Nel precedente articolo dedicato alla enciclica Lumen Fidei [1], abbiamo messo in evidenza la dinamica del vedere intrinseca alla fede. L’enciclica, infatti, valorizza la vista: «la vista offre la visione piena dell’intero percorso e permette di situarsi nel grande progetto di Dio; senza tale visione disporremmo solo di frammenti isolati di un tutto sconosciuto» (n. 29); inoltre pone all’attenzione la «connessione tra il vedere e l’ascoltare, come organi di conoscenza della fede» (n. 30).
Soprattutto l’enciclica ne mostra la motivazione cristocentrica: «Come si arriva a questa sintesi tra l’udire e il vedere? Diventa possibile a partire dalla persona concreta di Gesù, che si vede e si ascolta […] in questo senso, san Tommaso d’Aquino parla dell’oculata fides degli apostoli –fede che si vede!- davanti alla visione corporea del Risorto. Hanno visto Gesù risorto con i loro occhi e hanno creduto, hanno cioè potuto penetrare nella profondità di quello che vedevano per confessare il Figlio di Dio, seduto alla destra del Padre» (n. 30). La vera visione viene esaltata come un dono ricevuto da Gesù stesso: «solo quando siamo configurati a Gesù, riceviamo occhi adeguati per vederlo» (n. 31).
Ora cercheremo di mostrare come questa dinamica del vedere intrinseca nella fede in Gesù Cristo sia il fondamento dell’arte figurativa cristiana. Infatti, nell’enciclica viene argomentato che, come il prodotto dell’ascolto è la testimonianza in parole, così il prodotto della visione è farsi specchio. Potremmo dire che l’arte sacra può essere considerata come finalizzata a farsi specchio del volto di Gesù, che è stato tramandato dalla Chiesa, che è il luogo della memoria della oculata fides.
L’enciclica pone, infatti, una dinamica cristocentrica di figura, immagine e specchio: «Il credente impara a vedere se stesso a partire dalla fede che professa la figura di Cristo è lo specchio in cui scopre la propria immagine realizzata. E come Cristo abbraccia in sé tutti i credenti, che formano il suo corpo, il cristiano comprende se stesso in questo corpo, in relazione originaria a Cristo e ai fratelli nella fede» (n. 22). Cristo è specchio dell’immagine realizzata del credente. Ogni immagine trova la propria piena configurazione nella figura di Gesù, nello specchiarsi nel suo volto. L’arte sacra cristiana deve farsi specchio della figura di Gesù Cristo. Cristo è origine e fine di tutto il “sistema d’arte cristiano” [2].
Riflettendo sulla Rivelazione ai Magi, l’enciclica mette in evidenza il rispetto che Dio ha per gli occhi dell’uomo, realtà che non si dissolve nell’immensità della luce divina, ma diventa più brillante, proprio come uno specchio che riflette lo splendore della fonte luminosa: uesto rispetto di Dio per gli occhi «Questo rispetto di Dio per gli occhi dell’uomo ci mostra che, quando l’uomo si avvicina a lui, la luce umana non si dissolve nell’immensità luminosa di Dio, come se fosse una stella inghiottita dall’alba, ma diventa più brillante quanto è più prossima al fuoco originario, come lo specchio che riflette lo splendore» (n. 35).
L’arte sacra –specchio dello splendore divino- può essere inserita nella dinamica della testimonianza; come dall’ascolto nasce l’annuncio, così dalla visione nasce l’arte sacra, la comunicazione delle cose viste: «La fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio. Infatti, “come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?” (Rm 10,14). La fede si fa allora operante nel cristiano a partire dal dono ricevuto, dall’Amore che attira verso Cristo» (n. 22).
Sant’Agostino ha argomentato con chiarezza l’importanza della luce e della visione: «questo incontro con il Dio della Parola non ha portato sant’Agostino a rifiutare la luce e la visione. Egli ha integrato ambedue le prospettive, guidato sempre dalla rivelazione dell’amore di Dio in Gesù. E così ha elaborato una filosofia della luce che accoglie in sé la reciprocità propria della parola e apre uno spazio alla libertà dello sguardo verso la luce. Come alla parola corrisponde una risposta libera, così la luce trova come risposta un’immagine che la riflette» (n. 33).
