Il 12 luglio scorso, nella Sala Consiglio del Municipio Roma XII, alla presenza del presidente Cristina Maltese e di Massimo Tegolini, responsabile della Biblioteca intitolata a Federico Caffè, si è svolta la presentazione del libro “Contro gli incappucciati della finanza” edito da Castelvecchi e curato da Giuseppe Amari, che raccoglie gli articoli scritti dall’economista Federico Caffè nel periodo 1974 – 1987 su “Il Messaggero” di Roma e “L’Ora” di Palermo.
All’incontro hanno partecipato giornalisti (Giustiniani e Spampinato), economisti (Schiattarella) ed il vice ministro dell’economia Fassina. Nel corso della serata è stato letto anche un messaggio di saluto di Giovanna Leone, nipote di Caffè, che ha confermato l’impegno dei familiari nel testimoniare, tra gli altri “l’impegno di zio di dedicare il suo lavoro al progredire di una democrazia sostanziale per il nostro paese”.
Continuiamo con questo secondo articolo la conoscenza di Federico Caffè attraverso la proposizione integrale di alcuni suoi interventi più divulgativi che trattano i temi del lavoro, del precariato e delle retribuzioni, ancora attuali a circa quarant’anni dalla loro pubblicazione ed a circa venticinque dalla misteriosa scomparsa dell’autore.
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Le vistose sperequazioni poste in evidenza dalle documentate indagini sulla “giungla retributiva” un’espressione ormai acquisita al lessico economico, sembrano produrre effetti di pur giustificata indignazione morale, più che impulsi alla riflessione sulle conseguenze economiche ultime delle sperequazioni stesse. Pure, è difficile non rendersi conto che all’occupazione con livelli retributivi privilegiati fa riscontro il mondo sommerso del lavoro precario, delle occupazioni marginali, delle attività di ripiego, oltre che la rinuncia stessa, frutto di scoraggiamento, a presentarsi sul mercato del lavoro.
Vi è un effetto perverso delle occasioni di lavoro privilegiate (non soltanto in termini di retribuzioni, ma anche di elasticità di presenza sul posto di lavoro, come accade frequentemente nell’attività universitaria) che si manifesta in una remora a quei più ambiziosi traguardi di politica che occorrerebbe proporsi, di fronte alla pressione della discussione, specie nei settori giovanili e femminili.
Di questi più ambiziosi traguardi si è fatto interprete il rispettato economista che presiede il Sistema della Riserva federale degli Stati Uniti, Arthur Burns. Egli, tenendo conto dell’ancora massiccia disoccupazione nel suo paese, ha proposto (…) che lo Stato si faccia “datore di lavoro di ultima istanza”, offrendo possibilità di impiego nella vasta area arretrata dei servizi educativi e sociali a chiunque lo desideri, ma a retribuzioni mantenute entro i livelli dei minimi salariali e non suscettibili di aumento.
Sebbene Burns sia notoriamente di tendenze conservatrici e la sua proposta intendesse costituire una alternativa a programmi più carichi, a suo avviso, di potenziale inflazionistico, tutto quello che gli si è saputo rispondere, in sede autorevole, è che si tratta di una idea frutto di senilità e del logorio di una tenuta dell’impegnativo ufficio. Come egli ha detto “il lavoro è preferibile al sussidio, sia per i disoccupati che per la nazione”. Additando le occasioni di proficuo impiego esistenti in sistemi economici opulenti nel superfluo ed arretrati in essenziali servizi sociali, egli ha sottolineato l’esigenza di “salvaguardie che dovrebbero limitare la revisione verso l’alto delle retribuzioni offerte per questi impieghi”.
Le visioni lungimiranti stentano tuttavia ad affermarsi: le reazioni irritate nei confronti di Burns non si sono infatti nemmeno accorte che egli non faceva che ribadire un suggerimento perché lo stato si facesse carico di essere “datore di lavoro di ultima istanza” già avanzato nel 1966 in un rapporto ufficiale intorno alle incidenze della tecnologia sull’economia americana.
L’obiettivo della dignità del lavoro per tutti non è peraltro compatibile né con le soluzioni di privilegio, divenute oggi esplosive, né con l’eccessivo garantismo sindacale e previdenziale, che si traduce in un inaridimento delle occasioni di lavoro. Molti sono gli elementi che hanno contribuito a determinare la tragica scissione del mondo del lavoro in privilegiati, emarginati, scoraggiati. Alla giungla retributiva fa riscontro l’intreccio di responsabilità, prossime e remote. Sarebbe un peccato se l’interesse per le sperequazioni retributive rimanesse limitato a confronti tra chi ha comunque un lavoro, o dovesse costituire addirittura un diversivo rispetto al problema prioritario di farsi carico dei problemi assillanti degli emarginati e dei diseredati.