Soffrire per il regno di Dio

Meditazione quotidiana sulla Parola di Dio

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ROMA, lunedì, 27 agosto 2012 (ZENIT.org).

Lettura

La polemica di Gesù contro i Farisei si fa ancora più aspra. Il Signore, come gli antichi profeti, scaglia contro di loro sette “guai”, denunciandone l’ipocrisia e l’uso strumentale che essi fanno della religione. Più che maledizioni, le invettive di Gesù sono una messa in guardia in modo ultimativo. Si manifesta attraverso di essi il giudizio di Dio sui capi del popolo che, abusando della Legge divina, vollero la morte del Cristo. Sono, in prospettiva, condannati anche i Giudei che, alcuni anni dopo, escluderanno dalle sinagoghe i seguaci del Nazareno. È anche avvertimento alla Chiesa, nella quale, come dirà san Paolo agli anziani di Efeso, «sorgeranno alcuni a parlare di cose perverse, per attirare i discepoli dietro di sé»(At 20,30) e non dietro Cristo.

Meditazione

Ai “guai” del Vangelo contro gli «scribi e farisei ipocriti»,si contrappone, come prima lettura, il brano con cui il fariseo Paolo, divenuto apostolo di Gesù, si rivolge alla Chiesa da lui fondata a Tessalonica. Una comunità che ha accolto il primo annuncio cristiano e che adesso «fa grandi progressi» nella fede, fino a sopportare «persecuzioni e tribolazioni». Si dimostra così che il regno di Dio non si edifica se non mediante la sofferenza. Come quella che manifesta l’Apostolo quando vede aggrediti i teneri germogli del suo impegno missionario. Sofferenza che, nei versetti omessi (6-11), porta san Paolo a chiedere il “castigo eterno”per coloro che affliggono i credenti che egli ha generato al Cristo. L’antico Fariseo capisce allora perché il Signore si scagliò così violentemente contro i seguaci della sua setta. Nelle parole forti dette da Gesù non c’è rabbia ma amore. Il Cristo, come farà poi l’Apostolo, protegge quelli che nel Vangelo di Matteo sono chiamati “i piccoli”, i quali non avendo strumenti culturali, sono facilmente plagiabili dagli “scribi”, gli intellettuali dell’epoca. Quando, invece, a cadere nella trappola di falsi maestri che stravolgono la fede sarà un giovane intelligente come Agostino, ci vorrà tutta la perseverante preghiera e la sofferenza pluriennale di una vedova, Monica, a riportare il figlio all’unica vera fede che ci fa “degni del regno di Dio”.Quella sofferenza si tramutò, finalmente, in gioia quando Agostino si convertì e si fece battezzare dal Vescovo Ambrogio, lo stesso che aveva rincuorato la madre dicendole: «Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca». Lasciamo, dunque, che Gesù, in quanto giudice, dica “guai” a chi attenta alla fede dei nostri figli, noi, come santa Monica, preghiamo e piangiamo perché essi si convertano.

Preghiera

Io sono stremato dai lungi lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, irroro di lacrime il mio letto. I miei occhi si consumano nel dolore. Ma il Signore ascolta la voce del mio pianto. Il Signore ascolta la mia supplica, il Signore accoglie la mia preghiera (dal Salmo 6).

Agire

Pregherò il quinto mistero della gioia, pensando a tutti i figli “smarriti”.

Meditazione del giorno a cura di P. Salvatore Piga, osb, tratta dal mensile Messa Meditazione, per gentile concessione di Edizioni ART. Per abbonamenti: info@edizioniart.it

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ZENIT Staff

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