Alla visione, che è Rivelazione dell’amore di Dio in Gesù, corrisponde una immagine che rifletta la stessa Rivelazione di Gesù, una immagine che diventa risposta alla Rivelazione ricevuta. Tale Rivelazione è, innanzitutto, la Rivelazione del volto di Gesù: «In questo modo la luce diventa, per così dire, la luce di una parola, perché è la luce di un Volto personale, una luce che, illuminandoci, ci chiama e vuole riflettersi nel nostro volto per risplendere dal di dentro di noi” (n. 33).
La luce della Rivelazione è luce incarnata, illumina la materia: «la luce della fede è luce incarnata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. Essa illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di armonia e di comprensione sempre più ampio» (n. 34). La luce incarnata esige un’arte incarnata, che sappia cioè esprimere la carne di Gesù, la sua corporeità.
Questa sottolineatura della luce incarnata e della fede visibile mi sembra sia una chiare indicazione di come l’arte sacra debba essere necessariamente arte figurativa, impegnata nella descrizione del volto di Gesù, nella contemplazione della sua realtà corporea. Del resto, la luce della Rivelazione illumina tutta la realtà creata, rafforzando la necessità di un’arte capace di raffigurare il mondo: «L’uomo religioso cerca di riconoscere i segni di Dio nelle esperienze quotidiane della sua vita, nel ciclo delle stagioni, nella fecondità della terra e in tutto il movimento del cosmo. Dio è luminoso, e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero» (n. 34).
L’arte che si fa riflesso del mondo è un’arte disponibile alla ricerca di Dio ed è testimonianza della sua presenza. Ogni arte religiosa dovrebbe mostrare i segni della presenza di Dio nella realtà naturale che ci circonda. Ma è soprattutto nei riguardi dell’arte propriamente sacra [3] che la necessità di testimonianza della visione diventa fondamentale per la trasmissione della fede. Infatti, «La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma» (n. 37). Possiamo immaginare la storia dell’arte cristiana come una processione in cui ciascuno accende la sua candela da una candela già accesa, in un’ininterrotta catena di luce che trae origine dal cero pasquale, e cioè dall’incontro con Gesù.
La fede nasce da un incontro e si tramette lungo i secoli, nel tempo, nella storia: «La trasmissione della fede, che brilla per tutti gli uomini di tutti i luoghi, passa anche attraverso l’asse del tempo, di generazione in generazione. Poiché la fede nasce da un incontro che accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo, essa si deve trasmettere lungo i secoli» (n. 38). In questa trasmissione della fede ci arriva il vero volto di Gesù: «È attraverso una catena ininterrotta di testimonianza che arriva a noi il volto di Gesù» (n. 38).
Proprio dalla relazionalità della conoscenza per fede si fa possibile la visione del volto di Gesù [4]: «Come è possibile questo? Come essere sicuri di attingere al “vero Gesù”, attraverso i secoli? Se l’uomo fosse un individuo isolato, se volessimo partire soltanto dall’ “io” individuale, che vuole trovare in sé la sicurezza della sua conoscenza, questa certezza sarebbe impossibile. Non posso vedere da me stesso quello che è accaduto in un’epoca così distante da me.
Non è questo, tuttavia, l’unico modo
in cui l’uomo conosce. La persona vive sempre in relazione. Viene da altri, appartiene ad altri, la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri. E anche la propria conoscenza, la stessa coscienza di sé, è di tipo relazionale, ed è legata ad altri che ci hanno preceduto, in primo luogo i nostri genitori, che ci hanno dato la vita e il nome. Il linguaggio stesso, le parole con cui interpretiamo la nostra vita e la nostra realtà, ci arriva attraverso gli altri, preservato nella memoria viva di altri.
La conoscenza di noi stessi è possibile solo quando partecipiamo a una memoria più grande. Avviene così nella fede, che porta a pienezza il modo umano di comprendere. Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa» (n. 38). Nella Chiesa, che è soggetto unico di memoria, può agire l’arte sacra, partecipando alla trasmissione delle verità di fede, facendosi testimone del Vangelo.
«La Chiesa è una Madre che ci insegna parlare il linguaggio della fede […] L’Amore che è lo Spirito, e che dimora nella Chiesa mantiene uniti tra di loro tutti i tempi e ci rende contemporanei di Gesù, diventando così la guida del nostro camminare nella fede» (n. 38). Proprio in questa prospettiva, l’arte può rendersi utile, rendendoci contemporanei del volto di Gesù, ma per fare questo deve imparare nella Chiesa il linguaggio di una autentica arte sacra.
L’enciclica sembra porre tutti i fondamenti a sostegno dell’arte figurativa cristiana, così come il Magistero ha insegnato nel corso della tradizione [5]. Parimenti, nell’enciclica troviamo il fondamento di un’arte autenticamente narrativa, e lo troviamo proprio in un esempio tratto dal mondo dell’arte, un esempio molto preciso e non generico: «Impariamo così che la luce portata dalla fede è legata al racconto concreto della vita, al ricordo grato dei benefici di Dio e al compiersi progressivo delle sue promesse. L’architettura gotica l’ha espresso molto bene: nelle grandi cattedrali la luce arriva dal cielo attraverso le vetrate dove si raffigura la storia sacra. La luce di Dio ci viene attraverso il racconto della sua rivelazione, e così è capace di illuminare il nostro cammino nel tempo, ricordando i benefici divini, mostrando come si compiono le sue promesse» (n. 12).
Le vetrate gotiche narrano la storia sacra, e la luce che le attraversa è immagine della luce di Dio che ci arriva nel racconto stesso della Rivelazione. La storia sacra va dunque raccontata, narrata, perché possa arrivarci la rivelazione della Provvidenza divina.
Non posso a questo punto non aggiungere un inciso, ovvero il dispiacere di come in tante cattedrali europee, alle vetrate che narrano la storia sacra si siano sostituite vetrate colorate che non narrano niente, puri pezzetti di vetro colorato affiancati con disordine: la luce che passa attraverso tali vetrate, cosa narra? cosa insegna? cosa mostra della storia della salvezza?
Forse il vero problema è che oggi si è persa la percezione della vera presenza di Dio nella realtà e nella storia, come l’enciclica ben mette in evidenza: «La nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo. Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti» (n. 17).
Sembra delinearsi la possibilità di interpretare l’arte come vero culto o come idolatria: l’arte sacra impegnata nell’accogliere e testimoniare la Rivelazione è vero culto, mentre un’arte che è assorta su se stessa, dispersa in tanti oggetti e non centrata in Gesù, tale arte è idolatria [6].
L’enciclica si sofferma sulla idolatria nella storia di Israele: «La storia di Israele ci mostra ancora la tentazione dell’incredulità in cui il popolo più volte è caduto. L’opposto della fede appare qui come idolatria. Mentre Mosè parla con Dio sul Sinai, il popolo non sopporta il mistero del volto divino nascosto, non sopporta il tempo dell’attesa. La fede per sua natura chiede di rinunciare al possesso immediato che la visione sembra offrire, è un invito ad aprirsi verso la fonte della luce, rispettando il mistero proprio di un Volto che intende rivelarsi in modo personale a tempo opportuno. […] invece della fede in Dio si preferisce adorare l’idolo, il cui volto si può fissare, la cui origine è nota perché fatto da noi. Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli “hanno bocca e non parlano” (Sal 115,5)» (n. 13).
Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani; l’idolo è un pretesto per dare importanza all’uomo e non a Dio, come tanta arte che vuole mettere al centro di tutto l’artista, e non la verità da testimoniare: «L’uomo, perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; negandosi ad attendere il tempo della promessa, si disintegra nei mille istanti della sua storia. Per questo l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza méta da un signore all’altro. L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri , che non conducono a una mèta certa e configurano piuttosto un labirinto.
