare un significato per il termine “arte”, qualcosa di ben circoscritto in termini cronologici e concettuali. Anche se Belting e Danto non lo affermano affatto, a  me sembra che dai loro studi si desuma inevitabilmente proprio questa conclusione, ovvero che quel che intendono come “arte” coincida storicamente con l’arte cristiana, anzi, in termini più precisi, con l’arte cattolica. Tutto il resto è pre-arte (come il culto delle immagini studiato da Belting) o post-arte (come  la contemporaneità descritta da Danto).

Del resto i nostri musei, almeno quelli che mettono in mostra antiche collezioni, raccontano proprio la vita del Cristianesimo ed il confronto con musei e collezioni novecentesche -quelli che vengono, per dirla con Danto, “dopo la fine dell’arte”- rende questo dato ancor più evidente. Dunque, modificando le strutture paradigmatiche di Shiner, potremmo dire che l’originario sistema dell’arte è il “sistema d’arte cristiano”, che si  è costituito con lentezza e attraverso diversi momenti, a partire dalle immagini di culto bizantine, in una sorta di accumulo di dati e di esperienze che hanno portato alla individuazione di principi ordinatori, con lo sviluppo di tecniche e di discipline collaterali, per promuovere il raggiungimento dell’obiettivo, un obiettivo che risulta legato al Cristianesimo.

Come il Cristianesimo è stato l’inizio dell’arte propriamente detta, così il volontario rifiuto di questo, l’immane apostasia che è volontariamente dilagata come radice e frutto della modernità, ne ha minacciato la fine: insieme alla visione cristiana del mondo, è stato abbandonato  il fondamento metafisico della bellezza e il valore veritativo dell’arte. La progressiva e forzata laicizzazione dell’arte è stata il vero morbo mortale per l’arte stessa. Ma per fortuna la contaminazione non è stata totale.  Occorre essere più obiettivi di Danto e riconoscere che l’arte ha continuato ad esistere, sebbene lontano dai riflettori, e che ancora esiste, accanto a quella che i riflettori esaltano in quanto arte ma che di fatto arte non è.

Alcune ricostruzioni dell’epoca artistica contemporanea premettono onestamente una sorta di restringimento mentale ai soli aspetti che a loro interessano. Per esempio, in modo esplicito, Denys Riout afferma che la sua ricostruzione dell’arte del XX secolo privilegia le opere «che nei musei d’arte moderna o nei centri di arte contemporanea suscitano meraviglia, stupore o indignazione» ovvero “dipinti monocromi, ready made, happening, performance, arte concettuale”. Ma ha l’onestà di riconoscere che «molti artisti continuano a “dipingere”, a rappresentare il mondo, e nulla ci dice che le opere figurative di Edward Hopper, Giorgio De Chirico, Balthus o Francis Bacon, ad esempio siano trascurabili» [8].

L’arte in quanto tale è sopravvissuta, e soprattutto riemerge prepotentemente sia come un’esigenza interna al mondo degli artisti, sia come una necessità spirituale della società. Come afferma Remo Bodei: «l’ideale delle “belle arti” non è […] tramontato neppure in seguito all’apparente apoteosi del brutto. Si assiste anzi, in questi ultimi tempi, al veloce congedo dalla adorniana fase del cordoglio, a una crescente insofferenza nei confronti dell’“arte brutta” e dello sperimentalismo esacerbato delle avanguardie» [9].

La difesa delle belle arti è stata condotta, nel corso del XX secolo, da teorici, artisti e critici d’arte, e soprattutto è stata conservata da chi ha voluto con l’arte celebrare la Fede.

Per questo, vorrei infine ricordare il bellissimo discorso agli artisti di Paolo VI alla fine del Concilio Vaticano II, nel quale si rivolge agli artisti descrivendoli come autori e protagonisti di quello che possiamo chiamare il vero e proprio sistema d’arte cristiano, che ha edificato e decorato templi, celebrato dogmi, arricchito la liturgia, reso comprensibile il mondo invisibile: «Voi avete edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. L’avete aiutata a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere comprensibile il mondo invisibile».

Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website: www.rodolfopapa.it   Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com  e.mail: rodolfo_papa@infinito.it.

*

NOTE

[1] M. Schapiro, Arte romanica [1943], Einaudi, Torino, 1982, p. 3

[2] L.Shiner, L’invenzione dell’arte. Una storia culturale [2001], trad.it., Einaudi, Torino 2010, p. 13.

[3] L.Shiner, L’invenzione dell’arte, p. 13.

[4] L.Shiner, L’invenzione dell’arte, p. XXI.

[5] A.C. Danto, Dopo la fine dell’arte. L’arte contemporanea e il confine della storia [1997], trad.it., Bruno Mondadori, Milano 2008.

[6] H. Belting, Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo [1990],  trad.it., Carocci, Roma 2001, p. 31.

[7] H. Belting, Il culto delle immagini, p. 9.

[8] D. Riout, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti [2000], trad.it., Einaudi, Torino 2002, p. 13.

[9] R. Bodei, Le forme del bello, il Mulino, Bologna 1995, p. 120.