Le ultime parole di mons. Filippo Strofaldi: costruire ponti di libertà

Ritratto del vescovo emerito di Ischia, un uomo di grande cuore, annunciatore convinto del Vangelo

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Quando alle prime luci dell’alba del 24 agosto scorso ho ricevuto la telefonata del carissimo vescovo di Ischia, mons. Pietro Lagnese, che mi comunicava la morte di mons. Filippo Strofaldi, pastore emerito di quella Chiesa, per tutti l’amatissimo Padre Filippo, ho immediatamente pensato che il fratello e l’amico di una vita era andato in Paradiso. Solo poche ore prima, parlandogli per telefono, avevo sentito la sua voce ripetermi “grazie, grazie, grazie…”. In realtà, a ringraziare ero e sono io, per il dono immenso di quest’amicizia, per questo fratello maggiore cui mi univa l’affetto profondo, la fede comune, la condivisione d’ideali e di speranze per la vita della Chiesa e del mondo.

Durante l’ultima notte, con piena lucidità e serenità aveva ricevuto i sacramenti, accompagnato dal suo Successore e da uno dei suoi amati sacerdoti ischitani. Sheeba, la consacrata che con totale dedizione si è presa cura di lui in questi lunghi mesi del progressivo deteriorarsi delle sue già precarie condizioni di salute, mi ha detto fra le lacrime che le sue ultime parole sono state “costruiamo ponti di libertà”, ripetendo ancora più volte i termini “libero” e “libertà”. Sulla bocca di un uomo di fede come è stato Filippo, queste parole sono il congedo più bello dalla vita terrena per entrare nell’oceano del Dio amore, sovrana libertà e infinita carità. Esse riassumono anche nella maniera più densa il messaggio della vita di questo napoletano verace, uomo dal cuore grande, credente innamorato di Gesù, sacerdote e vescovo fedele e generoso fino alla fine.

La libertà di Padre Filippo era anzitutto libertà da sé: sin da quando, ragazzo, era entrato in Seminario, egli aveva fatto l’offerta piena della sua volontà ai disegni di Dio. Veramente è stato un uomo capace di calpestare il suo “io”, di farsi tutto a tutti e servo di tutti lì dove la Provvidenza ha guidato i suoi passi. Giovane prete entusiasta, straordinario annunciatore del Vangelo con la musica della sua chitarra e la sua voce calda, Filippo entusiasmava a sua volta i giovani e li portava all’incontro con Cristo. Fu così che lo conobbi nel campo scuola di Azione Cattolica in cui – attraverso la parola dell’indimenticabile Card. Corrado Ursi, da poco divenuto Arcivescovo di Napoli – Dio toccò il mio cuore e lo prese per sempre, perché fossi suo sacerdote in eterno. Certamente, l’esempio di quel giovane prete mi attrasse e l’amicizia fra noi nacque spontanea per non interrompersi mai più.

Vennero poi gli anni in cui a don Filippo furono affidate responsabilità formative, dapprima come educatore nel Seminario Maggiore e poi come rettore del Minore: nessuno di quanti lo hanno conosciuto in quella veste potrà dimenticare la sua luminosità, la gioia che traspariva in ogni suo gesto, la serietà pensosa del suo impegno, il messaggio di Vangelo trasmesso con la vita, prima che con la parola. Fu allora che nacque anche la nostra collaborazione “musicale”: a me il compito di scrivere i testi, a lui di musicarli. Insieme portavamo l’annuncio, che quelle canzoni volevano trasmettere, a tanti, tantissimi giovani. I titoli contenevano già la semplice forza del messaggio: “L’amore mai tramonterà”, “Da una preghiera anonima del secolo XIV”, “Da un manifesto dei giovani di Praga a Dubcek”, “A Madonna d’e mandarine”, “Cella mea, mihi coelum”, “Il prete”, “Il povero”, “A terra d’o cielo”… Filippo si donava con una passione straordinaria, la stessa con cui nel 1985 avrebbe accettato la guida pastorale di una grande parrocchia di Napoli (trentacinquemila abitanti…), per un servizio senza risparmio, cui cercai di collaborare in tutti i modi in cui il mio impegno alla Facoltà Teologica mi consentiva di farlo.

Furono anni bellissimi, durante i quali innumerevoli storie incrociarono le nostre e tanti cammini si aprirono: da vocazioni sacerdotali e religiose, a nuove famiglie, da incontri di fede sorprendenti, a singolari maturazioni nella carità e nella speranza. Era lui il motore di tutto, strumento e riflesso dell’anima di ogni missione di Chiesa e di Vangelo, che è il Signore Gesù. Libero da sé, dopo nove anni Filippo accettò il distacco dall’amatissima comunità parrocchiale per nuove responsabilità, prima come vicario episcopale per la zona industriale di Napoli, e poi dal 1998 come vescovo di Ischia per volontà di Giovanni Paolo II.

