Prima difesa dall'insidia: vigilanza pia e prudente, dice Sant'Agostino (Seconda parte)

Alcuni proclamatori “da spiaggia” pongono domande sulla religione per poi promettere risposte in incontri a casa, cercando così di propinare idee e metodi “di accertamento” illusori

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Seguitiamo l’elenco degli espedienti utilizzati da “proclamatori” e “colportori” di fede alternativa a quella cattolica, pretenziosamente basati sulla Bibbia (cfr. Zenit del 12 agosto scorso), aventi lo scopo di insidiare la fede e di far “giocare in casa” i seminatori di errore. 

7) Un taglio particolare del criterio protestantico del “sola Scriptura” disancorata dal Magistero della Chiesa – che ha ricevuto da Gesù il compito di custodirla, interpretarla e trasmetterla integralmente – sta nel far considerare la Bibbia come libro esclusivamente divino. Quando la verità è che Dio in essa ha riservato a sé il messaggio religioso salvifico e ha lasciato agli agiografi il modo di esprimerlo. Così che la Bibbia si può dire che sia un libro “teandrico”: totalmente divino quanto al messaggio rivelato e totalmente umano quanto al modo di trasmissione di esso. Quanto alla valenza divina la Bibbia ha un valore universale che supera i limiti temporali, geografici e culturali; quanto a quella umana essa risente appunto di quei limiti e perciò non si deve equivocare ritenendo perenne e trasmesso da Dio ciò che è influenzato da storia, scienze, geografia, costume ecc… ove molte conoscenze sono carenti e difettose negli agiografi. Se così fosse Dio sarebbe responsabile di varie affermazioni e spiegazioni evidentemente errate come di sgrammaticature vere e proprie se l’ispirazione dovesse intendersi come “dettatura”. (Una buona introduzione alla Bibbia o un corso biblico aiuterà chi ne avesse bisogno a inquadrare compiutamente questo discorso, evitando gli scandala pusillorum…). 

8) Lo stretto legame tra Bibbia (libro, testo scritto da interpretare) e Tradizione Apostolica (che comporta, oltre alla complementarietà, anche la interpretazione dello scritto) viene parimenti dissolta se si dà in mano alle persone il libro della Bibbia come composto esclusivamente da Dio, senza considerare che storicamente è stato composto su ispirazione divina ma in concreto da uomini della Chiesa. E che – fondamentale! – è stato giudicato come libro divino, ispirato, dalla Chiesa stessa sulla base della conformità che essa ha veduto tra la sua fede già vissuta e predicata-pregata da secoli e ciò che lo scritto esprimeva alla intelligenza della Chiesa stessa. Per questo diciamo che la Bibbia è il libro della Chiesa, in quanto è nato in essa, da essa, e giudicato ispirato (come già gli scritti veterotestamentari dalla Sinagoga) dalla Chiesa stessa; giudizio che – importantissimo! – è avvenuto con autorevolezza (come una sorta di giudizio di Corte di Cassazione) ad opera della stessa Chiesa (cf Concilio regionale di Cartagine e poi di Trento) con esclusione di quasi altrettanti “libri” che aspiravano a far parte della futura Bibbia Canonica ma che ne sono stati esclusi come “apocrifi”. Ed è in questo giudizio autorevole e definitivo che la Chiesa incluse i sette deuterocanonici contenuti nella antichissima versione greca dei LXX. 

9) Si usa concentrarsi su un passo isolato, avulso dal contesto (ma solo se esso crea difficoltà). Quando invece la regola ermeneutica di ovvia saggezza, onestà e veridicità, comporta che, essendo tutto pensiero di Dio, nel pensiero che emerge dalla ovvia interpretazione non vi possano, e perciò non vi debbano, essere incongruenze o contraddizioni. Così che il versetto analizzato ci darà la sua verità solo se in armonia con il contesto prossimo e remoto; cioè quando la sua verità viene confrontata e armonizzata con tutta la rivelazione biblica. Il che in esegesi si chiama principio della “analogia fidei”. Fatto interessante, anche i “proclamatori” delle nuove fedi fanno riferimento a tale analisi contestuale allargata, ma stranamente lo fanno solo quando sanno di ricavarne conferme, escludendo l’analisi di versetti pertinenti ma dissonanti con la dottrina da loro insegnata. Ed è invece in questo additare l’esistenza di altri versetti, non armonizzanti con la dottrina ricavata da versetti isolati o perfino capaci di ribaltarla, che si svolge l’opera critica svolta dal GRIS di confronto e di denuncia di gabellate “verità bibliche nuove” che, a conti fatti, sono opinioni preconcette. 

10) Si afferma (ma anche si nega al contempo, ove non serve) la progressività del messaggio rivelato. Ad es. i Testimoni di Geova dicono che siamo fuori della legge antica dei 10 Comandamenti, ma stranamente poi usano il concetto di “anima” ricavato da Genesi in maniera uniforme per tutta la Bibbia. In tal modo forzano (e falsificano) il testo che, analizzato onestamente, mostra che anzitutto il testo originale non parla di “anima” (concetto moderno inesistente nella Bibbia con la valenza che ha oggi) ma di nèphesh (nell’AT) e di psyché (nel NT); concetti che, dizionario biblico alla mano, hanno una molteplicità di significati, diversi secondo i vari contesti. E per giunta si trascura l’evoluzione storica che l’antropologia biblica (anche traballante e ondivaga) esprime secondo i vari agiografi. La Bibbia cioè concepisce tutto l’uomo, a seconda delle varie situazioni, ora come basàr, ora come ruàch, o nèphesh, o neshamàh, ora come sarx o psyché ecc…) modi certamente non riducibili, proprio per la loro diversità di accentuazione, alla nostra antropologia moderna; infatti per esprimere la persona intima dell’uomo si fa ricorso al concetto di volto di cuore di reni…. Si può dunque dire che come, rivelando il suo pensiero salvifico, Dio non ha insegnato né astronomia o altre scienze, né storia o psicologia ecc…, così non ha insegnato neanche antropologia filosofica. Quella che la Bibbia ci offre (spogliata dal fattore del rapporto religioso tra l’uomo e Dio) è l’antropologia ebraica, che appunto risente delle variazioni e della correzione di tiro avvenute nei secoli, dal “nèphesh” di Genesi che indicava ora l’essere vivente ora la persona, allo “spirito, anima e corpo” di S. Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi, ove c’è anche l’accoglienza di un influsso culturale ellenistico. IL CCC, come è evidente, ha accolto la sintesi semplificante ma esauriente di anima e corpo (e per anima intende lo spirito umano o anima intellectiva come si espresse in passato in una definizione solenne, distinguendola così dall’anima animale). 

(La terza parte segue domani, lunedì 26 agosto)

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Sandro Leoni

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione