«Chi si oppone all’aborto criminalizza le donne. Opprime le minoranze, specie se povere. Una donna che non difende “la libertà di scelta” è una che “non ci è mai passata”. Il movimento pro-life impone il potere maschile alla maternità. È un movimento conservatore e bigotto, violento e antidealista: i pro life fanatici colpevolizzano i medici perché non sanno muovere coscienze».
Queste e infinite altre falsità sono confutate una volta e per tutte dalla sola esistenza di Alveda King, nipote del più famoso Martin Luther. Il padre di Alveda era al suo fianco, nella lotta per il riconoscimento dei diritti dei neri, lotta che negli anni Sessanta portò finalmente alla totale emancipazione politica degli afroamericani.
Una lotta che molti giudicavano settaria, inutile, non condivisa dalla popolazione. Una lotta che si scontrava con la resistenza di strutture di governo locale e federale incentrate di diritto o di fatto sulla segregazione dei neri dai bianchi, e sul dominio di questi su quelli. Una lotta i cui protagonisti erano dipinti come fanatici religiosi senza contatto con la realtà.
La casa del reverendo Alfred Daniels Williams King a Birmingham fu fatta esplodere da una bomba. La chiesa dove predicava a Louisville fu fatta saltare per aria. Ma il papà di Alveda continuò le prediche e i discorsi appassionati che guadagnarono a lui e al fratello il nomignolo di “figli del tuono”. Dopo il primo attentato, il reverendo A.D. King saltò sul tettuccio
di una macchina e si rivolse così ai suoi compagni pronti alla rivolta, già intenti a scagliare sassi: “Amici, abbiamo avuto abbastanza problemi stanotte. Se volete uccidere qualcuno, uccidete me. Lottate per i vostri diritti, ma in maniera non violenta”.
Sua figlia Alveda ha avuto una vita difficile, e non solo per i problemi politici di suo padre e l’assassinio dello zio. Divorziata tre volte, ha volontariamente abortito due bambini ed ha dovuto “arrendersi” al terzo solo perché non poteva permettersi un’altra operazione. Ma nel tempo, grazie alla sua esperienza diretta, ha capovolto il suo giudizio ed è da poco l’autrice di un terribile documentario, Bloodmoney, contro Planned Parenthood e quell’industria dell’aborto della quale era diventata cliente, cioè vittima.
Alveda ora è a capo di un’associazione pro-life e combatte con lo stile del padre e dello zio l’ennesima ingiustizia sociale verso i più oppressi fra i deboli: i non nati. E lo fa grazie a una drammatica, personale consapevolezza di cosa significhi. Una consapevolezza pagata col sangue. Se si legge con attenzione la sua autopresentazione sul sito dell’associazione che ha fondato, King for America, una differenza rispetto alla sua pagina di Wikipedia salta subito all’occhio. Miss King specifica di essere madre di otto figli, mentre l’enciclopedia gliene attribuisce sei. E questo perché lei, a differenza, purtroppo, della società che la circonda, ha capito che anche quei due “aborti” sono altrettanti suoi bambini. E qualunque cosa sia successa, qualunque sia la colpa di cui si è macchiata nei loro confronti, lei si dice orgogliosa di essere la loro mamma.
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Fonte: Notizie Pro Vita, luglio-agosto 2013, p.14