Il Meeting di Rimini 2013 si è chiuso all’insegna della speranza per la libertà religiosa. Al termine del convegno di ieri pomeriggio, Nella prova si vive, ZENIT ha incontrato uno dei relatori, il direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia (ACS), Massimo Ilardo, che ha illustrato il passato, presente e futuro dell’associazione che ormai vanta 65 anni di attività sulle spalle.
Qual è stato il contributo di Aiuto alla Chiesa che Soffre in questo Meeting?
Massimo Ilardo: Abbiamo avuto la possibilità, parlando con Roberto Fontolan e con la presidente del Meeting, Emilia Guarnieri, di intervenire all’incontro sulla Siria, illustrando tutte le problematiche che i siriani oggi affrontano e quello che ACS sta facendo in tal senso. Già l’anno scorso intervenimmo parlando dell’Iran ed in particolare di ciò che le minoranze cristiane soffrono in quel paese e quello che ACS ha fatto per loro.
Per noi la considerazione da parte del Meeting è molto importante, anche perché tra di noi ci sono delle affinità. Nel 1987 il nostro fondatore venne al Meeting raccontando l’attività di ACS, con 7000 persone a seguirlo: quando arrivò, tutto il pubblico si alzò in piedi.
L’ufficio italiano sta svolgendo attualmente un lavoro certosino per far conoscere ACS, non tanto perché sia una “voce tra le voci” ma per essere la voce che tratta l’argomento religioso con un dato taglio. Dopo 65 anni, alle parole sono seguiti fatti molto concreti, tra cui le donazioni dei benefattori, tutti rigorosamente privati.
Oggi la questione viene affrontata con una pianificazione che vuole essere un elemento di distinzione dal punto di vista dell’autenticità dell’informazione. Preferiamo delle volte non dire nulla e, in certi casi, evitare interviste controproducenti. Il chiacchiericcio porta a poco e ritengo che parlare delle difficoltà dei nostri fratelli cristiani perseguitati non debba risolversi nello scoop, non è giusto utilizzare delle informazioni solo perché “facciano rumore”. Sappiamo da vicino quanto padre Johannes, che recentemente è tornato dall’Egitto, possa soffrire per quello che accade lì. Come direttore ho un profondo rispetto per questo tipo di comportamento.
Come cambia la percezione della libertà religiosa? Che spunti ha offerto questo Meeting sul tema?
Massimo Ilardo: L’elemento della libertà religiosa, rispetto al 1998, quando pubblicammo il primo rapporto sull’argomento, ha una dimensione sempre più vicina alla gente, sia da parte delle istituzioni, sia da parte della stampa e sta penetrando anche tra l’uomo della strada. Questo ci fa molto piacere.
Per quanto riguarda il Meeting abbiamo ascoltato un intervento straordinario del cardinale Tauran, ma un po’ tutti gli interventi sono stati straordinari. L’argomento determinante continua ad essere quello del dialogo e il dialogo necessita di tempo: grossi exploit non ci sono ma quello che si avverte è un cammino che non deve fermarsi. Noi vigiliamo su questo, anche se ci sono momenti critici come in Siria e in Egitto (ma non dimentichiamoci mai della Nigeria!).
La libertà religiosa è un problema in particolare di paesi asiatici o africani o un problema universale? In Europa quanto è sentito?
Massimo Ilardo: È un fatto di coscienza. Questo diritto non deve essere erogato dai potenti, è qualcosa di naturale come la vita. Si inizia ad essere più consapevoli di questo diritto e del fatto che, se viene a mancare, tanti altri diritti vengono a mancare ugualmente. Per quanto riguarda la libertà religiosa, noi cristiani che viviamo in Italia, non ci rendiamo conto di quanta grazia abbiamo ricevuto, perché vivere la nostra fede significa non dover “scuotere” la nostra vita più di tanto. In un paese come l’Egitto, il Pakistan, l’Iraq, o la Nigeria, significa cambiare stile di vita, quando spesso noi entriamo in crisi se ci si rompe la macchina… Percepire che una coppia cristiana non possa vivere da cristiana in un paese come il Pakistan (perché la donna non può seguire l’educazione dei figli, perché non può guidare, perché deve camminare un passo indietro, perché non può approcciare il marito in un certo modo, ecc.), è determinante: è la consapevolezza di ciò che ACS porta avanti.
Due anni fa abbiamo pubblicato un testo intitolato Perché mi perseguiti?, un estratto del rapporto che abbiamo cercato di diffondere nelle scuole, nei centri culturali, nelle associazioni, nelle parrocchie. Abbiamo diffuso 4500 copie e stiamo preparando una nuova edizione perché questo successo ci permetta di entrare nel mezzo della popolazione. Abbiamo conseguito dei risultati e questo è un grande passo avanti.
Ci sono paesi – penso alla Russia o ad altri paesi dell’Europa ex comunista – che la libertà religiosa l’hanno riconquistata dopo decenni di persecuzioni: ACS ha operato in questi paesi? Come si rapporta ancora con essi?
Massimo Ilardo: Nell’Europa dell’Est, il nostro padre Werenfried ha lavorato molto. I risultati ottenuti in Russia e in altre nazioni che hanno patito le stesse oppressioni, incominciano a concretizzarsi in ottimi riscontri anche dal punto di vista delle vocazioni. Continuiamo a seguire quello che succede in questi paesi, forse con relativamente minore attenzione rispetto ad altre parti del mondo ma comunque vigiliamo. Stiamo seguendo in particolare la Bosnia e il resto della ex Yugoslavia. Sono paesi dove ormai difficilmente succedono cose eclatanti e perciò non se parla ma ci sono fedeli che a suo tempo fuggirono da quei luoghi e che ancora devono tornare: stiamo lavorando anche su questo. È un laboratorio, un continuo sorgere di nuove vocazioni. L’Europa dell’Est sta dando grandi risultati: possiamo dirlo perché nella sezione centrale di ACS, c’è una sezione dedicata alla Chiesa ortodossa e questo la dice lunga sul dialogo ecumenico e interreligioso. Una Chiesa sorella aiuta un’altra Chiesa sorella: credo che questa sia una delle cose più belle. È stata una delle intuizioni del nostro fondatore all’inizio degli anni ’90.