Papa Francesco continua con la “missione trasparenza” sulla finanza all’interno della Chiesa: ha fatto dimettere gli arcivescovi di Lubiana, mons. Anton Stres, e quello di Maribor, mons. Marjan Turnesek, per il crac da 900 milioni della diocesi di Maribor.
Formalmente i presuli hanno presentato le dimissioni ai sensi del canone 401 comma due del Codice di Diritto canonico, cioè per “gravi ragioni”.
La Santa Sede non ha specificato i motivi delle dimissioni, si sa solo che Papa Francesco le ha accettate.
Già l’anno passato, la stampa slovena aveva parlato di un coinvolgimento dei due presuli in un crac finanziario che ha coinvolto diverse banche creditrici e imprese del Paese.
Il 3 febbraio 2011, con papa Benedetto XVI ancora regnante, si era “dimesso” il precedente arcivescovo di Maribor, Franc Kramberger (Benedetto XVI aveva disposto anche una ispezione canonica).
Secondo la stampa slovena i suddetti monsignori, attraverso una serie di holding, avevano partecipazioni azionarie in circa 50 aziende, ma un paio d’anni fa la piramide finanziaria è crollata sotto i colpi del fallimento delle tre principali holding: Zvon Ena, Zvon Dva e Gospodarstva Rast.
Anche se la vicenda riguarda direttamente la diocesi di Maribor, è stato fatto dimettere anche l’arcivescovo di Lubiana, Anton Stres, in quanto era stato presidente del Consiglio economico dell’arcidiocesi di Maribor, tra il 2000 e il 2006, quando era vescovo ausiliare dell’arcidiocesi sede di un importante santuario mariano. Sarebbe stato lui a prendere tutte le decisioni che hanno condotto alla sboom finanziario.
Come conseguenza del crollo della gestione finanziaria speculativa delle holding, diverse banche sono vicine finite al fallimento, come diverse imprese slovene come la Steklarna Roga (17 milioni di crediti), la Helios (5,3 milioni di crediti), la Mladinska knjiga (4,6 milioni di crediti) e Iskra Avtoelektrika (1 milione di crediti). In difficoltà era finito anche il Gruppo Helios Domzale e Belinka di cui la Chiesa deteneva il 40 per cento del pacchetto azionario del valore di circa 45 milioni di euro.
Il gruppo dava lavoro a quasi 2.600 dipendenti, che ora si ritrovano senza certezze sul futuro.
Stessa sorte riguarda 350 dipendenti della Cetis, 1.400 della Mladinske knjiga, 160 di Terme Dobrna, 104 di Gea, 2.500 di Iskra Avtoelektrika.
In totale, secondo quanto riferisce il quotidiano Il Piccolo di Trieste, sarebbero a rischio oltre diecimila posti di lavoro.
In questa piramide finanziaria sarebbe coinvolto anche l’ex membro del CdA della banca, Slavko Jamnik, fratello del vescovo ausiliare di Lubiana, Anton Jamnik.