Chi non vuole affidarsi a Dio deve ascoltare le voci dei tanti idoli che gli gridano: “Affidati a me!”. La fede, in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia» (n. 13). L’idolatria è sempre politeismo, è servire tanti padroni nell’illusione di una libertà che non è mai vera, infatti solo chi con fede è disposto a rinunciare a se stesso, trova pienamente se stesso; così accade nell’arte: solo se l’arte si apre al volto di Gesù allora è veramente libera dalle schiavitù mondane: «La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio. Ecco il paradosso: nel continuo volgersi verso il Signore, l’uomo trova una strada stabile che lo libera dal movimento dispersivo cui lo sottomettono gli idoli» (n. 13)
Se ci si affida solo alle proprie capacità, se si confida nel consenso mondano, allora si è sterili, e l’arte che si produce è sterile: «Chi opera così, chi vuole essere la fonte della propria giustizia, la vede presto esaurirsi e scopre di non potersi neppure mantenere nella fedeltà alla legge. Si rinchiude, isolandosi dal Signore e dagli altri, e per questo la sua vita si rende vana, le sue opere sterili, come albero lontano dall’acqua» (n. 19)
L’artista cristiano deve essere umile, cioè aperto alla verità che vede e che testimonia, consapevole che tale verità è più di lui [7]; la verità di Dio è l’assoluto che ci possiede, l’arte in se stessa non è assoluta (cioè sciolta da ogni vincolo: ab-soluta), è solo servizio [8]: «Il credente non è arrogante; al contrario , la verità lo fa umile, spendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti» (n. 34).
L’arte sacra cristiana, immagine e specchio del volto di Gesù e della realtà vista nella luce della Rivelazione dell’amore di Dio, deve essere del tutto centrata su Gesù Cristo, secondo la logica della fede: «La nuova logica della fede è centrata su Cristo» (n. 20).
Rodolfo Papa, Esperto de
lla XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website: www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it .
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NOTE
[1] Cfr. R.Papa, Papa Francesco, la Lumen Fidei e l’arte sacra, parte prima: La fede come visione, 22 luglio 2013, http://www.zenit.org/it/articles/papa-francesco-la-lumen-fidei-e-l-arte-sacra-prima-parte.
[2] Sul “sistema d’arte cristiano” cfr. R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Cantagalli, Siena 2012, cap. II.
[3] Sulla distinzione tra arte religiosa e arte sacra, fondata sulla Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), cfr. R. Papa, Riflessioni sui fondamenti dell’arte sacra, “Euntes Docete”, III/1999, pp. 327-341, disponibile on-line: http://www.rodolfopapa.it/suifondamentidell’artesacra.pdf
[4] Sulla visione del volto di Gesù, cfr. R. Papa, Benedetto XVI, Francesco e l’arte di vedere il volto di Cristo, “Zenit”, 29 aprile 2013: http://www.zenit.org/it/articles/benedetto-xvi-francesco-e-l-arte-di-vedere-il-volto-di-cristo.
[5] Sul Magistero e l’arte cfr. R.Papa, I colori dello spirito. Capolavori dell’arte cristiana tra XIV e XVII secolo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 2005.
[6] Sulla idolatria nell’arte contemporanea, cfr. i seguenti articoli di R. Papa, pubblicati in “Zenit”: Neo-paganesimo, riti sacrificali e fenomeni artistici nel ‘900 (8 luglio 2013) http://www.zenit.org/it/articles/neo-paganesimo-riti-sacrificali-e-fenomeni-artistici-nel-900; L’inganno dell’incorporeità del corpo nell’arte pittorica (16 maggio 2011), http://www.zenit.org/it/articles/l-inganno-dell-incorporeita-del-corpo-nell-arte-pittorica; Che cosa è l’arte povera (30 gennaio 2012) disponibile in: http://www.aleteia.org/it/arte/q&a/che-cosa-arte-povera-1578003 ; L’iperrealismo. Alcune precisazioni storiografiche, (19 settembre 2011) disponibile in: http://www.aleteia.org/it/arte/news/iperrealismo-alcune-precisazioni-storiografiche-1632001
[7] Sull’artista cristiano, cfr. R.Papa, Chi è artista e chi è artista cristiano, “Zenit”, 11 ottobre 2010, http://www.zenit.org/it/articles/chi-e-artista-e-chi-e-artista-cristiano
[8] Sull’arte “non assoluta”, cfr. l’hang-out con R.Papa, A. Paolucci, C.Lomonte del 5 giugno 2013, http://www.aleteia.org/it/arte/news/architettura-sacra-oggi-concilio-vaticano-ii-tradito-1810002