Negli anni dell’episcopato si andò manifestando sempre più chiaramente la ragione profonda di quella libertà da sé, dalle cose e dagli altri, che caratterizzava Padre Filippo, e che si esprimeva nella sobrietà della vita, nel suo amore a scelte di povertà e di servizio e di donazione ai poveri, nel suo accogliere tutti e rispettare tutti, senza però farsi condizionare da nessuno. Filippo era libero per amore di Dio e del prossimo, che il Signore aveva voluto affidargli: mai una sua scelta fu determinata da altro che dal desiderio di compiere la volontà di Dio e di servire con amore generoso la verità e la giustizia per tutti.

La visita alla Chiesa di Ischia del grande Papa polacco, che aveva conosciuto e sempre più apprezzato il “vescovo con la chitarra”, fu un momento vertice del suo ministero: la cornice di straordinaria bellezza dell’Isola verde sembrò non essere altro che la manifestazione esteriore della bellezza e della gioia che inondava i cuori delle innumerevoli persone presenti. La grande torta che venne offerta al Pontefice all’incontro coi giovani e che egli restituì in dono agli stessi giovani raccomandandosi di “dividerla equamente”, fu il segno semplice e festoso della familiarità con cui l’intera visita era stata vissuta da tutti, a cominciare da Giovanni Paolo II, oggi beato. Ancora una volta, a tessere la trama di amore e di gioia era stato lui, Padre Filippo, il vescovo di tutti, amato dalla gente, pastore, padre e fratello di quanti il Signore aveva voluto affidargli. Per quello stesso, generosissimo amore non sono mancate ore di prova e sofferenze al suo cuore: non sempre tutti hanno compreso la libertà interiore di questo vescovo umile, buono e forte nella fede.

Nella trasparenza dell’anima che ci univa, conoscevo queste sue sofferenze, ma ammiravo anche la fortezza d’animo e la benevolenza verso tutti con cui sapeva viverle, unito al Signore. Il dolore era stato per lui una scuola straordinaria, tanto nel tempo del trapianto di fegato subito nel 2003, quanto nella conoscenza comprensiva e partecipe di tante sofferenze umane e nell’accettazione dei non pochi sacrifici, che la doverosa attenzione alla salute aveva dovuto comportare per lui. Proprio per questo, fu con serena consapevolezza che poco più di un anno fa mi parlò della decisione di presentare le sue dimissioni, quando il declino delle forze fisiche gli andava sempre più impedendo di spendersi generosamente per il suo popolo, come aveva sempre fatto. Lo incoraggiai e lo sostenni nella scelta, perché capivo da quanto amore e da quanta fede essa fosse dettata. La comprensione di Papa Benedetto XVI fu piena, immediata, da pastore sollecito e delicato quale era. E iniziò il cammino sul viale del tramonto, dapprima nella Casa del Clero a Napoli, dove generosamente lo aveva voluto l’Arcivescovo Card. Sepe, e poi nella sua Ischia, in quella Villa Joseph che tante volte aveva visitato, dove l’attenzione all’infermo si traduce in sapiente assistenza e disponibilità generosa.

In tutti questi mesi, ho potuto visitarlo varie volte, e frequentemente parlargli al telefono. Filippo era sempre lo stesso, sereno, gioviale, con senso dell’umorismo, e una fede salda, rocciosa, partecipe di quella bellezza di Dio, di cui il panorama che si vedeva dalla finestra della sua stanza sul mare del golfo di Napoli dava un’idea radiosa. Si illuminò in volto quando di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro gli portai la mitria data ai vescovi e gli parlai del dono immenso che sempre più si rivela essere Papa Francesco per la Chiesa e i
l mondo. A poche settimane da quell’incontro di luce, il Signore è venuto a chiamarlo per l’ultimo passaggio. Nel giorno della sua morte, festa di san Bartolomeo, il brano del Vangelo di Giovanni proclamato nella liturgia riporta la domanda di Natanaèle: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?”. È l’eterna domanda delle nostre presunzioni, delle nostre pretese, in qualche modo delle attese più o meno vere del nostro cuore. La risposta del discepolo Filippo è: “Vieni e vedi”. È quanto con la parola e con la vita Padre Filippo ha detto a innumerevoli persone, invitandole a fare l’esperienza dell’incontro che cambia l’intera esistenza, quello col Salvatore, Gesù. Nell’avvicinarsi dell’alba della festa dell’apostolo Bartolomeo, il Figlio eterno in persona è venuto a rivolgere l’invito all’Amico, Fratello e Padre: “Vieni e vedi”. Filippo è andato. Ora, vede, e nella luce di questa beata visione continuerà a essere con noi e per noi l’amatissimo Padre Filippo…  

(L’articolo di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, è stato pubblicato ieri, domenica 25 agosto, sul quotidiano Il Mattino, p. 39)

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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